I pescatori di Lampedusa, giganti senza paura vivono in primitiva miseria tra le pietre desolate di Francesco Rosso

I pescatori di Lampedusa, giganti senza paura vivono in primitiva miseria tra le pietre desolate AI CONFINI DELLA SICILIA, MOLTI NON HANNO MAI VISTO UN'ARANCIA I pescatori di Lampedusa, giganti senza paura vivono in primitiva miseria tra le pietre desolate I Borboni fecero di quello scoglio deserto una colonia penale; oggi ha cinquemila abitanti, ma nemmeno un albero od un fiore - Il mare è l'unica risorsa, avara e pericolosa - Laggiù l'Italia è assente: i due medici condotti, l'ostetrica, i professori della Media attendono da mesi Io stipendio; mancano la luce, l'infermeria e spesso anche i rifornimenti vitali - Eppure l'isola brulica di bambini belli e selvatici; nessuno emigra: preferiscono affrontare con freddo coraggio la morte in mare (Dal nostro inviato speciale) Lampedusa, aprile. Un'isola di pietra bianca, nuda e piatta come una tavola, levigata dal vento perenne, intrisa di sole, galleggia sul mare turchino oppressa dal cielo turchino. Non un albero, una siepe, un lampo di verde nella bianchezza rovente; tre palme tisiche e polverose fra i cubi delle case basse completano la fisionomia africana di Lampedusa, estremo -con/ine d'Italia alla deriva sociale nel Mediterraneo. Sul liscio zatterone di pietra bianca deve essersi, rifugiata l'ultima progenie dei titani; almeno, penso che cosi sia perché gli esseri comuni non potrebbero vivere a Lampedusa. Da dove vengano questi uomini alti due metri, sovente di occhi chiari e crespi capelli biondi, nessuno ha saputo' dirmelo con esattezza; dalla Sicilia, dicono. Un se¬ calo e mezzo addietro l'isola era deserta, ci volle l'aguzzina durezza dei Borboni per trasferire gente sulla sterile pietraia, divenuta poi galera per i deportati. Nel 1860 l'Italia arrivò fin qui, ma Lampedusa continuò ad essere una Caiennà mediterranea fino al 1939, quando fu rapidamente sgomberata dai delinquenti comuni e dai confinati politici che il fascismo accomunava nella stessa pena, e trasformata in fortilizio. Oli uomini di Lampedusa sono di una tempra particolare, miti, cortesi, ospitalissimi e duri fino all'insensibilità. In quesVisola tutto è primitivo, in ogni senso, dal coraggio disumano al gusto dionisiaco della vita. < Se vuole — mi diceva il capitano Gioachino Sferlazzo — la accompagno a vedere la mina ». Il 6 aprile alcuni pescatori videro una mina vagante a tre miglia dalla costa di Lampedusa ed avvertirono la capitaneria di Porto Empedocle; oggi 21 aprile la mina continua a « scarrocciare », come dicono qui, con i suoi centoventi chili di tritolo sulle rotte dei pescherecci e dei due vapori bisettimanali che collegano l'isola con la Sicilia. Da Porto Empedocle è giunto ai pescatori che l'hanno scoperta e segnalata l'ironico avvertimento che una mina, è sulla rotta delle loro imbarcazioni, nulla più. I pescatori escono ugualmente in mare e non perché gli piaccia farsi lacerare dalle mine vaganti; se incominciassero ad aver paura, sarebbero costretti a cambiare mestiere e residenza. A Lampedusa non è consentito tremare, naufragio e morte sono compagni assidui sempre in attesa sulla prora delle barche, ma per vivere i pescatori devono accettare quella regola. Il 15 dicembre scorso, in una sera di tempesta, col mare così alto che pareva sommergere l'isola, il peschereccio Andromeda fu scagliato dalle onde contro le scogliere. Un giovanotto avvistò i naufraghi e corse in paese a dare l'allarme. Carabinieri, guardie di Finanza, i due aviatori della stazione meteorologica e molta gente partirono al salvataggio; videro a venti metri dalla riva la nave spaccata in due sugli scogli, alla luce del faro d'una motocicletta. Aggrappati a poppa i naufraghi gridavano parole che il fragore del mare cancellava, ma erano vicini, e con una fune avrebbero po-. tuto salvarli. D'improvviso