Lungo colloquio con Hussein in Giordania di Francesco Rosso

Lungo colloquio con Hussein in Giordania IL SOVRANO CORAGGIOSO E TRISTE D'UN INQUIETO PAESE Lungo colloquio con Hussein in Giordania Ha 25 anni; da otto regna fra intrighi e complotti, insidiato da Nasser, chiuso da Stati sospettosi od avversi - Vide il nonno Abdullah cadere ucciso al suo fianco, la moglie Io ha abbandonato; deve ospitare 600.000 profughi della Palestina, che lo odiano perché non vuol combattere Israele - Con lo sprezzante coraggio dei beduini, affronta ogni giorno il perìcolo fuori del suo grigio palazzo - Parla a cuore aperto dei problemi del suo paese, fra l'urgenza del progresso e le pressioni del nazionalismo arabo, e degli amici italiani - Un medico torinese lo vide nascere; Flavia Tesio fu la sua compagna di giochi e di veloci gare in auto (Dal no9tro inviato speciale) Amman, marzo. In piedi dietro al vasto tavolo di mogano, re Hussein osservava con occhi ridenti il cerimoniere che recitava con diligente sussiego il ruolo impostogli dal protocollo, ma esauriti inchini, gesti, parole di presentazione, egli si accostò ad una poltrona e mi invitò a sedere accanto a lui, in amichevole intimità. Avevo sollecitato il colloquio non perché sperassi in rivelazioni sensazionali, ma per | conoscere personalmente il j giovane, temerario re di i Giordania che da otto anni, cioè dal giorno in cui è salito al trono, passa fra intrighi, complotti, attentati con una frequenza quasi settimanale. Lo osservavo mentre parlava e notavo che il grosso capo sul collo esile, come confitto fra le spalle gracili, assumeva nei gesti e nelle espressioni meditate una rara armonia strutturale; i grandi occhi scuri, la bocca larga e sensuale accentuata da radi baffetti, disegnavano sul suo volto ombre di pacata malinconia. « Non c'è paragone — diceva — fra il suo paese e il mio, che è piccolo a Modesto. Ma desidererei che lo conoscesse bene, vedesse gli sforzi che stiamo compiendo per migliorare il tenore di vita delle popolazioni. Il nostro compito è grave, dobbiamo costruire scuole, case, strade per offrire a tutti i vantaggi morali e materiali della civiltà e del progresso, e con.l'aiuto di Dio faremo ogni sforzo per realizzare questo programma ». " . Oltre ad essere, credo, il più giovane sovrano del mondo, re Hussein è anche un sovrano di maniere democratiche. Solitamente, nelle interviste coi capi di Stato, il giornalista deve presentare con un, certo anticipo sulla udienza le domande scritte; re Hussein mi ricevette da un giorno all'altro, senza conoscere le domande che gli avrei rivolto e con una cordialità inconsueta per un monarca. Forse, il suo atteggiamento era determinato dalla simpatia ch'egli nutre per l'Italia, alla quale è legato da molti sentimenti. Il dottor Tesio, il medico torinese che dirige l'ospedale italiano di Amman da 35 anni, lo ha veduto nascere; la sua figliuola Flavia è stata amica d'infanzia del giovane principe, con lui si divertiva alle corse notturne in automobile sulla pista dell'aeroporto, o lungo la strada tortuosa dal; la capitale a Gerico. Il capo della segreteria particolare del re, il dott. Suleiman Dagiani, si è laureato a Firenze con Giorgio La Pira ed ha mantenuto cordiali rapporti con molti italiani. Durante un recente viaggio privato a Roma, re Hussein ha incontrato Flavia Tesio, la sua amica di giochi, uiiiiiiiinitiiitiiiiiiiiiiiiiiiHiiiiHiiiiiiiiH e con lei ha rievocato i giorni dell'adolescenza, quando c'erano anche per Hussein parentesi di gioia schietta. Gli anni trascorsi da quei tempi sereni non sono molti, oggi re Hussein ha SS anni, ma per un sovrano del Medio Oriente, sette anni rappresentano un'esistenza. In questo periodo, Hussein si è sposato con la principessa egiziana Dinah, che ha dieci anni piti di lui e che lo ha abbandonato dopo tre anni lasciandogli come