Come un romanzo di appendice di Nicola Adelfi

Come un romanzo di appendice Come un romanzo di appendice (Nostro servizio particolare) Roma, 17 marzo. L'udienza di oggi, come se la trama del processo fosse stata ideata e scritta da un sanguigno scrittore di « feuilletons » del secolo scorso, ha portato | d'improvviso alla ribalta i gioielli della donna strangolata. Non sono pezzi di oreficeria eccezionali (valgono popò più di un milione), ma eccezionali li rende il mistero che tuttora li avvolge. Furono rubati dalle mani di un assassino in un appartamento romano, verso la mezzanotte del 10 settembre 1958, e vennero ritrovati venti mesi dopo, il 13 maggio dell'anno scorso, nella camera oscura destinata allo sviluppo di microfilm presso una ditta di Milano. Secondo l'accusa, fu Raoul Ghiani a uccidere Maria Martirano, a rubare i gioielli per simulare un assassinio per furto, a portarli a Milano, alla ditta « Vembi » dove lui lavorava, ad avvolgerli in un pezzo di stoffa scozzese e a nasconderli in una lattina sotto due sacchetti di un acido in polvere che non veniva più usato per lo sviluppo dei microfilm. Vediamo anzitutto come si difende il Ghiani. « Secondo l'accusa, io avrei nascosto bracciali e catenine in un locale dove tutti i dipendenti potevano entrare a loro agio e in una scatola che qualsiasi dipendente poteva toccare, muovere, asportare e cioè nel posto meno adatto ad occultare qualcosa di davvero oom• promettente. Questo, quando, in una grande città co me Milano, non mi sarebbe stato difficile collocarli in un nascondiglio sicuro o disfarmene del tutto ». Ma allora come mai i gioielli della Martirano furono ritrovati nello stanzino dove lavorava lui, Raoul Ghiani? La risposta che dà lo stesso Ghiani è questa: « Qualcuno, il solito ignoto che mi ha scelto a pagare per lui, è ricorso a questo espediente per accentuare la mia colpevolezza e fino a questo momento la ma i novra sembra gli sia riu scita ». Infine, il Ghiani, sul ca pitolo dei gioielli, avanza Una domanda : « Perché il giudice Modigliani, che dopo il mio arresto aveva compiuto dei sopralluoghi nei locali della " Vembi ", non trovò traccia dei gioielli? E non si può certo dire che il dott. Modigliani al riguardo non abbia dato prova di diligenza». Nell'udienza di oggi Ghiani ha guadagnato qualche punto: i suoi compagni di lavoro, gente semplice e piuttosto intimorita dall'apparato solenne della Giustizia, hanno spiegato che la « Vembi » non è un fortilizio inaccessibile. L'unico custode a volte si assenta per andare al bar o al cinema 0 con la fidanzata, e allora qualsiasi malandrino, anche senza essere un Rocambole, può penetrare nei locali della « Vembi ». Tuttavia, solo lunedì sarà sentito il teste principale. Si chiama Aldo Dusi e fu lui che il 13 maggio dell'anno scorso venne a trovarsi all'improvviso con 1 gioielli della Martirano fra le mani. Capì in un baleno ogni cosa e uscì dalla camera buia barcollando, pallido come un panno lavato. Anche il ritrovamento dei gioielli pare scritto dalla nrsnte fervida di un Saverio Do Montépin o di un Eugenio Sue. Un giorno Aldo Dusi 'esse su una rivista tecnica la descrizione di un nuovo metodo per sviluppare i microfilm mediante un acido prodotto dalla Casa « Ilf ord » ; e si ricordò che quell'acido era stato usato alcuni anni prima dai tecnici della « Vembi » e poi sostituito con un prodotto liquido. Tuttavia, pensò il Dusi, qualche lattina di « Ilf ord » dovrebbe trovarsi tuttora alla « Vembi»; e gli venne la curiosità di sperimentare il pro¬ crotfRvfmiscstnelg«vltMtmdl«unngcsrgniqvaupccslpIRpp e l e i e a r a a e , o e o a n o a , i a o