La Mostra di Carlo Crivelli è una stupenda "rivelazione,, di Marziano Bernardi

La Mostra di Carlo Crivelli è una stupenda "rivelazione,, APERTA OGGI NEL PALAZZO DUCALE A VENEZIA La Mostra di Carlo Crivelli è una stupenda "rivelazione,, (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 9 giugno. Carlo Crivelli, veneziano, è uno dei maggiori artisti italiani del Quattrocento, un pittore notissimo al pubblico per certi quadri famosi, per esempio la Madonna della candeletta, di Brera, riprodotta innumerevoli volte; ma insieme uno dei meno conosciuti ed esattamente stimati nella reale misura del suo talento. La ragione è semplice. Di lui esistono figurazioni sublimi, che nei pochi palmi di un'antica tavoletta racchiudono con completezza assoluta di ideazione e di rapporto formali un mondo immenso di spiritualità. Basti additare fra le tante opere ora raccolte nella grande mostra di Venezia le due minuscole meravigliose Madonne della pinacoteca di Ancona e dell'Accademia Carrara di Bergamo, o quel culmine di preziosismo pittorico ch'è la S. Maddalena del Rijksmuscum di Amsterdam. Ce n'è abbastanza per convalidare il celebre giudizio del Berenson : « Carlo Crivelli si colloca fra i più genuini artisti d'ogni terra e paese; e non ci stanca mai, anche quando i cosiddetti « grandi maestri » diventan tediosi. Con la libertà e lo spirito del disegno giapponese, egli esprime una divozione tenera e selvaggia come quella di Jacopori r; una dolcezza d'emozione siricera e ornata come quella che un francese del tredicesimo secolo avrebbe potuto mettere in un avorio della Vergine e il Figlio. La mistica beltà di Simone Martini, la pietà disperata del Giambcllino giovane, nel Crivelli trovano forme che hanno il vigore lineare e la metallica lucentezza dei vecchi Satsuma o delle lacche: e qualità tattili così sontuose ». In verità il sommo intenditore, così esprimendosi, pensava al Crivelli tutt'intcro, ch'egli abbracciava, benché smembrato in ogni parte del mondo, con visione unitaria di valori e linguaggi. Ma il comune « consumatore d'arte », anche esperto, aveva bisogno di questa restituzione veneziana, che raduna gli sparsi lacerti di un'opera vastissima, e accortamente ne ricompone una armonia visibile: quella concepita e orchestrata dal maestro. E ciò perché — come adesso scrive Pietro Zampetti, sagace ordinatore della mostra che domani s'inaugura nel Palazzo Ducale, e curatore dell'eccellente catalogo critico — Carlo Crivelli « è il grande poeta dei polittici »; cioè (lo ricordiamo al lettore profano) delle vaste rappresentazioni tipiche dell'antica pittura religiosa, in cui i singoli scomparti, spesso riccamente incorniciati, con le loro figure, le loro scene e « storie » sacre, i loro simboli, non componevano altrettanti « quadri i a se, bensì un preordinato insieme che da un lato obbediva a un rituale liturgico e dall'altro alla concezione stilistica del pittore. Orbene, il Crivelli, da quando (dopo una condanna al carcere per adulterio subita a circa i$ anni nel 1457) lasciò Venezia per stabilirsi prima a Zara forse presso l'amico Giorgio Schiavone, e poi nelle Marche dove Io si ritrova a dipingere nel 1468 (e nelle Marche lavorerà fino al termine della sua vita intorno al 1494, spiegando un'influenza decisiva su tutti i maestri locali del suo tempo, tolto il Boccati), fu uno straordinario fornitore di polittici, a partire da quello di Massa Fermana per terminare con quello di Fabriano. Ma di questi molti polittici che assorbirono in maggior parte l'attività dell'artista, uno solo — opera splendida e fondamentale per la conoscenza del Crivelli perché firmato nel 1473 — è giunto integro a noi: quello della cattedrale di S. Emidio in Ascoli Piceno; che persino il primo datato, dipinto per la parrocchiale di Massa Fermana nel 1468, manca di figure nella parte superiore. Tutti gli altri vennero frantumati, suddivisi, venduti di collezione in collezione. Come caso limite, sul quale si esercitarono per una ricomposizione ideale le indagini erudite di studiosi dal Longhi allo 2tì, si può citare uno dei culmini pittorici dal Crivelli toccato intorno al 1470, il polittico di Porto San Giorgio, smembrato fra i musei di Washington, di Londra, di Boston, di Tulsa (Stati Uniti), di Cracovia, di Detroit, mentre della predella non v'e più traccia. S'intende