La rivolta ha lasciato in Etiopia un clima di profonda amarena di Francesco Rosso

La rivolta ha lasciato in Etiopia un clima di profonda amarena Et9Imperatore tradito da suoi uomini di fiducia La rivolta ha lasciato in Etiopia un clima di profonda amarena Il pèggio è passato; ma sembra difficile un rapido ritorno alla tranquilla atmosfera che attorniava Hailè Selassiè II massacro dei ministri ha privato il Negus dei suoi più diretti collaboratori - Confuse aspirazioni dei giovani (Dal nostro inviato speciale) Addi» Abeba, 23 dicembre. Nel torbido clima post-rivoluzionario il Natale di Addis Abeba, gronda di malinconia. Parlo del Natale degli europei perché gli etiopici di rito copto festeggiano la nascita di Cristo il 7 gennaio con un ritardo di sette anni. Un Natale inquieto, offuscato da ombre funeree che salgono come tetre nebbie dalla situazione incerta o forse dal gran numero di casuarine che ragazzi etiopici recano sulle spalle sperando di venderle agli europei. Ai 2600 metri dell'altopiano, nell'atmosfera sottile ed eccitante come sciampagna, la casuarina è la sola conferma che possa dare l'illusione di avere un pino od un abete da acconciare ad albero natalizio. A me pet quelle ramature sfrangiate d'un verde anemico danno soltanto -un'impressione di cipressi. Le immagino nelle case europee di Addis Abeba adorne di candele, stelline e fettucce di stagnola- e la sensazione di cipresso parato a morto mi diviene pungente. Eppure ne ho comprata una anch'io, piccolìna, per farmi un alberello di Natale che rompa il desolato squallore di questa camera d'albergo dallo stile vagamente littorio e per accontentare il bimbetto etiope che desiderava due dollari per quei funerei rametti. Sostava all'ingresso dell'albergo e la offriva con sguardo implorante, ma nessuno la voleva perché tisicuzza con pochi rami. Non so come si possa resistere alle invocazioni dei bimbi etiopici; hanno tanta grazia nel chiedere, una così diffusa dolcezza nel dilatato smalto degli occhi bianchissimi che si compera tutto quanto offrono: una rivista vecchia di un mese ' o una crocetta copta di modesto, ottone ch'essi proclamano di argento dorato. In questi giorni con le casuarine offrono l'illusione dell'albero natalizio, unica nota gentile nell'aria stranamente inquieta di Addis Abeba funestata da tanti lutti. Gli etiopici hanno perduto la gentile gaiezza dei giorni sereni. Vanno per le loro faccende come sempre, ma coi volti stranamente chiusi. Incontrandosi per via si salutano rapidamente con frettolose , strette di mano, fatto singolare per questi uomini, che vedendo alla lontana un conoscente, già lo salutano con un sorriso, avanzano rapidarnente per affrettare il piacere di essergli vicino, gli tengono a lun go le mani fra le mani, men tre si scambiano un fitto discorso a mezza voce si guardano negli occhi da cui traspare una dolce beatitudine, per lasciarsi infine con profondi inchini. E' un cerimoniale complesso e bizantino: impiegano dieci minuti per dirsi quanto noi esprimiamo con un arido, anodino buongiorno, ma sarebbe ingiusto definire doppiezza o ipocrisia quel loro gusto per Te steriorità elaborata, semmai esprime la mitezza del loro temperamento che dlfflcilmen te trascende alla violenza. Nei giorni della collera, quando sarebbero stati comprensibili gli eccessi perché soldati e polizia erano occupati a scambiarsi fucilate e raffiche di mitra e non aveva no il tempo di interessarsi all'ordine pubblico, nessun negozio, ufficio o casa fu svaligiato. I corpi del colonnello Uorkene e del generale Zagai, capi della ribellione, furono appesi a forche e la folla andò a vederli oscillare al teso vento dell'altopiano, ma la curiosità della gente aveva il rigore di un rito: la morte incuteva rispetto anche se quel supplizio appariva giustificato dal pericolo cui quei due uomini avevano esposto l'Etiopia. Se giudichiamo secondo gli Schemi del nostro progresso tecnico dobbiamo convenire che il livello economico e sociale degli etiopici è alquanto basso, ma i tremila anni di civiltà che essi vantano hanno un fondamento innegabile: nei giorni iracondi del complotto gli etiopici hanno rivelato una saldezza di nervi e una fermezza di carattere che potrebbero essere di esempio ad altri popoli che stanno sui gradini più alti della nostra arida civiltà