Giovanni Amendola di Paolo Serini

Giovanni Amendola DNA VITA DI FORTE IMPEGNO MORALE Giovanni Amendola Nel settembre del 1903, .una studentessa ventitreenne di Wilno, Eva Kuhn, che era venuta nell'Occidente per compiervi gli studi universitari, giungeva da Zurigo a Roma, con il proposito d'impararvi l'italiano per potersi laureare in letteratura comparata. E qui, a una conferenza della Società teosofica, faceva quasi subito la conoscenza d'un giovine meridionale, « dai grandi, malinconici occhi neri », anche lui appassionato di studi teosofici, con il quale non tardò a stringer amicizia e poi a fidanzarsi. Si chiamava Giovanni Amendola; era nato ventidue anni prima a Napoli, di modesta famiglia della piccola borghesia, originaria di Sarno; aveva dovuto, per la sua disagiata condizione, seguire gli studi tecnici, ma aveva imparato da sé le lingue classiche e quelle moderne e si era formato una cultura e dimostrava spiccati interessi umanistici e filosofici. La storia di quell'incontro e di quell'amore, dapprima contrastato, e della vicenda coniugale, « viva d'impegno morale e di sentimento », in cui esso trovò poi il suo naturale sviluppo e la sua consacrazione, sta al centro del bel libro che Eva Kuhn, giunta all'ottantina, ha ora dedicato, « con freschezza di spirito e coraggiosa volontà » (come scrive il suo primogenito, Giorgio), alla sua rievocazione (Vita con Giovanni Amendola, Milano, Parenti). iMa non ne esaurisce l'interesse. Che, oltre a darci una biografia dello statista napoletano, ricca di ragguagli inediti e spesso illuminanti, esso — grazie alla copiosa documentazione da cui è corredato, e in cui tengono il primo posto le lettere che Amendola ebbe a scambiare con Croce, Gentile, James, Papini, Prezzolini, Vailati, Boine, Slataper, Salvemini, Casati, Gallarati Scotti, Missiroli, Albertini, Ojetti, Nini, Bissolati, Turati, Gobetti, ecc., — reca un utile contributo alla conoscenza della vita culturale e politica del primo quarto del nostro secolo. Particolarmente importante esso è per la storia della formazione ed evoluzione spirituale di Amendola e dei suoi rapporti col movimento intellettuale del primo Novecento, quale si espresse, oltreché nella Critica crociana, in quelle riviste fiorentine d'avanguardia in cui (come ebbe a osservare il Garin) risonarono, « nel decennio che precedette la prima guerra mondiale, tutti i temi che hanno traversato la tragedia europea e tutte le voci valide che l'hanno accompagnata, nel bene come ne! male ». In quel movimento, cosi complesso ed eterogeneo, Amendola recò sin dall'inizio l'impronta particolare della sua personalità: ferma, raccolta, severa, insensibile alle seduzioni delle mutevoli mode filosofiche come alle n pretese dell'arrivismo intellettuale », ricca soprattutto di serietà morale e di un suo intimo impegno religioso. Una personalità cosi forte e diritta da imporsi al rispetto anche di chi, per un verso o per un altro, si trovava ai suoi antipodi; e che alla sua vocazione profonda non cessò di obbedire neppur quando, dal mondo della cultura, trasferì i propri interessi a quello dell'azione politica. Certo, anche Amendola non rimase inaccessibile alle suggestioni delle nuove correnti d'idee di quegli anni, e specialmente dell'idealismo. Ma reagendovi in un modo tutto suo : per cui, pur interessandosi allo svolgimento del pensiero crociano e collaborando al Léonard" e alla Voce (oltreché al milanese Rinnovamento), egli non cessò mai di far parte per se stesso e di apparile quasi un solitario, magari qualche volta attardameli su posizioni non molto < attuali ». Cosi, se il suo idealismo si ricollegava anch'esso alla grande tradizione filosofica tedesca, si rifaceva tuttavia non già a Hegel, bensì al Kant della Ragion pratica, a Fichte e, per alcuni aspetti, a Schopenhauer; e aveva una forte impronta etico-religiosa, la quale spiega il suo interesse per il Maine de Biran, cui egli dedicò nel 1911 una non dimenticata monografia (e prima ancora per il movimento modernistico ^ e il concett fondameli tale cui mise capo il suo itinerario filosofico: «La volontà c il bene ». E se la sua serietà scientifica gli faceva riconosce re che < proprio della filosofia » è « il metodo di trattazione concreto », subito dopo egli lame 11 tava che, nella filosofia del sui tempo, fosse troppo spesso tra scurato « ciò che' è più carattc ristico dell'umanità: il sentimento religioso ed il pensiero dei massimi problemi ». S'intende come, nonostante l'interesse e la stima che senti va per lui, egli non abbia mai simpatizzato veramente con il Croce ( < giunto alla filosofia — come sottolineava, polemicamente, lui stesso — dai problemi particolari, e non dai "massimi problemi", che non esistono » ) E che; pur collaborando attivamente al Leonardo e alla Voce, non abbia mancato di criticarne, non senza asprezza, alcune delle tendenze e degli aspetti più caratteristici; e abbia finito con lo scPt1eginrmseedmmcflsbsebpmnttesItsS staccarsi e da Prezzolini e, qualche tempo dopo, dallo stesso Papini: col quale era stato molto legato e aveva diretto, nel 1910, una rivista, L'Anima, che ebbe breve vita, ma una sua originale fisonómia. (Significativo il suo giudizio su Un uomo finito: «Esso esprime valori morali ed estetici che non sono i mici, che sono anzi al polo sud se io sono al polo nord... La mia etica non è quella del capriccio, e la mia estetica non si appaga di un'opera come questa tua»). Questo suo assiduo impegno morale e volontaristico, non immune da un certo dottrinarismo c moralismo, ma, pur nella sua ferma intransigenza, capace di larghe comunicazioni umane, spiega anche come lo stesso problema dell'Italia del suo tempo si configurasse al suo pensiero essenzialmente come « un problema di volontà, cioè come un problema morale », di rinnovamento dal profondo della vita nazionale e della classe dirigente; e come, negli anni dell'anteguerra, egli si dimostrasse egualmente avverso al giolittismo c alla « democrazia radicaIoide e socialistoide », da un lato, e, nonostante la sua « appassionata e incrollabile fede nello Stato nazionale », al dannunzia¬ iiimmiiiiiimiiiiiiiiMiiiiiiiiiimmiiniiiiiiiii nesimo e al nazionalismo, dall'altro. E rimase poi a fondamento della sua azione politica nel tumultuoso dopoguerra: sino a quella suprema battaglia antifascista dell'Aventino, che costituì la più significativa espressione della sua personalità politica, nei suoi aspetti positivi come nei suoi limiti. 1 Basti pensare alla sua concezione di essa non tanto come di una battaglia politica quanto come di una battaglia ideale, intesa a « salvare, mediante l'intransigenza, certi valori morali » e destinata a costituire « il punto di partenza di una nuova 6toria » e di una nuova, e più vera, democrazia. « Occorre dir no, con implacabile intransigenza, al presente, se vogliamo che il domani dica sì alle nostre speranze»: aveva egli scritto nel 1910. E aveva aggiunto: «Certo, la storia innesterà anche la nostra intransigenza nel corso della sua continuità; ma occorre lasciare alla storia il suo compito,.e noi fare il nostro ». Tale l'imperativo cui Amendola si serbò fedele, « senza speranza e senza paura », sino al consapevole, silenzioso sacrificio di sé. E tale la sua essenziale lezione umana e politica. Paolo Serini miiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiim

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