II Parlamento e l'unita Italiana

II Parlamento e l'unita Italiana II Parlamento e l'unita Italiana Tra le molte pubblicazioni, di ineguale interesse e valore, sul triennio decisivo del nostro Risorgimento uscite negli ultimi tempi, particolare segnalazione merita il volume (// Parlamento velia formazione del rev.no d'Italia, Milano, Giuffrc) in cui Alberto Caracciolo ha opportunamente raccolto numerosi testi, documenti e testimoni.-.nzc attinenti al Parlamento subalpino e al prillici Parlamento italiano, facendoli precedere da un lucido studio introduttivo, che ne mette efficacemente a fuoco i vari momenti e problemi. ■ • Ne esce 'anzitutto pienamente confermata l'importanza ben presto assunta, nel Pici-onte costituzionale, dall'istituto parlamentare e, in particolare, dalla Camera dei Deputati. Nonostante le riserve con le quali Carlo Alberto si era piegato, nel febbraio 1848, a concedere lo Statuto, e il carattere di Carta « octroyéc » che questo ebbe in origine, e nonostante le successive resistenze della Corona, il nuovo regime non tardò a trovare nel Parlamento il proprio fulcro e ad acquistare così una fisonomia ben più liberale e progressiva di quella prevista dallo stesso Statuto. E il principio della posizione centrale e determinante, tra le istituzioni dello Stato, della Camera elettiva — e, quindi, del carattere non puramente costituzionale, ma parlamentare del regime — riuscì in breve tempo ad affermarsi non solo nella prassi politica, ma anche tra irli studiosi di diritto pubblico. Mentre, d'altronde, Palazzo Carignano assurgeva sempre più, agli occhi dell'opinione, a simbolo,, oltre che delle libertà statutarie, della stessa nazione italiana in fieri. Un contributo essenziale a questo sviluppo liberale dello Statuto e a questa trasformazione del regime da costituzionale in parlamentare lo dette, come è noto, Cavour: che sull'« onnipotenza parlamentare » fondò costantemente la propria politica. Vero e che egli fu, allora e poi, accusato di essersi servito del Parlamento come di uno schermo per esercitare di fatto una vera e propria dittatura; e che, nel corso del 1859-60, non esitò più volte a metterlo « in riserva «per assicurarsi, di fronte ai problemi della guerra e delle annessioni, maggior libertà di azione. Ma è indubbio che egli considerò sempre il Parlamento come l'istituto dal quale U sua politica traeva, in definitiva, forza politici e autorità morale e la « mute parlamentaire » come di tutte « la plus sùre » (basti ricordare quanto scrisse in proposito, nel dicembre '60, a Madame Circourt); che respinse sempre, da qualsiasi parte gli venissero, da Ricasoli come da Garibaldi, le suggestioni d'una dittatura; e che, in momenti cruciali — nel gennaio del 1860 come nell'ottobre o nel dicembre dello stesso anno — vide nella convocazione del Parlamento un'arma politica di decisiva efficacia sia nei riguardi delle iniziative a rivoluzionarie d del partito d'azione sia nei confronti dell'opinione italiana ed europea. Ossia, per dirla in breve, che la soluzione monarchica e unitaria del problema italfdno fu per lui anche, e necessariamente, soluzione parlamentare. E, di fatto, i verbali degli Uffici della Camera, pubblicati dal Caracciolo, confermano che, se nello scorcio del 1860, la politica cavouriana potè alla fine trionfare, fu anche in virtù del concorso, formale e non-formale, del Parlamento: che non solo ne assicurò e allargò la base di consenso nel paese, ma le segnò anche precisi limiti nei confronti di Garibaldi e del partito d'azione. Come, d'altro lato, fu grazie all'autorità acquisita dall'istituto parlamentare, e attraverso la sua mediazione e la sua convalida, che il nuovo regno potè accogliere in sé alcune « componenti rivoluzionarie d del moto risorgimentale. E, nonostante il rifiuto della richiesta Costituente e la tenacia con cui re Vittorio Emanuele volle ribadirne la continuità storica con quello