Non è perduta la battaglia delle donne che aspirano alla carriera diplomatica di Vittorio Gorresio

Non è perduta la battaglia delle donne che aspirano alla carriera diplomatica iiiiiiiMiiimiiiuiniiiMiiniiiniimiiiiimiuiiiiiiniiHiiiiiiiiiiiiiiìiiiiiiMiMiiiiiiiiiiiiiiiuiiii iiiiiiiiiiiinniiiiini min iiiiiiiumiimiiiiiimiimimmL'ITALIA SEGUIRÀ' L'ESEMPIO AMERICANO E RUSSO? Non è perduta la battaglia delle donne che aspirano alla carriera diplomatica il ricorso della signorina Piatti, esclusa dal concorso nel 1956, è stato respinto dal Consiglio di Stato: ma solo per errore di forma - Da un anno la Corte Costituzionale ha ammesso la parità dei due sessi davanti ai pubblici uffici; e fin dal 1958-l'on. Fontani ha proposto di aprire alle donne i ranghi del Ministero degli Esteri (Dal nostro corrispondente) Roma, gennaio. <Ha sbagliato ricorso l'aspirante diplomatica»: con questo titolo beffardo, in cui si coglie una sfumatura di vago antifemminismo, un giornale di Roma ha dato la notizia che il Consiglio di Stato ha respinto la protesta presentata da una donna, la signorina Maria Antonietta Piatti, contro 11 Ministero degli Esteri che nel 1956 la escluse dal concorso per volontari nella carriera diplomatica. La signorina ha effettivamente commesso uno sbaglio, come spiegheremo, e dello sbaglio ha profittato ia quarta sezione del nostro * massimo organo giurisdizionale per eludere con eleganza giuridica il problema di fondo che si poneva nel ricorso: quello cioè della parità di diritti riconosciuta alle donne dall'art. SI della Costituzione della Repubblica. Come Pilato, anche i magistrati della quarta sezione sembrano essersene lavate le mani, e la sentenza depositata con la Arma del presidente Carlo Bozzi ha suscitato scandalo e proteste in tutti i circoli e le associazioni femminili: «Sono giornate nere per la donna italiana — ci ha detto una dirigente della Fidapa, federazione Italiana donne arti professioni affari. — Dell'altro ieri è il discorso del procuratore generale Cigolini, che ha messo in guardia contro i pericoli che potrebbero deri vare all'unità della famiglia da un eccessivo allargamento dell'attività della donna fuori dc"'ambito familiare; ora c'è la sentenza del Consiglio di Stato, che ricorre a un cavillo per ignorare una volta di più l'art. 61 della Costituzione che garantisce alle donne il diritto di accedere ai pubblici uffici ». Questo è il cavillo, ed è certo ingegnoso. La signorina Piatti presentò domanda di ammissione al concorso diplomatico dell'anno 1956, ma le venne risposto dal Ministero degli Esteri che la sua domanda non poteva essere accolta perché le disposizioni in vigore escludono le donne dalla carriera. La signorina ricorse al Consiglio di Stato chiedendo che la lettera venisse annullata, come provvedimento arbitrarlo del Ministero, come abuso amministrativo contra¬ stante con l'art. 51 della Costituzione, e con gli artt. 12 e 15 delle disposizioni preliminari del codice civile, anche in relazione agli artt. 3 e 51 della Costituzione. Il Consiglio di Stato ha risposto che la signorina avrebbe dovuto ricorrere non contro la lettera del Ministero, bensì contro lo stesso bando del concorso di cui la lettera impugnata altro non era che up mero corollario esecutivo. Era il bando, difatti, che escludeva la signorina Piatti dalla carriera diplomatica, poiché in esso veniva esprèssamente richiamato l'art. 7 della legge 17 luglio 1919, numero 1176, il quale stabilisce che la carriera è aperta solo agli uomini. Non avendo protestato contro il bando di concorso, cioè non avendo impugnato la legge del 1919, la signorina si è vista respingere il ricorso, che il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile. Sembra quasi uno scherzo, ha l'amaro sapore di una beffa, ma la sentenza è -nel suo genere perfetta, e anzi consente la consolazione che in questo modo resta ancora impregiudicato il problema di fondo: il Consiglio di Stato non si è inf atti, pronunciato nel merito dell'ammissione delle donne alla carriera diplomatica, ma solo ha rilevato che il ricorso era improprio. In altri termini, esso non dice che !a legge del 1919 debba prevalere sulla Costituzione, e neppure giustifica il Ministero degli Esteri per l'abuso che sembra aver commesso nel 1956: afferma solo che la signorina non ha in realtà debitamente