che ciascuna di queste parti costituisce da sola un capolavoro; ma la visione unitaria dell'autore è perduta, come se si leggessero separati, slegati, i singoli capitoli d'un libro mirabile. Di qui l'eccezionale utilità di questa mostra che riunisce tante pagine sparse, e ci pone sott'occhio, ad esempio, i due pannelli venuti da Bruxelles accanto alle superbe figure superstiti, tre inferiori e tre superiori, del così detto « Trittico » di Montefiore dell'Aso; e accerta che la Madonna di Bruxelles dovrebbe andare al posto del San Pietro centrale, le cui mani, turgide di vene tese come corde, lvdqcdsBgrrn—mprstrmpcnmvbnssltdCcltazhclmdpmrdc lasciano il sospetto di un intervento di collaboratore. Quale è dunque la grandezza del Crivelli? Egli non è un di quei supremi inventori di forme che fissano per l'eternità un modulo, un linguaggio di espressione artistica. Lo sottintende il Berenson stesso con gli accenni già citati, e più ancora considerandolo un c prodotto ritardatario di condizioni stazionarie, se non addirittura reazionarie »; e — vista e rivista lungamente la mostra — quantunque gli srudi più recenti neghino che il pittore sia stato « artista statico, cioè senza processi evolutivi », vissuto « sull'eredità di se stesso » nei riguardi delle conquiste rinascimentali (si pensi ch'è contemporaneo di Giovanni Bellini! ), ci sembra che il grande critico ne centrasse il gusto, il temperamento, lo stile. La sua cultura si sa come e dove si formasse e crescesse: l'ambiente padovano dello Squarcione, il formidabile esempio plastico del Mantegna, la patetica seduzione del giovane Giambellino (si confronti il Cristo morto sorretto dagli angeli, di Londra, con le Pietà bellìniane del Correr e di Rimini), i contatti con lo Schiavone, il « tessuto dell'arte gotica », il lusso ornamentale di Antonio Vivarini e degli altri maestri muranesi, le infiltrazioni nordiche — ed il Coletti ha fatto il nome dei Pacher — che danno atmosfera di fiaba all'incantevole « miniatura » lumeggiata d'oro dell'Adorazione dei pastori di Strasburgo. A proposito della quale non vorremmo parer troppo azzardosi riferendo che proprio per i suddetti « ritardi », il Crivelli qualche volta qui, benché parecchi gradini più in alto, ci ha richiamati al frizzante clima montano del nostro caro piemontese Defendentc Ferrari, quello delle piccole familiari « storie » sacre nelle predelle delle pale e dei polittici. Ma, espressionista potcntissi mo ove occorra, il veneziano dalmata-marchigiano non ha la granitica, o ferrigna, perentorie' ti della statuaria pittorica man tegnesca, miraggio classico tem pcrato di dolce umore veneto; né il caldo fiato, la dolorosa tenerezza o la « pietà disperata » del Bellini. Forse, anzi, si è ecceduto scorgendo in lui un perpetuo rovello di allucinato visionario, che traduce in esasperazioni formali,. in una tensione lineare spasimante, la pienezza dell'alta fantasia, che poi si placa nel de corativismo magnifico dei famosi festoni di frutta, nei superbi brani di < natura morta », nelle trine dorate dei rilievi a pastiglia, nei « fondi » paesistici d'una micropittura alla fiamminga. Pochi artisti, come lui, han saputo ridurre il sentimento intelligenza, alternando l'orrore ddcvcvlvsLss delle piaghe aperte nelle carni delle Pietà col simbolismo delle candele fumiganti al soffio d'una vita che muore; e sorvegliando con un rigore quasi frigido, talvolta con industriosità artigianale distaccata dal pathos figurativo, il suo esaltante tattilismo, la sua forza nativa, quella che il Longhi definì « immaginazione sublime di una linea duttile, ansiosa, spesso lacerante » : la linea psichicamente ambigua delle mani artigliate delle sue Maddalene. Ne nasce, in questa mostra affascinante che si completa nel panorama marchigiano dei « crivelleschi » — il fratello Vittore Crivelli, Pietro Alemanno, Cola dell'Amatricc, Nicola d'Ancona, Gerolamo di Giovanni, Lodovico Urbani, Lorenzo d'Alcssan dro, Antonio da Fabriano, Fran ecsco di Gentile, e nei riferimenti a Giovanni Boccati — una visione d'insieme stupenda per intensità sentimentale e suprema eleganza ornativa, di comprcn sione apparentemente facile, e che da quadro a quadro, con scarsi punti di flessione, rinno va, anche nelle opere tarde, di lieve involuzione, un indicibile incanto. Marziano Bernardi (vnh