subalpino, non si ridusse a una semplice monarchia costituzionale sabauda, ma potè assurgere a espressione della nuova realtà nazionale. Se a Cavour fu mossa, allora e poi, l'accusa di essersi a spessissimo riso del Parlamento » (come scriveva ad esempio la clericale Armonia) e di aver covernato di fatto quasi da dittatore, al Parlamento fu mossa, a sua volta, quella di non esser veramente rappresentativo della volontà popolare, ma solo d'una oligarchia, priva di larghe basi popolari e chiusa ai problemi e alic istanze delle classi più numerose. Soprattutto da parte clericale non si cessò, in quegli anni e nei decenni successivi, di contestare la legittimità popolare del nuovo regno e di contrapporre al « paese legale », costituito da una ristretta minoranza sopraffattrice, il « paese reale », « l'Italia vera, onesta e cattolica », che ne sarebbe stata iniquamente disconosciuta e « schiacciata ». Ed è noto come anche di recente, in sede di icvisione critica della storiografia risorgimentale, riferendosi alla gracilità delle istituzioni del nuovo Stato e al suo carattere accentrato e burocratico, olle non mai intermesse ingerenze della Corona nella sua direzione politica e del potere esecutivo nella vita locale e nelle consultazioni elettorali, alla struttura oligarchica e alla mentalità ron* servatricc della sua classe dirigente e alle ristrette basi Iella rappresentanza parlamentare, si sia tornati a contestare, questa volta da parte democratica, la natura liberale del nuovo regno e della sua politica. Pur appartenendo alla cosiddetta storiografia di sinistra, il Caracciolo non ne accoglie però, su questo punto, le tesi estreme. Non che non riconosca e non sottolinci anche lui i limiti e le insufficienze, in fatto di strutture e di spirito liberale, dello Stato uscito dal Risorgi mento. Ma non pensa che siano state tali da indurre a negargli a tradizionale qualifica di u liberale ». Ne stima che siano derivate soltanto, o prevalentemente, da angustie conservatrici della sua classe dirigente \ suo giudizio, esse dipesero prattutto dal difetto, nel paese, di « energie sociali, organicamente stabilite, sufficièntemente diffuse in ogni sua parte, cariaci di dar vita a un più avanzato regime di libertà ». Basti pensare a quel che erano, di fatto, in vaste zone rurali e nelle regioni del Mezzogiorno, quelle Il 111F J1M1111 [ 1111 [ 11 [ ! 1111111111M1111 [ 1111111111 ! 1111111 forze popolari di cui anche oggi si accusa Cavour e i suoi eredi di non aver cercato il concorso. Furono anzi le condizioni di arretratezza di tali regioni 1 di tali classi a rendere inevitabili, spècie nei primi decenni .di vita unitaria, quel centralismo autoritario e quel restringimento li libertà che tanto in essi ci colpiscono, e a produrre quelle deformazioni e disfunzioni del sistema parlamentare che vennero poi designate col termine spregiativo di « parlamentarismo ». E' un punto, questo. >ul quale il Caracciolo ritorna, con acute osservazioni, anche in un altro suo recentissimo lavoro, Stato e società civile ( Problemi dell'unificazione italiana), uscito nelle edizioni Einaudi. Resta, comunque, che, nonostante tali deformazioni, il Parlamento rimase in Italia presidio efficace di libertà e costituì il centro da cui fu possibile '.'onfcrire forza e autorità al nuovo Sfato unitario. E che. per quanto angusto e difettoso, il remine stabilitosi nella penisola ìcl 1861 dimostrò, nei difficili 'ecenni che seguirono, abbastanza vigore ed elasticità e abbastanza «attitudine liberale» da avvertire e da far propri gli stimoli di rinnovamento fatti valere, nel corso della sua evoluzione, dalla società civile e da avviarla, col nuovo secolo. >'erso un regime di democrazia. Il che, per un paese partito dal punto in cui partì nel 1861 T'ra lia, non fu certamente poco. Paolo Serinì < 1111 r [ 11 [ 11 [ 1111M1111711111 : > 1 < LIJ11:11 ' 1111 ! 111

Luoghi citati: Giuffrc, Italia, Milano