protestato contro l'abuso. E' già lunga la storia delle donne che hanno protestato, essendo state escluse da pubblici concorsi. Quasi tutte, comunque, per motivi diversi, pare non abbiano saputo protestare nelle forme dovute. Fu il caso della signorina Emilia Paolini, di Lucca, esclusa dal concorso diplomatico del 1951; (Iella signorina Anna Maria Sternberg Montaldi, esclusa da quello del 1957; della signorina Ebe Flamini, respinta dall'Am ministrazione degli Interni nel 1954. A tutte venne contestato il disposto della legge del 1919, che esclude le donne «dagli impieghi che implichino poteri giurisdizionali >. Rego¬ larmente, perciò, alle ricorrenti si obiettava che esse mancavano « del requisito del sesso », un'espressione alquanto equivoca, che tuttavia ha trionfato in. questi anni nel gergo burocratico italiano. Una vittoria che avrebbe dovuto essere risolutiva fu invece quella che la signorina Rosa Oliva ottenne l'anno scorso, il 18 marzo 1960, davanti alla Corte costituzionale. Mentre il Consiglio di Stato continuava ad eccepire alle donne la mancanza del'requisito del sesso, la Suprema Corte sancì che debbono essere considerate incostituzionali tutte quelle leggi che « escludono le donne da una vasta gamma di impieghi », e diede quindi torto all'avvocato dello Stato che aveva sostenuto 11 buon - diritto del ministero dell'Interno a respingere la domanda di concorso presentata a suo tempo dalla signorina Rosa Oliva, aspirante prefetto della Repubblica. Stando le cose a questo punto, la sentenza della quarta sezione è apparsa a molti stravagante, e ha scatenato una polemica di stampa. «Una retriva sentenza del Consiglio di Stato: vietata alle donne la carriera diplomatica», scrive L'Unità in un titolo di scandalo a cinque colonne. L'Atlanti/ incalza,'in'apertura di pagina, a' quattro colonne: « Una sentenza che viola '■ l'articolo 51 della Costituzione - Il Con siglio di. Stato sancisce: la di plomazia preclusa alle don ne ». Già abbiamo detto che il problema non va posto così; possiamo ora osservare che i quotidiani di sinistra son caduti in errore, anzi esortiamo le donne che aspirano a se guire i loro grandi esempi di plomatici (la signora Luce, ambasciatrice degli Stati Uni ti a Roma, la signora Ader son, ambasciatrice degli Stati Uniti a Copenaghen, la si gnora Nehru, rappresentante dell'India all'Onu, la signora Kollontay. ambasciatrice dell'Unione Sovietica a Stoccolma) a non perdersi di coraggio. Nonostante l'infortunio giuridico della signorina Piatti, proprio questo è il momento di aver fiducia. E' lo stesso Fanfani che l'il settembre '58, essendo allora Ministro degli Esteri nel primo governo da lui presieduto, fece approvare dal Consiglio dei Ministri un disegno di legge che allo scopo- di eliminare « la disparità esistente tra cittadini dell'uno e dell'altro sesso per quanto riguarda l'accesso alle carriere diplomatiche », disponeva che anche le donne vi potessero accedere, secondo 11 disposto dell'art. 51 della Costituzione. Fanfani aveva cosi precorso la Corte Costituzionale. Aveva fatto il suo dovere, come uomo di governo, ma lai sua iniziativa sono due anni e più che sì è arenata tra le secche parlamentari. Il suo disegno di legge, mai ritirato anche nel succedersi dei diversi governi, sta infatti ancora lentamente vagando dall'una all'altra delle commissioni del Senato di anno in anno arricchendosi, e quindi complicandosi, dì emendamenti e precisazioni, limitazioni ed escili-1 «llllllllllllllllltlllll1llll!:illlllIlll!llll>tIlllllIMIll ai i e o a a l -1 sioni (a danno, per esempio delle donne maritate). Quale sarà il destino della legge è impossìbile dire. I commissari, interrogati, ri spondono ancor oggi che di leggi più urgenti le commissioni ancora non han trovato il tempo di occuparsi: « Le donne diplomatiche le sembrano un problema indifferibi le? », ci ha domandato un senatore della III Commissione (Affari Esteri). La terza com missione in ogni modo ha pre disposto un testo concordato che, senza fretta, si propone di presentare in aula. Quando sarà discusso, il Parlamento dimostrerà se 1 vecchi pregiudizi nei confronti delle donne sono in Italia superati, almeno in sede legislativa; sul pia no del costume non c'è infat ti gran che da illudersi. Vittorio Gorresio IlllIlllllllllllllll1ll*i:illllMIIMMIIIIMIlllMllltllllIl