«Prima» all'Auditorium Rai di un oratorio del Seicento

«Prima» all'Auditorium Rai di un oratorio del Seicento Concerto diretto da Mario «Prima» all'Auditorium Rai di un oratorio del Seicento Il nome d'un pittore che nel Seicento avesse formato opere nuovissime, degne di stima, di ammirazione, non sarebbe oggi Ignoto ai più com'è quello di Luigi Rossi, musicista nello stesso tempo. Volumi e tavole a colori ne divulgherebbero i dipinti Insieme con notizie, commenti, giudizi. Perfino nelle mondane conversazioni echcRgcrebbero la curiosità, lo stupore, desiati da mostre rivelatrici e da mercantili alte valutazioni. Buon maestro e semplice, eccellente nell'espressione dell'energia drammatica, cantore commovente, onoratissimo in Francia alla quale recò esemplari di grande avvenire, il Rossi è sconosciuto a quegli amanti della musica che mai si scomodano a cercare nozioni e illuminazioni dove son da trovare, nei libri speciali. Purtroppo, un'istituzione qual è la Rai non provvede sufficientemente al culturale avvio degli ignari, sicché un'udizione, rara e abnorme, questa dell'Oraforlo per la Settimana santa del Rossi, cagiona smarrimento. (Neanche stavolta 11 testo è stato offerto in lettura agli Intervenuti). Quale ne sia la stesura secentesca, secondo l'uso Italiano del comporre pel teatro, la chiesa o la camera, su testi dlalogici o monologanti, e come il maestro Alberto Ghislanzoni, autore anche d'una monografia sul Robsì. abbia trascritto, armonizzato, orchestrato ed eventualmente, per sue considerazioni, variato 11 componimento da lui stesso attribuito al musicista pugliese, non è da osporre qui. Non si ha un'edizione documentata. Siamo peraltro certi che il riscontro filologico è stato compiuto, per competenza, dal maestro Mario Rossi, concertatore e direttore di questa primn esecuzione. Tre persone: Pilato, il Demonio, Maria, ed in coro gli Ebrei, i Demoni, le Donne pie, i Discepoli. Giova far notare, sia pur sommariamente, che a parte la tecnica remota, e quasi elementare, e le pagine mediocri, scialbe, inerti, risalta In questo oratorio ciò che in ogni epoca è sostanza d'arte e dell'opera d'arte di qualsiasi specie: la diversità del canti secondo i diversi stati d'animo .'^maginati proprll di singole persone. Questa sensibile diversità talvolta è materiale, convenzionale, nella gravità e negli sgraziati, sforzati salti della voce bassa del Demonio, che s'atteggia orrendo, ed anche nella gravità, ma lineare, con accenti di perplessità, della voce, anch'essa bassa, di PUato;. talvolta si attua con la verlsimiglianza discorsiva nella concitazione corale della Turba inferocita o dei Demoni che incitano il loro capo alla crudeltà; talvolta è intimamente lirica. Quando alla cupezza, rudezza, pesantezza dei Demoni irridenti, maligni, succede, improvvisa, la chiarità, dolente della sopranile voce della Vergine (barocco è il gusto verbale: < Cieli, stelle, pietà», non quello melodico), il muta¬ EdX mento drammatico dell'ambiente è evidente e toccante. E' il lamento della Madre nell'imminenza della crocifissione di Gesù. La retorica usanza del < lamento >, ripetuta in centinaia di melodrammi scenici ed oratoriali nel secolo XVII. si rigenera in una cantica solistica e corale, che non si sublima quanto il Lamcntnmini nella Figlia di Joftc di Carissimi, eppur fluisce, dilaga, ora amaramente cromatizzata, ora soavemente modulante, s'espande, sembra vagare, torna al motore sentimentale: lo strazio, che si contempla, si strema, s'acuisco. Circolano le invocazioni, < Tormenti, non più » due volte replicata, « Rendetemi il mio core», sei volte, c Cieli, stelle», tre volte, e anche: < Dolori, tormenti, crescete », < Piangete, occhi, piangete». Perfino i Demoni cangiano sentimento e accenti, bonariamente si umanizzano. Infine la mestizia si sfoga e disciplina nell'organamento di cinque voci in coro, e il formalistico « Madrigale » risuona come 11 compianto di tutte le genti. Questo episodio, intenso quanto alcune arie amorose ÀMOrfeo, pure di Luigi Rossi, anch'esse ignote ai più, è melodioso, ed agevole al cantanti. Altrove primeggia il recitativo spesso fiacchissimo e sempre difficile. Il recitar cantando, primigenio modo, non è, per una centenaria manchevolezza, inoluso nei doveri delle scuole di canto. Ogni tentativo d'esecuzione è un nuovo cimento, nella scorrevole naturalezza della dizione, nell'accentazione,'e via dicendo. Al modo recitativo si rifanno le parti del Demonio e di Pilato, ed i bassi James Loomis e Raffaele Arie riuscirono quanto potevano, in qualche passo soverchiati dall'armonizzazione strumentale, che negli oratori! del '600, come tutti sanno, era esigua, minima. Una più commossa espressione della soprano Ester Orell avrebbe meglio integrato il pathos della prima Invocazione e di tutto il lamento. La tessitura alta, addicovole alla vocalità romana esercitata nel Cinque e Seicento, impose a tutti un non lieve sforzo per la perfetta intonazione, pure al coro, anche stavolta preparato ottimamente dal maestro Maghini, Il maestro Mario Rossi diresse poi i Solenni vespri de co7ifc8sorc, che sono da noverare fra le meno felici opere di Mozart. L'espressione è generica, Impropria, subordinata al preconcetto della < musica da chiesa», non drammatica, non commossa, e magari scolastica. Un'aria, incantevole nella melodiosità, candida, raffinatissima, fu mirabilmente valorizzata dalla bella voce e perfetta tecnica di Nicoletta Panni, ma è in realtà estranea al carattere della composizione. La contralto Luisella Ciaffi, il tenore Nicola Monti, il basso James Loomis e il coro completarono degnamente la compagine. La sicura, esperta concertazione e 1p fedele interpretazione ottennero al maestro Rossi calorosi applausi, che egli sparti con tutti i collaboratori, j „ a. ci. c.

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