Parla il «postino» della prigione

Parla il «postino» della prigione Parla il «postino» della prigione (Dal nostro inviato spedale) Roma, 23 marzo. E' sfilato oggi, davanti ai giudici della Corte d'Assise, un gruppetto di detenuti ed ex detenuti, chiamati a deporre sui bigliettini che Giovanni Fenaroli scrisse, sull'involto delle tavolette di cioccolata, e tentò di trasmettere ai condetenuti Ghiani e Inzolia, al tempo dei primi interrogatori. Romolo Vai, un giovane romano dai lisci capelli scuri, è apparso in tuta a strisce, nere e marron, i polsi ancora arrossati dai ferri. €Sono lo scopino del quinto braccio — si presenta — e lo ero anche nell'inverno del '59. Un giorno, un detenuto del secondo braccio mi lancia da una finestra una scatola di fiammiferi. " Dalli a Barbaro ", mi dice. C'era però, vicino a me, una guardia: mi tolse la scatola di mano. La sera fui chiamato dal giudice istruttore! Cosa c'èt, dico. Dice: "Apri un po' lì, quella scatola". Era la scatola dei fiammiferi. La apro, c'è un biglietto. Dice: "Leggi un po'!". Ma io: "Non so leggere". Tutto qui ». Romolo Vai si ferma, fa il gesto di alzarsi. Ma il presidente scartabella libroni, il giudice a latere altri libroni, il pubblico ministero, gli avvocati, tutti scartabellano libroni, pescano carte. E l'uomo in tuta a strisce li, sulla sedia, a guardare stupito quel gran rimescolamento di pagine. «Ascolti un po' quello che lei ha detto in istruttoria! », gli fa il presidente La Bua. E il giudice a latere comincia a leggere: il bigliettino, Romolo Vai, lo vide subito, nella scatola dei fiammiferi. «E allora?», domanda il presidente. «Sono passati due anni e mezzo, come faccio a ricordarmi? », comincia a tremare Romolo Vai. « Si tranquillizzi, non si sta facendo il processo a lei! », lo I{^^a striaceTa^paura. « Io... io dico la verità. Io ho sempre lavorato, signor presidente, sempre lavorato nome scopino. Se l'ho riconosciuto l'uomo che mi gettò la scatolat No, no: si affacciò alla finestra, ma non lo vidi in faccia. Solo la testa gli vidi. La sera, quando il giudice m'interrogò, mi mostrò un af.tro detenuto. Io gli dissi: " Adesso tu mi rovini". Gli fanno vedere Giovanni Fenaroli: "E' questo il detenuto che lanciò la scatola di fiammiferit ". "No, no, questo qui lo conosco solo da una ventina di giorni"*. Arcangelo Campanile, anche lui sui trentacinque, detenuto, ma vestita in abito chiaro, le guance infossate, le membra scosse da un tremore inquieto. < Vincenzo Barbaro mi minacciava, mi ricattava, diceva ohe non mi avrebbe più fatto uscire di prigione. Diceva: "Hai un figlio, ricordati, non lo devi vedere più". Io continuavo a chiedere,alla direzione: mandatemi in un altro carcere. Barbaro è coimputato con me, per furto e truffa e mi tiene sotto la sua influenza. Io avevo confessato, e lui voleva che ritrattassi. Ma la direzione non la voleva capire. Io sono barbiere, signor presidente, e quando un detenuto mi chiama, devo andare. E Barbaro, sempre mi chiamava. Un giorno mi dice: "Ho fatto il viaggio con Inzolia e mi ha confidato tutto!". Si fregava le mani, " qui si tratta di fare i soldoni ", diceva. « Un giorno .— continua Arcangelo Campanile — mi arriva in cella un libro di giurisprudenza. E' Barbaro, dico. Infatti, dentro il libro c'è un biglietttno che Barbaro mi impone di fare arrivare a Fenaroli. Io, invece, lo brucio. Non me ne volevo impicciare. L'indomani, mentre stiamo a prendere aria, mi si avvicina Fenaroli e mi dice: "Ne sai nulla dei bigliettini di Barbarot ". Gli mentii: "So tutto". Allora Fenaroli si rabbuiò, mi disse che ci sarebbe stato un premio per me se fossi riuscito a /arditeli avere di ritomo. Io gli dissi: "Ma di che si preoccupa, se è innocentet ". "Possono es sere compromettenti ", mi spie gò, e poi volle sapere se tra i biglietti che avevo letto ce n'era uno ohe parlava di corse, un altro di gioielli. Era molto preoccupato, ma non è vero che io mi convinsi delia sua colpevolezza. Dissi cosi al giudice istruttore per far piacere a Barbaro, perché in quel tempo, signor presidente, Barbaro aveva una influenza fortissima su di me ». Vincenzo Barbaro, il satanel- 10 di tutte le carceri nazionaU fa capolino, in questo discorso, dietro un trasparente episodio di perversione. Arcangelo Campanile, adesso, si torce le lunghe mani sottili. Giovanni Fenaroli ha chiesto d'interloquire e viene condotto sul pretorlo, e fatto sedere vicino a lui. Dice l'imputato: <Non è vero ciò che dice il teste! Io lo avvicinai perché avevo sentito che parlava di me con un altro detenuto, mentre gli faceva la barba. Volli approfondire la cosa, e Campanile mi spiegò che Barbaro tramava un ricatto ai miei danni. Si sfogò, anzi, contro Barbaro, raccontandomi dei falsi e dei ricatti che aveva combinato in giro, dappertutto. Mi disse: " Barbaro è il fuoco, bisogna stare alla largai ". Era logico che mi preoccupassi di sapere in che punto