Il geometra ha riconosciuto alcuni biglietti scritti in carcere: «Mi furono rubati in cella»

Il geometra ha riconosciuto alcuni biglietti scritti in carcere: «Mi furono rubati in cella» Il geometra ha riconosciuto alcuni biglietti scritti in carcere: «Mi furono rubati in cella» a e e ¬ nQl'tMginncMcficflvcmsii litFvctimddsncvdpmtnqgtnMb(Dail nostro inviaste speciale) Roma, 15 febbraio. Giovanni Fenaroli ha concluso oggi la sua lunga narrazione, durata, complessivamente, circa ventidue' ore, distribuite nell corso di quattro .udienze. I patroni dell'una e"3éll'altra parte e il P. M. gli hanno posto le loro domande; l'imputato s'è diffuso in lunghissimi chiarimenti che sono serviti a oscurare ancor più il quadro della vicenda; infine ha' corretto la sua posizione di fronte ai Martirano, affermando che egli non avrebbe mai avanzato alcun sospetto nei loro loro confronti, se non fosse stato trascinato dalle circostanze a difendersi dai loro attacchi. Il primo episodio all'esame dei giudici, stamattina, è stato quello delle polizze d'assicurazione, che pare fossero uno dei < pallini » del geometra Fenaroli. Presidente — Vorremmo ora che lei ci parlasse delle firme sugli atti assicurativi delle quali le si addebita la falsità. Fenaroli — Capisco. E' la faccenda Mazzucchetti. Il dottor Mazzucchelli mi propose di stipulare polizze sugli infortuni per me e per i miei amici. In un primo tempo, la proposta mi lasciò indifferente, direi freddo. Ma poi, ripensandoci, mi venne l'idea di assicurarmi per 200 milioni. Mazzucchelli obiettò che la cifra massima erano ISO milioni, per la sua compagnia. Ma s'interessò per farmi conoscere il commendator Libanore, delle Assicurazioni Generali di Venezia, il quale in effetti venne in ufficio a parlarmi della cosa. c II Mazzucchelli assistette all'incontro. Zm mia idea era di fare una polizza sulla mia vita per S00 milioni e su quella di mia moglie per 1S0. Non so se fu lo stesso Mazzucchelli a suggerirmi quésta soluzione, o se l'idea fu mia. Fatto sta che il commendator Libanore mi presentò per la firma le due polizze già predisposte, che io firmai la. prima a mio nome, la seconda a nome di mia moglie quale suo procuratore. Successivamente, m'accorti, che c'erano degli errori, per esempio, era sbagliato il nome di mia moglie, era scritto " Martura no " invece di " Martirano "; in tutt'e due le polizze, poi, era indicato che i beneficiari sarebbero stati gli credi legittimi e testamentari. . '.ora scrissi due lettere all'agenzia d'assicurazioni pregando di correggere il nominativo sbagliato e di precisare che erede della mia polizza era mia moglie e di quella di Maria io stesso. | Sulla polizza di mia moglie firmai "Maria Martirano", osservando però Icjcopic fotografiche del documento, allegate] al processo, mi è sorto un] dubbio. Presidente — Quale dubbio?] Fenaroli — Il dubbio che la] firma non sia stato io ad apporta, ma mio cognato Luigi. Il fratello di mia moglie, in-l fatti, firmava per abitudine] con il nome di mia .moglie parecchi atti, come la pigione, ili contratto per la luce e tanti) altri. P. M. — Questo dubbio le] viene adesso o lo ha sempre] avuto? Fenaroli — Quando ho letto\ gli atti, osservando quella calligrafia che somiglia molto a quella di Luigi. Ma, riprendendo, devo spiegare che l'agenA eia mi mandò dopo alcuni giorA ni;le polizze oon-ie variazioni. Quella mia là /trinai subito, l'altra la trattenni nel cassétto. La portai a casa -perché Maria la firmasse, ma mia moglie aveva un carattere un po' indolente. Mi disse: < Giovanni, firmata tu! V."Scrissi cosi in calce al documento "Maria Martirano", però, senza cercare d'imitare la sua calligrafia, ce e si puù constatare; con