L'Inviato di Kennedy di Ferdinando Vegas

L'Inviato di Kennedy L'Inviato di Kennedy Proveniente da Washington, via Londra, Parigi e Bonn, giunge stasera a Roma Averell Harriman, l'«ambasciatore volante » del presidente Kennedy; si concili-, de cosi, salvo una seconda' sosta a Londra sulla via del ritorno, l'importante missione con la quale il nuovo governo americano ha voluto stabilire i primi contatti con i maggiori alleati europei. Lo scopo ufficiale del viaggio di Harriman è, secondo l'espressione della Casa Bianca, di « discutere questioni di ampio interesse reciproco » con i dirigenti europei : una ricognizione esplorativa, dunque, di carattere assai generale e insieme una significativa dimostrazione del conto in cui Kennedy tiene gli alleati europei. La stessa scelta dell'« ambasciatore volante » è jdi per sé indicativa, sia per l'importanza del personaggio, sia per i suoi precedenti rapporti con l'Europa. Figlio di un magnate delle ferrovie, Harriman appartiene infatti, come il padre di Kennedy, a quel tipo di miliardari (in dollari) i quali seppero comprendere la lezione della grande crisi economica del '29 e non esitarono a schierarsi dalla parte democratica, al fianco di Roosevelt. Idealista quindi, e insieme uomo d'azione, egli fu per tutto il ventennio democratico, prima con Roosevelt e poi con Truman, un fedele e abile interprete delle direttive della Casa Bianca, che lo impiegò soprattutto in missioni di estrema delicatezza all'estero. Così negoziò a Londra e a Mosca, nel '41, le modalità di applicazione della legge « affitti e prestiti » ; e a Mosca tornò come ambasciatore, negli anni cruciali dal '43 al '46. Si era battuto per fare uscire gli americani dal bozzolo dell'isolazionismo e per fare loro comprendere come solo una stretta allean za con l'Unione Sovietica potesse condurre al trionfo sul nazismo ; ma i tre, anni di soggiorno a Mosca si risolsero, come scrive Le Monde, nella « storia di una lunga disillusione quasi sentimentale riguardo ai russi ». Arrivò, sì, a farsi apprezzare da Stalin al punto che il dittatore disse : « Che peccato che non voglia prendere la nazionalità russa: ne farei il mio ministro degli Esteri » ; ma non riuscì a impedire lo sfacelo della « grande alleanza di guerra» e dovette lasciare Mosca salutato dalla Pravda come un « fautore di guerra » e « uomo dal volto criminale ». La « guerra fredda » lo vide ad un posto di battaglia quanto mai congeniale alle sue capacità: fu dal '47 al '50 il primo amministratore del « piano Marshall », dando così opera decisiva al risanamento delle ferite che la guerra aveva scavato nell'Europa occidentale ; ed ora, dopo gli otto anni di parentesi repubblicana (durante i quali fu eletto governatore dello Stato di New York), ritorna ancora una volta su questa sponda dell'Atlantico, infaticabile nonostante i suoi settant'anni. Già due anni fa aveva valicato l'oceano, per recarsi da privato cittadino nella Russia di Kruscev; he era tornato convinto che i russi desiderano la pace e che la coesistenza è una gara che la ricca America può ben sostenere. Questa è anche la convinzione di Kennedy, che appunto per questo scopo ha invitato i propri concittadini a fare i necessari sacrifici, se veramente intendono riuscire vittoriosi. Non meno indispensabile per un esito positivo della guerra è però la solidarietà degli alleati, primi di tutti quei « nostri vecchi alleati di cui condividiamo le origini culturali e spirituali » ai quali si era rivolto Kennedy nel discorso inaugurale del 20 gennaio, promettendo ad essi « la lealtà di amici fede li ». Con la stessa franchez za il Presidente aveva tutta via riconosciuto, nel messag gio del 30 gennaio, che « in Europa le nostre alleanze non sono perfettamente compiute e sono in qualche modo disorganizzate » ; sicché la politica americana verso l'Europa, come si viene prò filando, ha precisamente un drmtdqsttmpevavMAnHtnrsavpuacIuvnndtssndmecdmncduatisfi duplice obiettivo: rassicurare gli alleati che la Nato rimane sempre l'alleanza «centrale » (il termine di Kennedy) per Washington e che questa manterrà quindi le sue Forze armate sul territorio europeo, ma al contempo stimolare energicamente gli stessi alleati a superare le divergenze interne ed invitarli a venire a loro volta incontro alle necessità americane. Parlando liberamente, da vecchio e provato amico, con Macmillan, De Gaulle ed Adenauer (come farà domani con Gronchi e Fanfani), Harriman ha voluto appunto, per dirla con gli americani, « portare a casa » dei dirigenti europei questa impostazione del nuovo governo americano; dal canto suo vuole riportare a casa propria, al presidente Kennedy, un panorama generale, ma accurato, dei vari problemi come li vedono gli europei. In mancanza di comunicati ufficiali, dato il carattere del viaggio, non si può sapere né di che cosa si sia parlato nelle varie capitali toccate da Harriman, né quali risultati siano stati ottenuti: Può darsi che dalla missione di Harriman scaturisca, come corrono le voci, un non lontano « vertice » occidentale, fra Kennedy, Macmillan, De Gaulle, Adenauer e forse anche Fanfani. Perché esso non si riduca ad una dimostrazione di parata, come altre volte nel Dassato, è necessario che prima, in in contri discreti come questi di Harriman, sia stabilita una solida concordia fra gli alleati; altrimenti ci si con tinuerebbe a cullare in quelle illusioni che il franco reali smo di Kennedy vuole invece finalmente dissipare. Ferdinando Vegas