I nostri ricordi di Guido Piovene

I nostri ricordi I nostri ricordi Uno sforzo della mia vita è qucllo di accordare razionalmen- te le mie idee sociali e politiche con un soggettivismo estremo, che per me è soprattutto memoria, c non potrei e non voglio ..sopprimere, senza però dare a me stesso una impressione di doppiezza. Ma scartando qualsiasi soluzione, o teorica o pratica, che consista in una rinuncia, in un dimezzamento, in una disciplina intcriore o esteriore a danno di una parte del nostro essere. Giacché oggi più che mai mi sembra necessario sforzarsi di condurrò in porto il nostro essere intero, e anche in questo consiste il coraggio intellettuale, mentre il sacrificarlo in parte è sempre un atto.sdi viltà. Da un paio d'anni penso spesso, e mi sembra sempre più bella, a una pagina di Benedetto Croce nei Frammenti di etica, che avevo dimenticata, e che ci è stata •ricordata da Ernesto De Martino: la pagina che parla della necessità di allontanarsi dalle tombe e di far si che i morti muoiano effettivamente in noi. E' piena di suggerimenti, validi anche per gli artisti; giacché far si che i morti muoiano effettivamente in noi non vuol dire annientarli, ma trasferirli nei valori, dove torna-, no a vivere in un'altra maniera efficace ma innocua. Ho visto intorno a me troppe volte le conseguenze squallide della incapacità, del rifiuto ostinato di far morire i morti; che qualche volta non è privo di nobiltà, ed ha un valore di rivolta; ma insomma porta al disordine, alla disgregazione, alla nevrosi manifesta se il caso resta circoscritto alla propria persona, oppure a quella forma altrettanto invincibile di nevrosi trasmessa in idee apparentemente oggettive, che è il conservatorismo cieco nelle faccende pubbliche. I morti non sono soltanto persone, ma anche un ambiente ed un sistema di ricordi legati ai fatti e ai luoghi. Un giovane scrittore mio amico, che non è filosofo, ai suoi primi guadagni ha voluto farsi una casa nei luoghi che aveva amato di più e che lo tormentavano nei-ricordi. L'esito è stato disastroso, ha dovuto scappare respinto dalla sensazione di falsità, e solò adesso si è esiliato per sempre da quei luoghi, nei quali non trova più piacere nem-/ meno di passaggio e con la fantasia. Ha veramente ucciso i morti proprio perché ha voluto farli rivivere. Del resto, ho sotto gli occhi un continuo spettacolo di noie, di energie sprecate, di delusioni e di idee deformate, in persone che vogliono ad ogni costo e contro tempo difendere- là sopravvivenza dei loro ricordi nei fatti; mentre sarebbe tanto più conveniente- dire : sono fantasie e basta, il che toglierebbe loro ogni carattere meschino e le trasformerebbe in valori poetici attivi. E' un discorso che mi faccio spesso, perché in me la memoria ha una parte predominante, e le distinzioni e gli argini mi sono perciò necessari. Credo d'essere un uomo attivo, sebbene pigro, ho passione politica, non potrei concepire di vivere appartato senza agire sugli altri e farli agire su di me. Tutta una parte essenziale di me è in questa direzione. Ma nello stesso tempo. devo ammettere di essere un uomo specialmente assillato da ricordi che vengono come da un altro tempo e che hanno il vigore delle allucinazioni. Essi mi scuotono la notte, mi aspettano al risveglio, e non porrei nemmeno chiamarli fantasmi perché hanno la nettezza delle cose reali. Mi capita che un ricordo, ripescato una volta, non mi abbandoni più e continui a lavorarmi dentro come un organismo autonomo ad insaputa di me stesso. Tempo fa, di sfuggita, ho ricordato in uno scritto l'impressione avuta vedendo in una enciclopedia per ragazzi la ricostruzione a colori del tempio di' Luxor. Adesso vedo esattamente, con il punto giusto di tono, lo scintillio morbido della' luce su quei colori vivi, il