Sciare è facile di Ugo Buzzolan

Sciare è facile Sciare è facile Due anni fa ci venne voglia <H sciare. Ne parlai all'amico Attilio che mi disse « Ma sì! Bravi! E' un'ottima idea! Venite con me, domenica ». « Ma io non vado sugli sci dalFctà di sei anni... Ne sono passati quasi trenta » « Cosa importa? Ti ritroverai subito! E poi, ricordati, sciare è facile! Ti insegno io! » Attilio è un pericoloso entusiasta irriducibile. Ci portò in un posto secondo lui meraviglioso, non ancora sfruttato. Che non fosse sfruttato eravamo d'accordo: non c'erano attrezzature, non c'erano comodità di nessun genere, non c'erano, quasi, le piste. Salimmo faticosamente su un erto poggio. La neve era ghiacciata, ma Attilio diceva che era ottima. « Guarda » si mise a gridare «guarda come si fa! E' semplicissimo! ». Cominciò a piroettare attorno a noi alzando uno sci e compiendo altri gesti agili e strani. D'improvviso prese a scivolare all'indictro e sparì giù da una forte discesa, fra gli alberi. « Che bravo » esclamai (t sa anche andare in retromarcia. Dev'essere una bella soddisfazione » « Curioso » fece mia moglie « non sembrava mica contento ». Udimmo schianti di rami e invocazioni di soccorso. Mezz'ora dopo vidi Attilio disteso su una barella. Aveva la testa ammaccata, un piede slogato e un braccio rotto. Notai nel suo sguardo una forma accentuata di strabismo. Mi fissò come poteva e prima di svenire ebbe la forza di sussurrarmi « Comunque, ricordati... sciare è facile ». * * . Ritentai l'anno scorso, ma non ebbi fortuna. Nel viaggio carambolai con la macchina sulla strada gelata e finii a capofitto in un fosso. Poi fui perseguitato da tempo orribile. Sciacchiavo malamente nella tormenta, con visibilità massima di quattro metri. Ero imbacuccato peggio di uno scalatore dell'Everest e spesso tra una rovinosa caduta e l'altra mi chiedevo « Ma chi me lo fa fare? ». A sera mi toglievo i guantoni, i maglioni, gli scarponi — tutta roba che sapeva di naia — e immergendo i piedi doloranti nella vasca rimpiangevo le dolcezze del mare e del nuoto e maledicevo gli sci, la montagna d'inverno e mia moglie che insistentemente mi ci aveva trascinato. * * Quest'anno mi sono intestardito, benché l'amico Giovanni, medico, mi abbia detto «Te lo sconsiglio. Sei troppo pesante. E non sei più giovane... Abbi pazienza, ma ho l'impressione che tu sia complessivamente negato allo sci »; e benché un altro amico, Mario, di natura tragica e prudente, abbia cercato di trattenermi esclamando « Sei matto? Non leggi i giornali? Un sacco di gambe rotte, ogni domenica! Stai fresco che io venga in montagna! ». Per sentirmi più sicuro, ho cambiato macchina e ne ho scelta una che mi dia migliòri garanzie di tenuta di. strada. Salgo ( felicemente a Sestriere e mi affido ad un maestro di sci. Ho intenzione però di esercitarmi solo una mezz'oretta al pomeriggio. Sono pigro, contento d'esser pigro, e ci tengo a non faticare. Mezz'oretta, non di più. * * Mi sto sgobbando quotidianamente due ore filate di lezione. Il mio maestro si chiama Pietro Marino, è nativo di Caserta ed è stato per venticinque anni istruttore militare. Capito? Con lui non si scherza, non valgono scuse di presunti malesseri o di presunti principii di congelamento alle mani o di stanchezza. Bisogna andare avanti. Avanti sempre, Si impara per forza. Sudato e con l'occhio fisso per la paura devo affrontare pendii per me ripidissimi. « Macché ripidissimi » grida Marino arrabbiandosi «qui è bello, è tranquillo, lei vede i burroni dove non ci sono! Qui siamo in piano! Non vede? ». Sarà. Io, per conto mio, continuo a vedere i burroni. Oso esprimere un dubbio: riuscirò mai a sciare decentemente? Marino s'arrabbia ancora. « Cosa? » dice « ho fatto andare sugli sci bambini quasi lattanti, vecchi ottantenni, minorati fisici e psichici... Farò andare anche lei». * * Comincio veramente a provarci gusto. Ali guardo attorno con aria spavalda, fiero e stupito di portare a spasso per le bianche groppe del Garnel e dell'Alpette, con discreta rapidità e in assoluto silenzio, i miei ottantaquattro chili. Comincio, sciando, a considerare cose di cui, nel terrore e nella confusione delle prime lezioni, non mi ero mai accorto: la bellissima corona di montagne dalla parte di Ccsana con i fianchi ricoperti di pini, la Banchetta ancora nel sole, il portico del Sestriere che nel