Il solo Eisenhower continua a governare negli Stati Uniti durante l'«interregno» di Paolo Monelli

Il solo Eisenhower continua a governare negli Stati Uniti durante l'«interregno» PER DUE MESI KENNEDY NON ENTRERÀ' ALLA CASA BIANCA Il solo Eisenhower continua a governare negli Stati Uniti durante l'«interregno» Passa quasi un trimestre fra l'elezione e l'insediamento del nuovo presidente - Nell'età dei razzi l'America applica ancora le norme adottate quando gli uomini politici impiegavano settimane per raggiungere Washington - La proclamazione ufficiale di Kennedy avverrà soltanto il 19 dicembre, ma non ci saranno sorprese - Eppure il conteggio dei voti giunti per posta non è ancora terminato, e non si può escludere che i suffragi popolari di Nixon riescano a superare quelli dell'avversario vittorioso (Dal nostro inviato speciale) New York, novembre. Gli americani, all'avanguardia di ogni progresso tecnico e sociale, nel campo delle leggi hanno tuttora lo spirito conservatore e attaccato alla tradizione dei loro avi inglesi — una costituzione del 1787, leggi e regolamenti di quel secolo o del successivo restano tuttora in vigore, con radi e lungamente ponderati emendamenti. Per questo anche nell'era dei jets corrono più di due mesi fra l'elezione presidenziale, che una legge di più di un secolo fa, del 1845, fissava al martedì seguente il primo lunedì del mese di novembre, e l'assunzione dei poteri da parte dell'eletto, che avviene secondo la costituzione al mezzogiorno del SO gennaio seguente — ma tanto spazio di tempo èra necessario quando erano lentissime le comunicazioni da un capo . all'altro della Confederazione, ed i grandi elettori per recarsi a Washington viaggiavano a cavallo o per le poste, e ce mimnHimiiiiimm n'erano che si partivano dalle rive del Pacifico o dalla frontiera con il Messico, traversando regioni impervie e selvagge. Poi c'è la complicata macchina elettorale di cui ho cercato di darvi un'idea. 1 cittadini dei singoli Stati l'B novembre hanno scelto solo i grandi elettori, o rappresentanti, che a loro volta eleggeranno il presidente — ma è chiaro che dando il voto ad un grande elettore che si presentava come democratico o come repubblicano, essi intendevano dare il voto a Kennedy o a Nixon, Questi suffragi, che son fatti individuali, sono i primi che saltano all'occhio: quando poco dopo la mezzanotte dell'8 novembre si seppe che i voti individuali di Kennedy superavano di quasi due milioni quelli di Nixon, questi, come ricorderete, si presentò come un vinto alla nazione traverso la televisione; ma in realtà tali voti hanno solo un valore .indicativo, o addirittura onorario. Quelli che contano, anni che conteranno, sono quelli dei grandi elettori — i quali è vero che si sono impegnati, presentandosi sotto l'insegna dell'uno o dell'altro partito, a dare il voto al candidato del partito stesso; ma hanno tutto il diritto di mutare convincimento e scegliere il 19 dicembre, quando si riuniranno in collegio elettorale, il candidato dal partito opposto. Si tratta naturalmente di una eventualità limitata, ove si presenti, a rarissimi casi, e Kennedy non ha motiva di temerne gli effetti. Ma in questi quindici giorni è avvenuto che il rapporto fra i voti individuali dei candidati è andato sempre diminuendo, oggi il massimo attivo di Kennedy è sceso sotto i 188.000 voti — una percentuale di 0,13: per darne un esempio, se Kennedy e Nixon dovessero dividersi cento lire in proporzione ai voti, il primo avrebbe solo trenta centesimi più dell'altro. Né è esclusa la possibilità che a conteggio ultimato il rapporto si capovolga. Finora solo dieci su e a i l i o e o è . cinquanta Stati hanno chiuso i calcoli; degli altri Stati si saprà il risultato definitivo solo fra due o tre settimane: i voti degli assenti, che in certi Stati possono giungere per posta anche nei giorni seguenti a quello della elezione (e così in California fino a tutto il sesto giorno dopo la elezione), sono contati ■ così a rilento, che ancora un milione di essi non sono ancora passati al vaglio degli scrutatori. Tuttavia, anche se la totalità di questi voti andasse a favore di Nixon e Kennedy si trovasse alla fine del conteggio in minoranza di sette od ottocentomila voti, resterebbe sempre vincitore — anche dopo la perdita dei 32 voti della California. Kennedy ha sicuri più o meno 300 voti dei grandi elettori, una trentina di più della maggioranza richiesta dì 269. E se per dannata ipotesi dovesse perdere anche i ventisette voti elettorali dell'Illinois (ove ha vinto con il piccolissimo margine di 6000 voti, su un totale di 4 milioni