la mia solita scrittura. Nel febbraio-marzo del 1958 stipulai altre tre polizze sulla mia vita, due a beneficio del Sacchi, la terza a beneficio di mia moglie. Seguono altre complicate spiegazioni, tra le quali la più interessante è la seguente: tra i rischi coperti da queste polizze figura, com'è noto, l'ipotesi di omicidio per rapina. Fenaroli afferma ohe ciò avvenne per sua insistenza, perché intendeva garantirsi contro tutte le forme - possibili e immaginabili ' di infortunio mortale, comprèso Al rischio dei viaggi in aereo. La seconda spiegazione data dall'imputato a giustificare la sua mania assicurativa- è che nel mese di marzo, dovendo compilare la tVanoni-», trovava comodo scaricare dal reddito le somme impegnate nel premio d'assicurazione. < Lei mi capisce — dice al presiden te — si possono fare delle denunce intelligenti senza per questo violare la legge ». Presidente — Ma come spiega lei che al giudice istruttore che le fece bene esaminare quella firma « Maria Martirano », lei non disse subito tutti questi particolarit Fenaroli — Pochi giorni do¬ po il del'tto l'avv. Basili <f il rag. Sacchi accennarono l'potesi che V delitto potesse rientrare nei casi previsti dalla polizza asMcurat'.vj. L'avv. Binili prese la polizza per farla guardare du. un competente e dopo due o tre giorni disse che il caso rientrava perfettamente nelle clausole e che sarebbe stato bene che 10 non ne avessi parlato con alcuno. Consigliò anche il Sacchi di portare la polizza a Milano, ciò che avvenne in effetti. Il Sacchi portò la polizza nel mio ufficio milanese di via del Gesù e la ripose nel cassetto della mia scrivania. 11 consiglio dell'avv. Basili su questo argomento, sull'argomento della polizza-vita di mia moglie, mi diede una certa soggezione... Presidente — Come, soggezione t Cosa vuol dire? Fenaroli — SI. L'avv. Basili mi disse che meno ne parlavo e meglio era... Presidente — Ma perché al giudice istruttore non disse subito la verità? Fenaroli — Spiego. Io ammisi subito di avere firmato per mia moglie anche se materialmente può avere firmato mio cognato. D'altra parte era la stessa cosa..: Ripeto, io in quel tempo, subito dopo il delitto, ero in uno stato di soggezione sull'argomento po lizza-vita. Presidente — Capisco. E ora esaminiamo quei bigliet tini che lei ha scritto in carcere. Lei ha riconosciuto di avere scritto quei bigliettini? Fenaroli — Alcuni. Presidente — Bene, vedia- ma quali ctjvosce. ' Fenaroli ~ alcuni; quelli di quei tt,-i ri-{dì rlo ne. li'i S( "finsche, ho rx.<jno-\agettiti li hu 'scrini «Xi mio pugno. Se mi p^rtnittc uoplio consultare i miri appunti. Presidente — Questo biglietto iihc tnc&m 'n<.ia con le parole: <Com;ì ci siamo conosciuti » e f,nior* con < non ci siamo mai incontrati a Roma », è suo'/ Lo riconosce? Fenaroli, inforcando gli occhiali, muove lentamente verso il banco del presidente e quindi, dopo attento esame, con/erma che il biglietto è di suo pugno. Precisa che gli fu sottratto in cella dallo scopino Garibaldi Pera, il quale poi lo fece arrivare a Vincenzo Barbaro, che si fece premura di consegnarlo, con gli altri, al giudice istruttore. P. M. — Questo biglietto era diretto a Raoul Ghiani? Fenaroli — Era un appunto che doveva servire a me, come memoria, nella speranza di potere in un secondo momento, comunicare con Ghiani. Finiti gli interrogatori, che come ho detto nei giorni scorsi avevano spesso carattere intimidatorio, mi pre occupavo di fissare i ricordi in piccoli cartigli, tratti dall'involto delle tavolette di cioccolata. '. Presidente — Leggiamo un altro dei bigliettini che si attribuiscono a lei. Dice testualmente: «Ho capito. Confermo però che per il momento non posso fare quello