Un mondo conformista

Un mondo conformista Delle molte cose stimolanti che Bertrand Russell ha detto al suo intervistatore Woodrow ,VVyatt (vedi il- volume pubblicato da Longanesi, Russell dice la sua), sottolineerei in modo particolare quelle sui pericoli del mondo amministrativo, cioè del mondo educato nel conformismo. A Wyatt che gli obiettava, la possibilità di una sopravvivenza dei gruppi indipendenti, Russell rispondeva : « Credo di no. No. Voglio dire che la gente del tipo al quale appartengo, è cresciur ta in un mondo antiquato. Un mondo più vario di quello che contemplo per il futuro. Il mondo nel quale c'erano molte più scappatoie, molte più eccezióni, e dove tutti non venivano messi in uno stampo preciso, come immagino accadrà in avvenire ». Russell ha passato gli ottanta e la sua potrebbe essere" una battuta di umore dettata dall'età e dal peso delle delusioni. Non è così, si tratta di una osservazione giusta. E forse avrebbe fatto bene ad aggiungere che la riprova di questa riduzione costante e progressiva dell'aria di libertà sta nella supina accettazione delle nuove generazioni, dell'educazione di pura obbedienza. La mistura del dialogo, della collaborazione critica spesso non è ammessa, ma il più delle volte non è .neppure sollecitata. Tanto è vero che neanche il mondo « libero » l'apprezza più. Guardate la letteratura, l'arte, dove persino l'avanguardia è diventata una misura di ordine, forse il più pericoloso riflesso del conformismo. Che cosa significa? Una cosa sola, non si fa più credito alla ricerca pura e disinteressata, ci si limita ad accettare un gioco imposto dalla società e dagli interessi di determinati gruppi. Fra l'avanguardia della società occidentale e l'arte obbligata dei paesi comunisti, non c'è differenza sostanziale : in realtà si tratta di due modi diversi di rispondere alla stessa esigenza. Le cose sarebbero diverse se dall'Unione Sovietica ci arrivasse qualcosa di veramente nuovo, un altro Dottor Zivago, che costituisse cioè l'« eccezione », la scappatoia di Russell, e se fra di noi vedessimo nascere qualcosa di autentico, di necessario nel campo dell'ordine e della tradizione, com'è accaduto col Gattopardo. Ancora, Russell osserva che nella" nuova Russia non è più nato' nessun TcJlstoi, ma che còsa è nato da noi negli ultimi quarant'anni? Non verificandosi ciò, non credendo più allo scrittore come interprete, si ricorre allo sperimentalismo, al sistema degli accorgimenti, delle tecniche, con l'evidente illusione di trovare su quella strada qualcosa di nuovo. Sennonché tecniche, problemi, misure d'arte restano dei palliativi ed evitano il problema di fondo, che è quello di conoscere l'uomo e di illustrarlo. Morto lo scrittore intero, abbiamo ripiegato sullo scrittore di testa, sull'esecutore. Ma c'è di peggio: a poco a poco si è radicata in tutti noi l'idea' che l'arte sia soltanto un prodotto e che la sua soluzione vada dunque regolata con le tecniche moderne di produzione e di diffusione. Un editore — se lo vuole — può fare il successo d'un libro, riesce a imporre uno scrittore. Ben inteso non si tratta di vincere la guerra col tempo, ma di riportare'un successo immediato, che duri una stagione: che, a suo modo,, produca, renda, faccia girare il capitale. Non si spiegherebbero altrimenti lo slancio produttivo degli editori e l'illusione degli scrittori, le loro pretese, il sospetto di avere meno degli altri sul piano della pubblicità e del lancio : il ricorso alla carriera. Ciò che costituiva l'elemento vitale della creazione, viene in tal modo tacitamente accantonato; e proprio perché alla base manca un minimo di fede, tutti sono disposti a stare al gioco, a dire quello che pensano possa piacere, a rinnovarsi dall'esterno a ogni stagione. Per esempio, che necessità c'è in scrittori affermati come Claude Mauriac o nell'ultima scoperta italiana, Rodolfo Celletti? Provate a leggere l'ultimo libro del primo, La marquise sortit à cinq beures (edizione Albin Michel) e il primo del nostro Celletti, Viale Bianca Maria (edizione Fel trinelli). Lasciate da parte l'abilità che è notevole in tutti e due (soprattutto se si pensa ' che il Celletti è un irregolare alle prime armi), guardate alla sostanza. Che cosà avevano da dire di nuovo, di autentico? Ben poco o nulla. Ma ecco che il figlio Mauriac si mette a tavolino e risolve la costruzione di un romanzo come un puzzle e si lascia incantare dalla sua intelligenza: vuol farcia storia interiore sulla scala de secoli del Carretour de Bouci per restituire il suono dell'umanità, ma che cosa resta al fondo di .quelle conversazioni ricostruite per nomi e per anonimi, che cosa che tocchi veramente il cuore del lettore? Celletti è più ingenuo, quindi Un mondo conformista più ambizioso, si illude di raccontare la storia di un certo mondo che conosce e spesso lo mima assai bene. Ma al momento di cominciare il lavoro vero dello scrittore si arresta, evidentemente nel suo subcosciente ha prevalso un'idea comune del nostro tempo, che basti cioè fotografare, registrare, per creare. A voler allargare il discorso, bisognerebbe aggiungere che più o meno apertamente ~e coscientemente questi scrittori senza fede (non credono a quello che raccontano) hanno un compito preciso, quello di servire il loro pubblico. Un pubblico uguale a loro, senza eccezioni, senza desiderio di scappatoie : un pubblico che non vuole essere disturbato, ma addormentato e tranquillizzato. Nel mondo sovietico con dei libri che esaltino le virtù domestiche, civili, politiche che il regime sostiene, nel nostro mondo con dei libri che giustifichino in qualche modo il nostro modo di vivere. Non si tratta più di vedere dove sta la vita, la verità, ma molto più semplicemente ci si preoccupa di lasciare le cose come stanno, di non disturbare. 11 conformismo, in fondo, è sempre alimentato da una profonda misura di scetticismo facile, sull'orlo del cinismo, dall'inerzia spirituale e intellettuale e dalla paura. Torniamo alla letteratura dei Claude Mauriac e dei Celletti: perche non ci dicono che cosa muove sul fondo dei discorsi inutili ed eterni dei loro personaggi senza volto e senza tempo? Se lo facessero, comincerebbero ad essere scrittori e smetterebbero di essere delle teste a servizio dei consumatori. Carlo Bo

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