Come Frondizi dominò con freddo coraggio l'ultimo tentativo di insurrezione militare

Come Frondizi dominò con freddo coraggio l'ultimo tentativo di insurrezione militare CONTRASTI DELL'ARGENTINA, PROSPERA NAZIONE IN STATO D'ASSEDIO Come Frondizi dominò con freddo coraggio l'ultimo tentativo di insurrezione militare Il 12 ottobre il ministro della Guerra ed un gruppo di generali posero un ultimatum: cambiare governo entro 48 ore - Nella Casa Rosada occupata da ufficiali amici, il presidente, armato di rivoltella, si appellò al paese e discusse per due giorni con il suo avversario - Intanto l'aviazione fedele e la marina, ancora neutrale, si preparavano al combattimento - Alla fine Frondizi vinse la difficile prova e/disse all'indocile ministro : « Il vostro errore è stato di affrontarmi con una stilografica, non con una mitragliatrice. Io non ho altra casa che il palazzo presidenziale o il cimitero » (Dal nostro inviato speciale) ' Buenos Aires, gennaio. Buenos Aires, a chi vi manchi da qualche anno, mostra oggi due volti, ognuno dei quali sembra il contrario dell'altro II primo è quello spigliato e sereno della gente che a/folla strade, caffè e ristoranti, finalmente luminosi e vivaci, un volto in armonia con la crescente prosperità del paese, indicata concordemente da tutte le statistiche L'altro è il volto cupo di una nazione da ventiquattro mesi in stato d'assedio, a cui soltanin la recente insurrezione di Rosario è costata trenta morti, e non quattro soli come hanno comunicato le fonti ufficiali. ! Questi due volti dell'Argentina si sovrappongono di continuo e di continuo mescolano le proprie fisonomie Per il momento sembra pre- lllllllllllllllltll(llllllllilHlltlllllllllltlllllllllllia valere un volto di festa, rallegrato per di più dal pensiero delle prossime lunghe ferie: in Argentina siamo infatti in estate e il Natale coincide con il periodo di riposo del nostro Ferragosto. Spesso però, negli ultimi tempi, è prevalso il volto dei momenti oscuri, i momenti che questo popolo senza pace sopporta periodicamente da più di trent'anni. L'istante più pericoloso dopo la caduta di Perón, l'Argentina l'ha passato'meno di tre mesi fa E' un episodio da noi poco noto nel suo intreccio, perché i consueti canali di informazione ne hanno dato resoconti sommari e affrettati. La mattina del 1S ottobre la radio cominciò a trasmettere un appello del presidente della Repubblica, in cui lentamente la voce di Frondizi annunziava che « forze' bene individuate > stavano cospirando per attuare un colpo di Stato e conquistare con la violenza il potere. Frondizi che mai aveva pronunziato parole così gravi, aggiungeva che in nessun caso si sarebbe dimesso e avrebbe opposto la forza alla forza, le armi alle armi. La gente, nelle case, nelle strade, negli uffici, seppe così che il pae se, improvvisamente, forse in quello stesso giorno, poteva precipitare'negli orrori della guerra civile Mentre la radio ripeteva ogni mezz'ora quel disco minaccioso, Frondizi stava chiuso in una stanza della Casa. Rosada con il capo dell'esercito, generale Toranzo Monterò. I due uomini erano seduti alle estremità opposte d'un lungo tavolo, dove a portata di mano del presidente, e bene in vista, si tro vava un iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii revolver carico Duecentoquarantn ufficiali fedeli al governo con i mitra imbracciati erano nascosti nel palazzo, mentre squadriglie di aeroplani, solidali anch'esse con Frondizi, abbandonavano una dopo l'altra l'indifendibile aeroporto di Moron per dislocarsi nei campi di Cordoba, di Mendoza, di San Luis, dà cui era agevole bombardare senza rischi le divisioni ribelli di Toranzo Monterò, già ammassate intorno alla capitale. La marina in quel conflitto tra l'esercito e il capo dello Stato, appariva per il momento neutrale, ma le navi all'ancora nel porto avevano tutti gli «omini a bordo e i cannoni carichi. A Frondizi, il gen. Toranzo Monterò consegnò un memorandum che i cittadini lessero il giorno seguente sui giornali, dove a nome dell'esercito si reclamavano le dimissioni immediate d'un certo numero di ministri, l'allontanamento di molti funzionari, infine drastiche modifiche delle leggi sindacali. Per il momento, secondo il testo del documento, il presidente doveva accettare < subito e con i fatti > quelle proposte: « Non potendosi sperare », si aggiungeva, « di vedere attuati concreti provvedimenti in circostanze normali ». Le parole più minacciose apparivano le ultime: « L'esercito pensa che la soluzione del proble- ma sia solo nelle mani di vostra eccellenza ». Si trattava, come si vede, di proposte chiare, con chiare alternative: o piegarsi, o andarsene, o lottare. A voce, poi, Toranzo Monterò spiegò che i primi ministri da licenziare erano quelli dell'Interno, dell'Economia e delle Comunicazioni; i loro \ sostituti