il faro della motoretta si spense, era bruciata la lampada. Nessuno, carabinieri, guardie di Finanza, avieri, aveva una torcia elettrica, i naufraghi gridavano atterriti, ma in quelle tenebre non potevano vederli né aiutarti. Quando giunse un pescatore con una lampada tutto era finito, soltanto il mare continuava a mugghiare-feroce. Tre naufraghi furono scagliati in salvo sulla scogliera da ondate misericordiose, dodici morirono. « Questo modo di morire non ci atterrisce, fa parte della nostra condizione, ma ci offende la speculazione altrui. Radio, televisione, giornali variarono del naufragio deZrAnàrorheda. con toni dràthmatici, dissero che la Marina-militare ed una squadra di elicotteri partecipavano alla ricerca dei naufraghi; non abbiamo visto una barchetta e gli elicotteri nemmeno sappiamo come sono fatti. Dieci dei dodici naufraghi morti li hanno ripescati loro, con i pescatori di Lampedusa >. Il (mio interlocutore indicò il giovane carabiniere e il finanziere, che ascoltavano in silenzio lo sfa-, go del loro amico amareggiato. <Poi ci sono stati i funerali, ma ancora fatti tra noi. Una flottiglia di pescherecci venne da Mazzara del Vallo a prendersi le dieci bare ed i tre scampati, un viaggio solo per vivi e morti perché lo spreco non ci è consentito >. Il mio interlocutore, il professor Giovanni Buzzetta, è incaricato di disegno della scuola media di Lampedusa, insegna otto ore settimanali e guadagna £7.840 lire al mese, arrotondate di tre lire perché il suo stipendio sarebbe di 27.837 lire. Bo detto sarebbe ed il condizionale ha qui tutto il suo significato. Infatti, il professor Buzzetta attese lo stipendio a fine ottobre, novembre, dicembre e mai gli arrivò un centesimo. A gennaio gli pagarono lo stipendio di quel mese, e lo stesso accadde a febbraio. A fine marzo si ripetè la storia dell'anno scorso, cosicché lui e gli altri nove insegnanti della scuola media di Lampedusa devono ancora riscuotere gli stipendi di ottobre, novembre, dicembre, la tredicesima mensilità, e lo stipendio di marzo. Però, avvicinandosi la celebrazione del centenario dell'Unità nazionale, hanno sborsato 500 lire ciascuno per comperare la bandiera da esporre alla finestra della scuola il £7 marzo; al Provveditorato di Agrigento evidentemente hanno dimenticato che Lampedusa fa parte della Repubblica italiana. Lo hanno dimenticato anche a Palermo, dove i deputati regionali pensano che soltanto le crisi politiche, le sterili accademie, le bizantine contabilità siano fatiche meritorie, non l'amministrazione. Con molti miliardi fossilizzati in banca, la Regione non paga lo stipendio ai suoi dipendenti, quelli minuti s'intende. Dovrebbe versare a Lampedusa il 65 per cento delle spese di assistenza sanitaria, le somme che il Comune completa per pagare lo stipendio ai suoi impiegati; da otto mesi il medico condotto, l'ostetrica, il segretario, il netturbino, le guardie e tutti gli impiegati municipali non ricevono stipendio, perché Palermo non ha mandato un centesimo. 'Come facciano a vivere, loro ed i professori della scuola media, non saprei, ma in qualche modo vivono come moltissimi dei cinquemila abitanti di Lampedusa. Cornea già, dèti&fVisòla è una calva tavola di pietra e il mare è la sola fonte di vita. Quando le barche tornano vuote di pesce, è come se avanzassero nella scia della fame. Una statistica recente ha stabilito che il reddito medio dei cinquemila abitanti di Lampedusa è di 350 lire al giorno, ma qui la somma non ha- significato perché nell'isola c'è soltanto pesce, null'altro; tutto il necessario deve essere trasportato dai due vapori in servizio bisettimanale con la Sicilia, ed i costi sono ingenti. Si pagano 500 lire per un chilo di aglio, 200 per una bottiglia d'acqua minerale ed i prezzi di carne, frutta e verdura sono su quella scala. Ci sono centinaia di bambini, ed anche di adulti, che 'non hanno mai assaggiato