ricordo della loro breve e infelice unione una bimbetta, la principessa Aliya, per tornare al Cairo a fare l'ausiliaria di Nasser. I seicentomila rifugiati palestinesi che sognano un impossibile ritorno alle terre e case occupate1 dagli israeliani, alimentano col loro torbido corruccio l'inquietudive del paese disseminando bombe e promettendo al re una morte poco diversa da quella toccata a suo nonno, il grande Abdullah, fulminato a Gerusalemme nella moschea di Omar il il agosto 1951 da un fanatico palestinese. Quel giorno, il giovane Hussein era accanto al nonno, lo vide cadere morto, fu il primo a chinarsi su di lui e quando si rialzò aveva le mani che grondavano sangue. Tanti drammi e tragedie lo hanno familiarizzato col pericolo; re Hussein non ha paura di morire violentemente come il nonno, ma lo amareggia l'astiosa ingratitudine dei suoi sudditi. Nei paesi levantini, e non solo in quelli, le popolazioni provano un piacere acre a parlare della corruzione dei governanti, ma in Giordania nessuno può affermare che- re Hussein abbia nascosto all'ombra del trono i consueti intrighi dei monarchi avidi, anzi, egli è un re quasi povero. La sua esistenza è modesta, spartana, la reggia è un palazzotto di comune pietra bianca, di architettura banale come la villa di un incolto borghese prospero, lo studio iin cui riceve, con quei tre telefoni sul tavolo, fra cui uno verdissimo, alla menta, potrebbe essere lo studio di un avvocato di provincia. Gli rimproverano, però, di non opporsi con la necessaria energia alle speculazioni di alcuni eminenti personaggi mmimimmmimmimmimi immillimi della politica giordana, soprattutto nelle zone di bonifica dello Yarmuk, dove le terre più fertili sono state assegnate ad amici dei personaggi influenti. Questi personaggi influenti e arraffoni sono quasi tutti rifugiati palestinesi, gli stessi che vorrebbero riservare ad Hussein la fine di nonno Abdullah. Il giovane monarca conosce le, voci maligne che circolano sul suo conto per le vie e nei caffè di Amman, le poco liete prospettive che i suoi sudditi palestinesi vorrebbero preparare alla dinastia ascemita; ma non si sgomenta e continua con pacata tenacia il suo difficile compito di re della Giordania, pericolosamente in equilibrio fra il suo desiderio di realizzare una politica di amicizia con gli occidentali, cui lo spinge l'interesse del suo paese, ed il nazionalismo islamico, fanatico e xenofobo, dei suoi sudditi ben lavorati dalla propaganda di radio Cairo. Egli si destreggia fra i due estremismi con abilità monovriera non comune, concede al nazionalismo islamico il suo appoggio di re beduino, ma non abbandona gli amici, tradizionali, soprattutto gli Stati Uniti. Gli occidentali, che non conoscono le sfumature dei paesi levantin',, hanno fatto un blocco unico di tutti i paesi arabi, per loro il nazionalismo islamico puzza di comunismo sovietico solo perché il Cremlino s'è impiantato saldamente al Cairo. «Noi non siamo comuni' sti, — mi diceva re Hussein — e voi non dovete fraintendere. Il navsionalismo arabo non è diverso da quello che anima l'Europa, vogliamo collaborare con .tuffati, ma nello stesso témpt> rimanere neutrali di fronte ai blocchi che si sono costituiti >. Discorrendo della situazione attuale, in quest'angolo di mondo, gli domandai se pensa davvero che le ■ relazioni fra i paesi arabi siano migliorate dopo l'apparente accordo della conferenza di Bagdad ed egli rispose: «Sinceramente, non lo credo. L'unità araba si realizzerà, è fatale, ma su un piano diverso da quello elaborato dall'Egitto ». Non bisogna dimenticare che molti guiii della Giordania sono germogliati sulle sponde del Nilo e che, come risultò al processo, l'attentato dinamitardo dello scorso agosto, in cui fu ucciso il primo ministro Magiali, aveva l'etichetta egiziana. Domandai a re Hussein se crede che, cessata