La straziante elegia di un regista giapponese
La straziante elegia di un regista giapponese SI E' RIPRESENTATO A CANNES L'AUTORE DELL'«ARPA BIRMANA» La straziante elegia di un regista giapponese « Mio fratello » narra l'atroce morte d'un giovane Presentato anche un modesto filmetto d'Israele (Dal nostro inviato speciale) Cannes, 5 maggio. 11 Giappone ha riproposto al Festival di Cannes il regista Kon Ichikawa, di cui si vide l'anno scorso il tanto discusso < Kagi > («Strana ossessione >), storia di tin vecchio erotomane, erotomane perché vecchio, non ben bilanciata tra il caso clinico e il caso umano. Ma Ichikawa è anche autore del bellissimo « Arpa birmana » al cui lirismo si riconduce in parte questo suo nuovo film Ototo tratto da un soggetto originale di Aya Koda. (.Ototo, che ci dicono voglia dire « Mio fratello >, è diventato in Francia «Tenera e folle adolescenza»). La morte per tubercolosi di un adolescente è tal soggetto che commuove soltanto ad enunciarlo. Un regista può anche fallirlo perché troppo facile. Ma Ichikawa, pur accettando /quella facilità, nel senso che non ha sforzato le cose, ha poi saputo riscattarla con uno spirito di finezza che rimanda a certe novelle di Cecov, piane e disperatissime. Siamo in una famiglia borghese senza governo: il padre scrittore sempre occupato a scrivere (ecco Analmente sullo schermo uno scrittore funzio naie), la matrigna querula, fannullona e maligna, i Agli, Gen e Hekiro, sorella e fratello, lasciati a se stessi, e costi tuenti come una famiglia nella famiglia. Gen, come fa da serva alla matrigna, così, sebbene più giovane, fa da madre al fratello che più risente di quella triste situazione famigliare, e nella sua eccitazione nervosa, si è messo su una brutta china di furterelli e debiti. La prima parte del film è molto giapponese, cioè prolissa, stratificata e parlante o cinguettante più del bisogno. La tristezza di quella casa senza amore, dove gli anziani induriscono nell'egoismo e i giovani si rodono, viene su da troppe e non tutte necessarie pennellate. Ma come i primi colpi di tosse rimbombano nel petto dell'arrabbiato Hekiro, spegnendone tutte le velleità di rivolta, facendone un tubercolotico condannato a vedersi morire, allora il film entra in stato di grazia, quasi toccato da una verghetta d'oro. Gii esami medici, la clinica (una clinica tremendamente scalcinata), le ultime p~sseggiate, gli ultimi sguardi alla vita, per cui cresce l'amore a mano & mano che essa sfugge. E tutto si chiarisce e compone agli occhi del giovane: la sorella, con cui aveva tante volte bisticciato, risplende di quella sua verde maternità ed è il buon angelo che fugherà gli incubi delle notti insonni; il padre diventa quel martire del lavoro che in fondo era Btato sempre; e la stessa matrigna si rivela un'ottima me dre, cristiana di professione e di fatto. Tutto è pace allorché, in un supremo desiderio di vita, Hekiro chiude gli occhi per sempre. Dopo lo stento iniziale il pubblico ha ingranato e si è vivamente commosso alla triste vicenda. Dove gli accenti più realistici (sbocchi di sangue, rantoli e così via) non turbano il ritmo tranquillo dell'elegia, ne sono appena gli asterischi, e i colori stemperati e sommessi, i colori soggettivi del malato, sottolineano, non meno della suggestiva colonna sonora, lo strazio interno di una morte giovane. Come altri film di Ichikawa, anche questo vuole una certa pazienza nello spettatore occidentale; sulle prime non conquista, sembra esercizio calligrafico; poi uno se ne sente avvolto e penetrato. Ottimi i due giovani protagonisti, Keiko Kishi e Hiroshi Kawaguchi (rispettivamente Gen e Hekiro), degni, come tutti gli altri interpreti, delle squisite esigenza con cui questo regista giapponese suole condurre i suoi non facili film. Nel pomeriggio, dopo un'assenza di anni, è ritornato sullo schermo di Cannes il cinema di Israele: ma forse era meglio aspettare migliore occasione. Il film presentato è piuttosto scemerottòlo, si intitola Amo -Mike (Bongiorno non c'entra), e lo ha detto con stentata disinvoltura il regista Peter Frye. I maneggi per maritare una ragazza con un cow-boy milionario di passaggio a Tel Aviv falliscono per la buona ragione che lei ama un altro e lui un'altra. Alla fine due coppie raggianti hanno trovato il pxibblieo piuttosto scuro e annoiato. Le tentazioni delle commediole leggere sono specialmente funeste ai cinema cosiddetti minori, dai quali è giusto pretendere che gli errori siano almeno magnanimi. Notizie sparse. Sono attese per domani: Sophia Loren. protagonista della « Ciociara », che atterrerà in mattinata all'aeroporto di Nizza; e la signora Caterina Furtseva, ministro della Cultura dell'Urss e membro del Presidio del Co mitato centrale del partito co muniste. Omaggio a Gary Cooper. La direzione del Festival rimetterà al regista americano Zinnemann, membro della giuria, perché la consegni al l'attore malato, la Croce d'uf ficiale dell'Ordine delle Arti e delle Lettere. Inaugurazione sulla sabbia della Croisette di un « Club Anarchia e Liber tà », fondato da René Clément, regista del film italiano «Che gioia vivere », club che ha per statuto di non averne nessuno, come si è ben capito dall'as salto ai rinfreschi. Leo Pestelli Keiko Kishi (a destra), delicata protagonista del film giapponese «Mio fratello», passeggia sulla Croisette di Cannes con due giovani attrici connazionali (Telef.)
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