potevano venir scelti entro una terna di nomi presentati dall'esercito, oppure nominati dal capo del governo, con V approvazione però dei generali. Frondizi chiese due giorni di tempo prima di rispondere. In quei due giorni, altre riunioni si svolsero alla Casa Rosada. La cornice degli Incontri rimase la stessa: ufficiali armati chiusi negli uffici e nei corridoi, reggimenti in assetto di guerra nei pressi della capitale, aeroplani pronti a decollare dagli aeroporti, navi alla fonda con i cannoni puntati. E intorno il gran silenzio di Buenos Aires, atterrita e semideserta. Intanto radio e giornali diffondevano continuamente dichiarazioni, comunicazioni, smentite, ordini del giorno, proclami, messaggi. Quello del cardinale Caggiano, ad esempio, con cui il Primate dell'Argentina esortava a salvare a tutti i costi la pace, « perché la nostra gente è in pericolo e se perdiamo la pace perdiamo tutto ». O quello del generale Larcher, il ministro della Guerra, nettamente ostile ai propositi del capo dell'esercito, da lui definito « aspirante dittatore, o per vocazione propria o in ossequio a- un pugno di congiurati, uomo pieno di ambfeioni inconfessate che oscurano ogni sua capacità di riflessione ». Ma, prima ancora che Frondizi annunziasse a Toranzo Monterò le decisioni attese, la crisi poteva considerarsi risolta, perché l'ammiraglio Clement, ministro della Marina, e il generale Abrahin, comandante della aviazione, con le forze al loro seguito eran già passati nel campo del presidente. Così, dopo due giorni di ansie faticose, di colloqui concitati ed anche, come ha ammesso poi in confidenza, di violentissimi llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll mal di testa, Frondizi potè dare a Toranzo Monterò una risposta inaspettata, che fra qualche anno gli studenti argentini conosceranno forse a memoria. « Lei, signor generale, doveva venire da me con una mitragliatrice, non con una stilografica; sappia intanto che io possiedo tre sole case possibili: il palazzo del governo, il carcere e il cimitero ». L'esercito dovè contentarsi delle dimissioni del ministro della Guerra, stimato un transfuga dai colleghi, e ottenne che Toranzo Monterò rimanesse al suo posto. E il paese, passato il pericolo, riprese subito il volto pacifico dei giorni buoni. Nessun altro incidente da allora ha potuto alterare il migliore aspetto dell'Argentina: nemmeno i trenta morti di Rosario, una sommossa locale, considerata qui poco più di un grosso fatto di cronaca itera su cui non è il caso di soffermarsi troppo. Proprio in questi giorni uno dei più diffusi settimanali di Buenos Aires pubblica, fra gli articoli dedicati a « Miss Mondo », alle cinque mogli di Clark tiable e allo scrittore italiano Ercole Patti, un lungo saggio dal titolo « Trenta mesi di crisi militari », crisi grosse e piccole degli ultimi tre anni, descritte con il distacco di chi parla dei problemi di un altro e non del proprio paese. Ci si abitua a tutto, evidentemente, anche a vivere accanto a un barile di polvere e a lavorare in pace vicino a liquidi molto infiammabili. Ma, del resto, cos'altro potevano fare gli argentini? Venti milioni di persone sanno di trovarsi nel territorio più ricco del Sud-America, insieme con quaranta milioni di bovini, con una produzione di petrolio pari oggi al consumo nazionale, un'industria leggera iti ascesa dopo la pessima gestione peronista e una moneta da quasi due anni stabile. E sanno inoltre che la nazione sta compiendo un grande sforzo per guarire dai mali ereditati dal passato. Continuamente vengono impostate nuove centrali elettriche, è in corso un ampio ammodernamento delle ferrovie, sorgono impianti siderurgici e fabbriche di trattori, si disegnano grandi e belle strade, e tutto viene compiuto con un fervore e una perizia difficilmente immaginabili nei giorni della dittatura. Certo nuvole oscure si affacciano di continuo all'orizzonte, ed anche nel recente ottobre si udirono tuoni tempestosi. Ma può un intero popolo star con gli occhi sempre fissi al barometro e al cielot La risposta, è chiaro, va. ria da nazione a nazione. L'Argentina non è riuscita ad affrontare intrepidamente i gruppi sediziosi che tormentano'la sua esistenza e a ridurli alla ragione, ma neppure intende aspettare tromando che la bufera scoppi o che per sempre si allontani. Ha preso infatti una strada di mezzo, a cui accennavamo all'inizio: vivere e lavorare serenamente nei periodi quieti e precipitarsi al riparo net momenti agitati. E' un metodo che, forse, può venir paragonato a un geoco d'azzardo. Ma, date le circostanze, è probabile che sì dimostri buono: l'affetto eh» questo paese merita, ci induce ad anticipare tale conclusione ad ogni analisi sull'Argentina e sui suoi problemi. * Paolo Pavolini Cernati) Cordata' o tfarana) v. Rosario o SANTIAGO/ ^ BUENOS AIRES" »» u» n* iHtfc»!