o a n e ò o i e a o¬ cedimento descritto nella rivista che aveva sotto gli occhi. Infatti, trovò la lattina: stava sulla tavola inferiore del bancone dove Raoul Ghiani era solito lavorare. L'aprì e vennero fuori i gioielli. Seguiamo ora il ragionamento che fa il giudice istruttore per dimostrare che fu Raoul Ghiani a nascondere i gioielli nella lattina. L'elettrotecnico milanese era persuaso di aver eseguito alla perfezione il lavoretto di precisione che gli era stato affidato dal « commendatore » e pensava perciò che mai e poi mai la polizia avrebbe sospettato lui della morte di Maria Martirano. Pensò perciò di tenersi i gioielli. Naturalmente non poteva nasconderli a casa sua, ch'è piccola. Decise di portarli alla « Vembi », di nasconderli in una lattina che da tempo nessuno apriva più. E se non fosse stato per la singolare coincidenza dell'articolo pubblicato su una rivista specializzata e della curiosità che prese il Dusi, i gioielli sarebbero ancora là, nella camera buia, avvolti in un pezzo di stoffa. Non tutto però quadra in questa ricostruzione. Gli avvocati del Ghiani affacciano anzi molti dubbi, e almeno un paio di essi ci appaiono piuttosto seri. Sulla lattina contenente • i gioielli non c'era polvere: il che dimostrerebbe che era stata collocata da poco tempo nel posto dove poi fu trovata. Inoltre, sui gioielli non c'erano le impronte digitali di Raoul Ghiani, ma di una persona non identificata. C'è poi un elemento di confusione. Sacchi ha sempre detto che Fenaroli, quando gli fece le famose con fessioni passeggiando nella calda notte romana, gli rivelò che i gioielli della moglie erano stati rubati e nascosti dal Ghiani: però, dove fossero, neppure il Fenaroli sapeva. E' questa una circostanza che appare per lo meno curiosa: è mai possibile che il Fenaroli, nel farsi dare il resoconto del lavoro eseguito dal sicario, non si sia informato anche della destinazione dei gioielli? Se non altro, avrebbe dovuto farlo per semplice curiosità. E invece, no: tant'è vero che Sacchi, da un discorso che gli tenne i'Inzolia, fu indotto a sospettare che i gioielli avessero preso la via della Svizzera. Come si vede, e sia pure limitatamente all'affare dei gioielli, siamo in alto mare. Nell'udienza di stamane si sono avute le prime battute, e sono risultate piuttosto a favore del Ghiani: effettivamente la lattina era alla portata di tutti e non occorrevano doti ragguardevoli di abilità per entrare nei locali della « Vembi » senza essere visti. Il « solito ignoto », o se preferite « il quarto uomo », avrebbe potuto agire indisturbato. Forse su questa faccenda piena di mistero ne sapremo un po' di più nelle prossime udienze, dopo che avranno deposto il Dusi e altri tre impiegati della « Vembi ». Non altrettanto favorevole al Ghiani è stato invece l'interrogatorio dei testi citati per appurare come il misterioso signor Rossi riuscì all'ultimo momento a salire sull'aereo partito alle 19,40 del 10 settembre 1953 da Milano alla volta di Roma. Quel signor Rossi, che l'accusa identifica in Raoul Ghiani, appare attraverso l'esame testimoniale come una persona che aveva i minuti contati e che potè salire sull'aereo solo grazie a un ritardo. E, come il Fenaroli avrebbe detto al Sacchi, fu solo dopo una corsa velocissima dal centro di Milano all'aeroporto e solo all'ultimo momento che Ghiani riuscì a salire sull'apparecchio dell'Alitalia che lo avrebbe portato a Roma, deciso a diventare di lì a poche ore un assassino. Nicola Adelfi Ghiani a confronto con gli ex-oolleghi della «Vembi»: a sinistra, con Giorgio Florani; a deetra, discute animatamente con Luigi Soprano (Tel.)