la rabbiosa propaganda di radio Cairo, le relazioni fra Egitto e Giordania possano tornare normali ed egli, dopo aver meditato un attimo, rispose: « Facciamo ogni sforzo per stabilire relazioni più cordiali fra i due paesi, ma intendiamo conservare la nostra indipendenza Non c'è amicizia senza rispetto delle libertà altrui, senza l'impegno di non intervenire negli affari interni degli altri paesi». Il nome di Nasser, non fu pronunciato, ma l'ombra del presidente egiziano era sullo sfondo della nostra conversazione, una presenza inquietante per re Hussein che ha sperimentato più volte quanto siano personali i concetti di amicizia che Nasser vorrebbe applicare in tutti i paesi arabi. A giudicare da come vive, si direbbe che re Hussein abbia imparato dalla storia dei nostri principi del Rinascimento l'arte di sfuggire agli agguati. Benché continuamente minacciato, egli circola sovente senza scorta nelle vie di Amman, o sulle pietrose piste nell'interno del paese, con un'audacia che rasenta la temerarietà, come se volesse sfidare il pericolo degli attentati che vorrebbe preparargli ognuno dei seicentomila rifugiati palestinesi. I quali, anche se li ospita generosamente, 10 odiano con ferocia disumana, perché convinti ch'egli non farà mai la guerra ad Israele per ricondurli a Giaffa, Caifa, Acri, Cesarea dove hanno lasciato i loro beni sotto la spinta degli esuli ebrei. Chiuso in una trappolamortale fra l'aggressivo Egitto, l'ambigua Arabia Saudita, il nemico Israele, l'infido Iralc, 11 giovane monarca giorda>no sflora la morte ogni giorno. Avrebbe interesse ad essere amico di Israele, ma la sua posizione di re musulmano lo costringe aK'antisionismo per salvare la faccia dinanzi agli altri popoli arabi. Parlammo della colossale opera irrigua cui si dedicano gli israeliani per deviare le acque del sacro Giordano verso il sitibondo deserto del Neghev, acquedotto che dovrebbe entrare in funzione nel 1963, ed Hussein disse: < La deviazione del Giordano creerebbe serie complicasAoni, alla riunione della Lega araba di Bagdad si è parlato di misure estreme». Non credo che, dicendo questo, egli pensasse alla probabilità di una guerra con Israele. < La pace in questa zona — disse ancora Hussein — è un problema complesso, le Nazioni Unite potrebbero intervenire utilmente per risolvere in maniera definitiva il problema palestinese ». Non disse, però, che la condizione essenziale è la sparizione di Israele, come sostiene Nasser; nonostante gli atteggiamenti antisionisti, Hussein sente che Israele è indispensabile alla esistenza della Giordania. Erano le quattro del pomeriggio, ora inconsueta per un'udienza, ma eravamo in pieno ramadan, la lunga quaresima musulmana, ed anche il re lavorava fino alle cinque del pomeriggio in attesa che il cannone annunciasse la serale rottura del digiuno. Giovane, moderno, educato all'europea, probabilmente re Hussein sarebbe disposto ad addolcire la dura disciplina del ramadan che per un mese vieta ai musulmani di fumare, bere, mangiare; fare all'amore dall'alba al tramonto: ma egli è il trentunesimo discendente diretto di Maometto e deve osservare le rjkgole del fanatismo musulmano. Aveva lo sguardo languido di chi ha lo stomaco vuoto da troppe ore, ma cercava di nasconderlo con diplomatici sorrisi. La sua condizióne di capo religioso gli imponeva un sacrificio assurdo, ma la sua origine beduina, la dimestichezza con la vita dura nel deserto fra privazioni e fatiche, gli consentiva di sopportarlo senza sforzo evidente. Compresi perché re Hussein è audace fino alla temerarietà, legato alla sua sorte fino alla rassegnazione; il fatalismo islamico e lo sprezzante coraggio beduino sono le componenti del carattere del giovane, coraggioso, simpatico monarca orientale. Francesco Rosso

Persone citate: Flavia Tesio, Giorgio La Pira, Nasser, Suleiman Dagiani, Tesio