un'arancia, una mela, che non hanno più, bevuto una goccia di latte da che hanno cessato di succhiare quello materno, non sanno quale forma e sapore abbiano rape e carote, non hanno mai mangiato carne. D'inverno accade che per venti giorni i piroscafi non possono scaricare la merce, non arriva la posta, si esauriscono sigarette, sale e farina, manca il pane per cui entra in funzione la riserva di galletta durissimo) da spaccare con la scure. Parlando con alcuni ragazzi gli ho domandato se sanno dov'è l'Italia; mi hanno agitato di- IIlllItllIIIIIIIIIiaillIlllllllllllllllIllIMÌIIIIIIIllllD nanzi agli occhi le cinque difa riunite a punta come a dire: < Che è questa roba? ». Quando parlavo di esistenza primitiva, era con un'intenzione precisa; per la scarsa elettricità prodotta da un motore asmatico, la radio quasi non si sente, la televisione non si vede del tutto e il radiotelefono è un martirio. Si sta con un microfono da un chilo fra le mani e la cuffia incollata alle orecchie in attesa del collegamento; quando arriva si sentono fischi, urli, boati che spaccano i timpani, non la voce deJI'interlocutore. < Potrebbe scoppiare la guerra e noi lo sapremmo all'arrivo del piroscafo coi giornali vecchi di tre giorni, — diceva il professor Buzzetta. — Ma non ci preoccupiamo di ciò, i guai nostri sono già sufficienti, in queste condizioni possiamo morire anche per un banale malanno*. A Lampedusa ci sono due medici generici, ma non esiste un'infermeria. Per farsi curare un dente devono andare a Porto Empedocle e sopportare quindici ore di traversata; se si ammalano di appendicite il sabato, devono attendere il piroscafo fino al mercoledì successivo. Per fortuna loro non hanno quasi mai bisogno del chirurgo, sono di razza dura, e se non li porta via anzitem,po il. mare, campano .fino. a cent'anni. L'altra sera ho ve¬ duto in una osteria un centenario giocare a carte e litìgare col compagno con urla che facevano tremare le pareti. Mi dissero che gridava a quel modo perché non si è ancora abituato alla sordità che lo affligge da alcuni mesi. I funerali sono scarsi a Lampedusa ed il mio amico Beppe Sorrentino, che vende bare,.si lagna degli scarsi affari. L'anno scorso sono morti 39 lampedusani, ma non tutti sono stati seppelliti con funerali degni di un cristiano; alcuni sono rimasti nel profondo mare azzurro. Se i morti sono pochi, abbondano le nascite, nel 1960 sono venuti al mondo 108 bambini e la media dei neonati si aggira sui 110 l'anno. Lampedusa brulica di bambini, tutti bellissimi e selvatici. A piedi nudi, coperti da pochi stracci, maschi e femminucce sfrecciano con la loro esultante bellezza animalesca sulle roventi scogliere, svelti come lepri, già avidi di spazio e luce appena divezzati. Per frugarli nei cespugli di capelli crespi e liberarli da I inquilini molesti, le madri devono afferrarli di sorpresa nell'impeto della corsa, come cerbiatti al laccio. , Crescendo diventano identici ai padri, ai nonni, ai bisnonni, uomini mitissimi e coraggiosi fino alla durezza dei primitivi, perché su quest'isola si può vivere soltanto così, in perpetua lotta isolata contro il mare, nel vento che sibila perenne, sotto il cielo sempre azzurro e sterile. Sono italiani perché pagano le tasse, fanno il servizio militare, parlano la nostra lingua, usano la nostra moneta; ma se gli domandate dov'è l'Italia, uniscono a punta le cinque dita della mano e ve le muovono sotto gli occhi come a domandarvi: < Che è questa roba? ». Sono abituati a provvedere da soli ai propri bisogni elementari nella loro piccolissima patria pietrosa, desolata e selvaggiamente bella. Poveri sino all'indigenza, rinunciano a tutto ciò che potrebbe rendergli più confortevole desistenza e nessuno ha mai abbandonato l'isola. I titani non emigrano. Francesco Rosso

Persone citate: Beppe Sorrentino, Borboni, Buzzetta, Cornea, Gioachino Sferlazzo, Giovanni Buzzetta, Mazzara