tramonto si riempie di piccole luci: e le maestre di sci. Esatto: le maestre di sci. Non mi ero mai accorto che ci fossero e che fossero così piacenti. Eccone una minuscola, bionda e veloce che scende ondeggiando come in una danza. Eccone un'altra, mae «tosa, bene in carne, con un gJMioso berretto di lana, segui ta da un codazzo di tedeschi barcollanti. Ah, che bella maestrona. Tento di lanciarmi all'inseguimento, ma trascinato dall'impeto esco di pista, mi capovolgo e mi pianto con la testa nella neve. Per un attimo ho la sensazione di essere stato sepolto da una valanga. Quando riemergo, Marino mi piomba accanto e si ferma di colpo con uno di quei cristiania per i quali darei volentieri tutti i miei inutili anni di studi classici. Marino era molto lontano, dietro gli alberi; di sicuro non ha visto. « Pcnsfa piegare le ginocchia, stia dritto sugli sci » mi dice « e lasci perdere le maestre ». * * Sono diventato un entusiasta. Non penso che agli sci. I giornali non mi interessano minimamente. La televisione mi fa ribrezzo. Il mondo dovrebbe comprendere soltanto la montagna d'inverno e il mare (con isole deserte) nell'estate-autunno. Si dovrebbe lavorare sei mesi per far vacanza negli altri sci: e non so se basterebbe. Lasciar dormire il cervello, far lavorare il corpo, respirare, fuggire le città bigie e puzzolenti: ecco una ricetta di felicità. Non è di questa opinione il conoscente dott. Orlando P. che un giorno, in albergo, mi passa davanti ratto e guardingo come uno scarafaggio uscito da sotto un mobile: è sui quaranta, pallido e giallo, con quattro capelli tirati sul cranio e gli occhi in perenne,' inquieto movimento. E' in ferie? No, è a Sestriere per certi affari, deve parlare con una certa persona Scia? Sciava, ma adesso non ce la fa più, ha un ginocchio reu matizzato e poi non ha tempo. Mi fa capire che ci sono cose ben più importanti. « Le cose importanti sono queste » dico io. Ridacchia nervosamente, crede che la mia sia una battuta di spirito. Mi parla della ditta, del suo ufficio, soprattutto dei col leghi. Affiorano, come bolle di melma da uno stagno, rivalità, pettegolezzi e invidie spaventose, di quelle che fanno rivoltare nel letto e tengono svegli nel buio della camera. E Orlando P. ha l'aria del tipo insonne. Parla del la sua carriera ed erompe fuori un'ambizione mostruosa, ansiosa febbrile, di quelle che nel giro di dieci anni ti mangiano il fegato a pezzetti e ti sconquassano il cuore peggio di una latta vuota presa a martellate. Fosse contento, almeno. Ma è chiaro che soffre. Eppure non esce da quel cerchio infernale. « Venti giorni in vacanza? Ma non t'annoi? » chiede. Gli mostro i miei cani e lui «Che te ne fai? ». Gli parlo di una festa e lui « Che scocciatura ». Gli chiedo quando si prenderà le ferie: mi risponde che nel '6b non le ha fatte, per il '61 vedrà. E torna a parlare dell'ufficio e di un colega che — l'ha saputo per via di un'indiscrezione — guadagna ingiustamente più di lui. Lo chiamano al telefono. Ha un sussulto, si congeda con affanno e scappa via a testa china dimenando le braccia. Pare un pupazzo di cui il padrone, dopo pochi minuti d'intervallo, abbia ricominciato a tirare violentemente i fili. L'albergo si riempie. Ogni giorno incamera facce nuove. La piena dell'alta stagione si profila minacciosa. L'albergo è ormai imbottito, lo si sente dall'aumento dei campanelli, degli scrosci d'acqua, dei tonfi misteriosi e delle voci che corrono per le pareti e i soffitti. Sono sbarcate famiglie massicce, con bambini, bambinazze lunatiche, governanti e madri iraconde che sembrano vascelli sempre pronti a sparar bordate. I padri sono lontani, soli e sorridenti. Che facciamo? E' giunta l'ora di battere in ritirata. * * Addio vacanze, addio sci, addio belle macstrone; addio simpatici cani e gentili passeri del Sestriere. Torniamo ■ in città e la città ci ingloba nel suo fumo ci attanaglia con le sue braccia di cemento. Il traffico è convulso, la gente di cattivo umore, lo spazio non esiste, il cielo non si vede, i seccatori pullulano, le grane imperversano. La prima persona che incontro e il tragico e prudente Mario. Cammina con le grucce, ha una gam' a enorme, di gesso. « Sci? » chisdo io. « Cera da pavimenti » fa lui «mia moglie ha la mania della casa ». Ugo Buzzolan

Persone citate: Orlando P.

Luoghi citati: Alpette, Caserta, Sestriere