pavimento, lo scaffale, il platano che si mostrava attraverso la finestra aperta, dietro la cupola del duomo, il senso e le relazioni infinite di quel momento della vita che non si può restituire con una semplice enumerazione .d'oggetti; e so che tutto questo è esatto, veramente risorto com'era, non manipolato. Lo stesso potrei dire di alcuni specchi su cui erano disegnate scene bibliche, Rebecca al pozzo, il giudizio di Salomone, Mose salvato dalle acque, i quali hanno avuto sulla mia vita un'importanza che non so calcolare. Così, delle persone di servizio della mia infanzia, dai nomi più comuni, Gigia, Rita, Angelo, Ines, Giuseppe, che si sono mescolate in me ai personaggi dei- poemi epico-cavallereschi, gli Ulisse, gli Achille, le Andromache, i Rinaldi e le Armide, epiche con i gesti e le parole d'ogni giorno. Non posso che accettarle, perché appartengono al reale; nessuna dottrina sull'arte potrebbe farmi rinunciare al loro diritto alla vita, a questo genere di vita, che è poi tutt'uno con il mio diritto di vivere. L'arte per me resta soprattutto memoria, benché non soltanto memoria, non saprei immaginare definizione differente. Vedendo questo da un altro angolo, ricordo la conversazione avuta anni fa con un critico francese mio amico, Mayoux. Egli sosteneva che la paura di morire. specie quando prende una forma fantastica e,ossessiva,.'è un seftr timento' superato,-poco moderno. Io gli davo ragione. Questo non m'impedì, la sera prima di addormentarmi, di subire il mio solito quarto d'ora tremendo, e proprio nel senso di cui avevo fatto con Mayoux giustizia sommaria. In compenso, più tardi, incontrai a Leningrado una scrittrice sovietica, Vera Panova. Mi disse che per lei il problema numero uno rimane quello della morte, e che considera manchévoli le opere d'arte in cui non se ne avverte la presenza. Questa era, à ragione o a torto, l'obiezione che faceva a Hemingway, col quale perciò non trovava una vera corrispondenza. Moravia, tornato dall'India, mi descriveva come autentica, cioè veramente sentita (sebbene, a >suo parere, derivante da condizioni storiche, da certe condizioni infernali della vita indiana) una religiosità che spinge non al desiderio 'di vivere' còme persone ma a quello dell'anniéntamcnto, alla perdita di se stessi in una vita universale senza ricordi della quale, personalmente, non mi importerebbe un bel nulla. Pensavo quanto limitata, veramente dii i h l i . a r . n o o n n a e o e e a e a ò , , , ) l a i e a facoltà di comprendere gli uomini, quanto vi sia di dubbio nel detto: niente di umano mi è estraneo. Un individuo per esempio che desidera di non essere, mi è interamente estraneo come esperienza esistenziale, e mi riesce incomprensibile. Quello che per lui è lo scopo più profondo dell'esistenza, per me è un'ingiustizia e un'ingiuria. Una tra le più grandi pagine di poesia è per me lo sfogo di Achille: meglio vivere in qualsiasi modo, anche inferiore e duro, che regnare sui morti. Vi è una relazione tra questi pensieri e quelli sui ricordi, in quanto il desiderio e la paura di morire mi sembrano collegati con' la memoria. Essi sono tanto più intensi, quanto più la memoria assume nella vita di un uomo una patte importante. Quel quarto, d'ora di paura di cui ho parlato, è per me anche un quarto d'ora di ricordi quasi palpabili; con la sensazione- d'essere l'unico luogo dove vive un mondo di persone e cose; che perderà con me qualunque forma d'esistenza; così aborro la morte per me stesso e per loro. Penso che uno fra gli elementi dell'arte sia e resti questo sentimento di responsabilità del ricordo; lo ritrovo evidente in quasi tutte le opere fondamentali. Guido Piovene

Persone citate: Benedetto Croce, Ernesto De Martino, Hemingway, Moravia, Panova, Rinaldi

Luoghi citati: India, Leningrado