Barbaro cercasse di colpirmi, e cosi gli chiesi notizia sui bigliettini. Mi disse che non li aveva letti e che più volte aveva rifiutato l'offerta di fare il galoppino per Barbaro. Il presidente indaga sul testo di bigliettini: Campanile 11 lesse o finse di averti letti ? E fino a che punto arrivò l'influsso di Vincenzo Barbaro su di luit Campanile si agita sulla sedia e getta sguardi imploranti sull'imputato e sul presidente. « Dica, dica la verità », lo invita il presidente. « Ma e una cosa seria, non vorrei avere un peso sulla coscienza. In quei momenti ero ridotto a uno straccio, non mangiavo, non dormivo, Barbaro mi minacciava. Voleva che ritrattassi la confessione che avevo fatto... ». Stretto dalle contestazioni, Campanile dice che dei biglietti ne sentì parlare da Barbaro, ma questi non glieli fece vedére, e quelle frasi, sui gioielli, sulla corsa in « Giulietta» alla Malpensa, sulla busta o borsa di cuoio del sicario, egli le ricavò dal memoriale che Vincenzo Barbaro stava preparando in carcere. Fenaroli, con la mano sotto il mento, sta godendosi il suo trionfo: <cNel verbale del nostro confronto — egli-dice — ci sono scritte cose diverse da guelfe che io dissi. Lo stesso Campanile può testimoniare che io insistetti presso il giudice per dettare le mie risposte a verbale, ma non fui accontentato* Fenaroli rientra in gabbia; 10 sostituisce sul pretorio Carlo Inzolia per una breve dichiarazione: € Io non ho mai viaggiato con Barbaro, mai visto Barbaro ». Soggiunge che in carcere, vide soltanto il fratello di Barbaro. Sapremo, più tardi, che in un altro braccio di Regina Coeli era rinchiuso anche il padre del famoso Vincenzo dalle mille malizie: un quadretto di famiglia. Fin che Inzolia è sul podio 11 suo difensore Cesare Degli Occhi approfitta per farsi dire dall'imputato alcuni particola ri relativi al suo arresto e alla sua detenzione: «Mi vennero ad arrestare, nel negozio di piazza Napoli, in cinque adenti più un ispettore. Non lasciarono nemmeno che mi prendessi il cappello, né l'impermeabile. A Roma mi misero subito neZ " grande isolamento". Tutte le domande che io feci per poter lavorare mi furono respinte*. j La deposizione di Garibaldi Pera, lo scopino oggi in libertà che fece la spòla tra Barbaro e Fenaroli, è la più importante della giornata. L'uomo veste correttamente, un paltò nero sopra un abito marrone, i capelli grigi ben spartiti e ben pettinati; un inchino servile, un fare allegro, disinvolto sin dalle prime battute. Aveva il compito, egli narra, di consolare i condetenuti con qualche manata sulla spalla, qualche sigaretta, qualche parola buona. < Aveva cura d'anime ? », si informa ironicamente Degli Occhi. Ma Garibaldi Pera non raccoglie e continua imperterrito: E', questa, la più grande giornata della sua vita, e ne capiremo presto il perché. Si sostiene infatti che egli non lesse mai i bigliettini che gli passarono tra le mani per il motivo che non li poteva leggere, essendo analfabeta. Che è, che non è, Garibaldi Pera è in grado di smentire questa circostanza, abbondantemente affermata dai verbali istruttori. «Avrà imparato in questi ultimi mesi ai corsi della televisione per analfabeti*, mormoravano oggi i difensori, disorientati dall'inattesa novità. Il racconto di Garibaldi Pera, le contestazioni e il confronto hanno occupato quasi tre ore. Anzitutto, egli rivendica Z'intelativa di aver fatto scrivere a Fenaroli quel messaggi; li prendeva in consegna e Zi andava a nascondere sotto una catasta di coperte nel magazzino di Regina Coeli. Ma un giorno, preparandosi Za visita di Giovanni XXIII alle carceri, alcuni « pericolosi* vennero chiusi nell'isolamento, e tra essi Barbaro «Ha Barbaro — spiega il teste — non era vestito come noi, non aveva la tuta, insomma. Vestiva abito civile, era elegante, profumato; diceva che era incaricato dall'autorità giudiziaria per fare delle indagini sul delitto Martirano. Portava con sé una scatola con carta da lettere, buste, calamai, penne, matite ». Il racconto dell'ex-scopino prosegue: Barbaro gli propone di collaborare con lui; Pera resiste, Barbaro si fa più pres sante: €Beh, non è vero che 10 sia incaricato dell'autorità giudiziaria. Sono anch'io un detenuto, ma qui c'è da guadagnare per tutti!». E gli svelò di avere intensio ne di truffare Fenaroli, e in quella stessa occasione gli diede un biglietto per il geometra. Il biglietto diceva: « So perché non siete ancora usciti perché Ghiani non sa precisare dove ha passato la notte fra 11 10 e VII settembre. Io però posso far risultare, tramite un albergatore di Milano, mio amico, che Ghiani ha dormito quella notte nel suo albergo in compagnia di una donna» Per questo « servizio » Barba- ro aveva stabilito anche la parcella: dieci milioni. Più\ i a i i n n . a l a l i i Fenaroli teste Arcangelo Campanile durante il confronto diretto (Telefoto)

Luoghi citati: Martirano, Milano, Roma