meccanica. Oggi, passata l'onda di terrore, rivelano una preoccupazione che potrebbe sembrare ingiustificata, la calma è tornata nonostante rabbiose sparatorie notturne, l'imperatore siede nuovamente sul trono e più saldamente di prima, i ribelli sono stati sgominati, ogni timore per l'avvenire dovrebbe dissiparsi al limpido sole di questo inverno quasi tropicale temperato dall'altitudine. Eppure gli etiopici sono inquieti perché sentono che tutto non è tornato' come prima, il complotto è stato sventato ma il solco aperto dai sanguinosi combattimenti non è stato col mato, la rivolta dei pretoriani — qualunque fosse lo spirito che l'animava — ha ìracce profonde. L'imperatore Hailè Selassiè è tornato sul suo trono, ma intorno a sé ha trovato 11 vuoto: i ribelli gli hanno massacrato i suoi più fedeli collaboratori nel modo che tutti conoscono uccidendoli mezz'ora prima di fuggire, quasi a indicare che con quell'eccidio intendevano cancellare una determinata lìnea politica. Prima di aprire il fuoco sul gruppo di ministri e dignitari atterriti pare che il generale Manghestu abbia detto: c So che per me è finita, ma alme no avrò liberato il popolo etiopico dal cancro che voi rappresentate > e sparò senza tre¬ alllcSflnlasciato mare sugli inermi. E' probabile che la frase sia stata inventata dopo l'eccidio, ma anche se successiva esprime uno stato d'animo che non può essere ignorato perché quelle parole circolano nelle conversazioni quotidiane e hanno acquistato preoccupante popolarità. *• Se all'angosciato silenzio della folla accorsa per guardare i capi della ribellione penzolanti dalla forca si aggiunge la meditazione sulle cause del complotto, si arriva a comprendere in parte il pensoso atteggiamento etiopico, le ansie ed i timori che li agitano. Se la sedizione avesse trionfato, quasi certamente sì sarebbero presto resi conto che dietro- le promesse dì palingenesi sociale c'era soltanto l'ambizione di pochi insofferenti la disciplina, ma la sommossa è durata poco e non ha fatto in tempo a deludere. La silenziosa malinconia che si nota sul volto e neil'atteggiamento degli etiopici è nata nel momento stesso in cui i ribel li e le truppe fedeli all'impe ratore hanno incominciato a scambiarsi fucilate: sentivano che in quel momento era in gioco la loro sorte e non sono più riusciti a trovare l'abituale gaiezza. Se gli etiopici sono, inquieti, gli europei sono preoccupati: il complotto stroncato nel sangue ha messo in evidenza una situazione che non può essere sanata con la formula « dimentichiamo, il peggio è passato e tutto è tornato come prima ». Nel giorni della collera sono venuti a galla rancori, malumori, irrequietezze che prima fermentavano nel fondo della coscienza e non trovavano sfogo per profondo rispetto dell'autorità costituita, congenito negli etiopici; ora è difficile ricacciarli nel limbo delle aspirazioni insoddisfatte, bisogna tenerne conto. Chiuso nel suo palazzo diventato troppo vasto e folto di echi sinistri, dopo la strage consumata fra quelle mura degli uomini a lui più devoti, l'imperatore Halle Selassiè sente salire fino a lui gli ansiosi fermenti che agitano la popolazione. E' stato un sovrano illuminato che in pochi anni ha impresso un ritmo che ha del prodigioso al processo di modernizzazione dell'Etiopia, ma ha creato anche 1 presupposti per ìmpeti d'insofferenza del suoi sudditi, specialmente nei giovani che hanno viaggiato e veduto altre forme di governo, agili nell'afferrare gli umori delle popolazioni e solleciti verso le esigenze più immediate come quella del pa¬ ne quotidiano. Ora che lo hanno privato dei collaboratori più fidati, l'imperatore appare solo. E' un uomo dì tempra eccezionale, ha saputo superare disavventure di ogni genere e anche dopo il rude scossone provocato dalla sedizione riprenderà di certo la sua tradizionale linea di monarca assoluto e illuminato. Gli europei attendono ma non si illudono che il 15 dicembre sia un giorno ormai senza significato; gli etiopici sono inquieti perché temono sia passato invano. Le casuarine così simili ai cipressi che i ragazzi etiopici vendono per strada possono bene essere il simbolo di questo malinconico, funereo Natale. Francesco Rosso

Persone citate: Hailè Selassiè, Hailè Selassiè Ii, Halle Selassiè, Negus

Luoghi citati: Addis Abeba, Etiopia