che lei vorrebbe perché non ho altri mezzi a disposizione. Non posso provvedere rapidamente per ovvie ragioni. Però stia tranquillo che quello che può essere fatto sarà fatto purché la barca arrivi in porto ». Presidente — Questo biglietto era diretto ai-Barbaro? Fenaroli — Si, era diretto al Barbaro; lo riconosco per averlo scritto. Presidente — A che cosa si riferiscono tè paróle scritte in questo biglietto? Fenaroli — Due o tre giorni prima il Barbaro, con un suo biglietto, mi aveva informato che si poteva fare nel carcere di « Regina Coeli » una corrispondenza clandestina con l'esterno. Presidente — Con chi aveva motivi di comunicare lei? Fenaroli — Con mio fratello, con i miei avvocati. Voglio precisare che il detenuto Barbaro chiedeva cinquemila lire per un biglietio da fare uscire fuori dal carcere e diecimila lire per ogni biglietto da fare circolare all'interno del carcere. Ed ecco, dal mare delle carte di cui è formato questo processo, emergere un altro bi gliettino compromettente. Vi si legge una specie d'invito diretto a Raoul Ghiani affinché accetti i servigi che Barbaro gli proponeva al fine di * risolvere la posizione ». Fenaroli — Debbo precisare che Barbaro chiedeva che mettessi a disposizione la somma di danaro prima ancora di iniziare il servizio di corrispondenza. Presidente — Ora vediamo il contenuto di un altro biglietto e stabiliamole lo riconosce oppure no. Fenaroli, adesso, curvo sulle carte che il presidente gli mo stra, sembra piuttosto seccato s«mSmadriècsnddvCetvlCaivm dall'essere costretto all'amaro riconoscimento, sol© tu mi hai alla Malpensa. « Lunedì sera accompagnato R... ìion è ve- e e a o e e o luto mercoledì in ufficio*; questo è il testo del biglietto. Il «non» è sottolineato energicamente con tre segni di lapis. Si tratta, evidentemente, di un messaggio che doveva servire a Cario Inzolia per avvertirlo delle insidie dell'interrogatorio, il mercoledì, ricordiamo, è la giornata del delitto e secondo l'accusa i tre congiurati si sarebbero dati convegno nello studio di via del Gesù per definire gli uZtimi particolari del piano. Il giorno in cui il Pontefice visitò le carceri di Regina Coeli, all'indomani della sua elezione al soglio, due biglietti (ci ha rivelato stamane Giovanni Fenaroli) partirono dalla sua cella, uno alla volta di Carlo Inzolia, che da poco era arrivato da Milano, l'altro per il Barbaro nel quale si accettava di dare inizio al piccolo valzer postale che oggi sappiamo com'è andato a finire. « Barbaro mi aveva fatto sapere che aveva viaggiato da Milano a Roma, in traduzione, con l'Inzolia»; questo bastò per accendere l'interesse del detenuto Fenaroli per le proposte di Barbaro. Presidente — Ma, quindi, lei ammette di aver avuto bisogno di comunicare, in carcere, con detenuti Ghiani e Inzoliaf Fenaroli — SI. Il modo in cui era stato condotto l'interrogatorio e lo stato di intimidazione a cui mi sottoponevano i giudici mi preoccupava e mi preoccupavo quindi di far sapere all'Inzolia circostanze vere, sulle quali non potesse essere tratto in incanno dai giudici, i quali tendevano tranelli ad ogni pie sospinto. Presidente — Afa mi spieghi: lei dice Si essere stato intimidito dai giudici e si è rifiutato, infatti, di firmare l'interrogatorio del 6 giuano 1959, e va bene. Però le juccto osservare che i biglietti che portano ia sua firma sono del gennaio del 19o9, cioè sono di molti mesi precedenti. Rileva lei la contraddizione ? Fenaroli (un po' imbarazzato) — Le ragioni sono le stesse per le quali mi rifiutai di firmare i verbali. Presidente — Ara i ofaZiettt furono mandati moZti mesi prima. Fenaroli — Sì, si, mi rendo conto. Si era creata una situazione psicologica; insomma io ero in uno stato d'animo tale che temevo un tranello da parte del giudice istruttore e questo sin dall'inizio della mia detenzione. Presidente — Bene, veniamo all'altro biglietto, scritto da lei, che comincia così: " Dopo il fatto ti ho dato due o trecentomila lire". Questo biglietto lo riconosce per suo? Fenaroli — SI, lo riconosco. Presidente — Sd ecco un altro biglietto, comincia così: " Come ci siamo conosciuti: ci siamo visti in negozio, qualche volta a prendere un aperitivo. A Roma non ci siamo mai visti e incontrati". Questo biglietto lo riconosce per suo? Fenaroli — Sì; anche questo come il precedente, mi fu sot tratto dallo scopino Garibaldi Pera. Presidente Questi biglietti a chi erano diretti? Fenaroli — Il contenuto dei bpcseistgBbsdsugM i i i biglietti Sottrattimi mi serviva per il promemoria, ogni volta che venivo interrogato. Presidente — .Dunque, questi biglietti lei afferma che erano soltanto appunti? Fenaroli — Si, e lo dimostra il fatto che alcuni di. essi sono scritti sulla carta di ciaccolatine. Per esempio: c'è quel biglietto che dice: « Dei fatti di Bologna non so niente, è un bluff o un saltafosso ». Il con tenuto di questi biglietti è classico come mnemonicità. Presidente — Che cosa vuol dire? Vuol dire, forse, che li scriveva per aver presente quello che doveva comuni care? Fenaroli — No. Li scrivevo unicamente per evitare gli inganni. Infatti quando io parlai di questi biglietti, il Pubblico Ministero in istruttoria, mi in vesti e voleva sapere da me se per caso pensassi che fammi nistrazione giudiziaria era un bluff, ed ebbi difficoltà a difendermi. Pubblico Ministero — E' turale. Fenaroli — Certo. Pubblico Ministero — Afa lei non rispose. Fenaroli — Cercai di condurre il can per l'aia. Voglio concludere. . Erano appunti da mandare a Inzolia. Presidente — Afa lei aveva detto che erano appunti che servivano per sé. . Fenaroli — Io aspettavo di poter mandare una comunicazione che gli riassumesse tutto. E' quasi impossibile senuire l'esposizione di Giovanni Fenaroli su questo argomento: è una tortuosa arrampicata che richiede il massimo degli sforzi da parte dell'imputato per non cadere in contraddizioni. A un certo punto, per esempio, gli è sfuggita l'ammissione che un certo biglietto era non tanto un promemoria per sé quanto proprio un messaggio indirizzato a Inzolia e a Gh... ma il nome del coimputato gli è riinasto tra denti. In un altro momento, ha spiegato che egli riconobbe in istruttoria otto degli undici biglietti che gli vennero mostrati. < Ma chiesi in quell'occasione di poter usare degli occhiali, che avevo dimenticato in cella. Mi fu rifiutato dal giudice istruttore. Quando ritornai in cella mi accorsi che avevo fatta confusione e chicsi di potere essere interrogato di nuovo. Ma il giudice se n'era già andato, e allora mandai un telegramma ». « Afa nei verbali — gli fa notare il presidente — lei non dice di essersi confuso per colpa drgli occhiali, ma perché non ricordava bene! La cosa diversa ». « Domandai che fosse messa a verbale la faccenda degli occhiali, ma non mi fu nemmeno questo consentito.'». Il P.M. chiède: « Af a è miope o presbite? ». Fenaroli taglia corto: <Non so, so che ho bisogno degli occhiali ». E ancora, Fenaroli si ditunga nella descrizione del modo con cui quei messaggi gli furono carpiti: due detenuti, Ga ribaldi Pera e certo Campanile, lavoravano intorno a lui, come emissari di Vincenzo Barbaro. Ad un certo momento, si aggiunse anche il detenuto Rondclli, il quale però lo avvertì che si stava tramando un ricatto ai suoi danni e gli disse che egli non si sarebbe nrictncnnritrczmsbldtassdvvnamqmPmgll nA rA Carlo Iniolia sarà probabilmente interrogato oggi (Tel.)