e 738.000 in cifra tonda) avrebbe sempre qualche voto elettorale in più. Si fa un grande parlare, è vero, di inesattezze e di brogli, si invocano inchieste e nuovi conteggi; ma alla fine si troverà opportuno non investigare troppo in una materia troppo pericolosa, che può portare a risultati sfavorevoli a quella stessa parte che più si agita e chiede luce e riscontri. Corre l'aneddoto che l'eletto si sia doluto con suo padre Joe di aver vinto per un pelo, e suo padre gli avrebbe risposto: « Caro Jack, potevo comperarti una elezione, ma non una landslide » (parola che significa valanga, slavina, e definisce metaforicamente una vittoria elettorale ottenuta con enorme preponderanza di voti, come avvenne per Eisenhower nella elezione del 1956). In realtà non si vede come si possa comperare una elezione dì questo genere, se non in via indiretta: così si sussurra in certi ambienti devoti a Nixon che il vecchio Joe, quando doveva nominarsi il candidato del partito democratico, tenne fuori della gara u?io dei concorrenti più pericolosi pagandogli tutti i suoi debiti, che pare ammontassero ad una cifra astronomica. Sta il fatto che Kennedy non appare per nulla umiliato dall'aver vinto in fotografia, per dirla in linguaggio da Olimpiadi — anche se da varie parti si senta ammonire che il suo successo non corrisponda affatto al volere della maggioranza del paese, sìa soltanto l'effetto dì un estemporaneo accordo, o dirò meglio di un incontro, di gruppi di minoranza che si son trovati alleati per interessi vari, economici, di religione, di razza ecc.. Ma conviene notare a questo proposito che Kennedy nella lotta elettorale è partito da zero: era poco meno di uno sconosciuto quando il suo partito lo scelse a candidato, fuor che nei circoli politici di Washington per la sua attività di senatore, e in un chiuso mondo di finanzieri e di cronisti mondani, grazie alle fortunate operazioni di banca e alle clamorose missioni diplomatiche del padre, mentre Nixon da almeno otto anni era un uomo pubblico, tutti lo conoscevano, e conoscevano le sue vicende familiari e la moglie e le figlie per nome, essendo le gioie della sua famiglia uno dei motivi ricorrenti nei suoi discorsi, e giganteggiava dietro a lui con grandi ali protettrici il generale Eisenhower (si che agli occhi di non so quanti votanti Nixon ha potuto apparire come il luogotenente del generale, che — vincendo Nixon — avrebbe potuto per interposta persona rimanere il vero presidente per altri quattro anni). Ora se si può dire che riuscendo vincitore Nixon con iiii1imiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii9 un margine da nulla avrebbe dovuto sentirsi a disagio, confrontando la sua vittoria repubblicana a quella di Eisenhower nel 1956, il vincitore Kennedy non ha motivo di temperare la sua soddisfazione, essendo la sua vittoria strepitosa, come scrive il noto giornalista Alsop, per il solo fatto che sia avvenuta contro ogni ragionevole aspettazione. A me pare che ci sia anche da tener conto del fatto che Kennedy è riuscito vincitore, spesso con vantaggio schiacciante, nelle principali città della Confederazione, le più attive, le più intelligenti, come New York, Chicago, Cleveland, Filadelfia, Los Angeles, San Francisco, Pittsburgh; e pur con tutto il rispetto per l'uguaglianza democratica di voto, è lecito dare minor valore alla volontà dei milioni di citrulli, per dirla col Giusti, di fronte alla volontà di altrettani cittadini evoluti e pensanti. Abbiamo dunque questo interregno di due mesi e dieci giorni, e fin dal principio la gente si è chiesto chi sia al comando degli affari dello Stato, se già Kennedy faccia, arrivare agli uffici dirigenti consigli o istruzioni, se Eisenhower intenda continuare' a fare di testa sua fino all'ultimo giorno del suo mandato. Dagli avvenimenti degli ultimi giorni pare che sia proprio così. Eisenhower, tuttora molto irritato della vittoria di Kennedy, i sembra si sia prefisso di mostrare al paese che non è vero quanto ha detto questi di lui durante la campagna elettorale, accusandolo di inerzia e di debolezza e soprattutto di lasciare ■ nelle peste il suo successore, preparandogli alcune ostiche gatte do pelare. Ed ecco la improvvisa mobilitazione della Marina da guerra nel mare dei Caribi (si dice per vero che la richiesta di aiuto da parte del Nicaragua e del Guatemala sia giunta da tempo al governo americano; ma erano i giorni in cui era viva la pole¬ mica fra i candidati, che cosa si dovesse fare per Cuba, e Kennedy aveva invocato un intervento risoluto a favore dei controrivoluzionari, e tutto fu rinviato a dopo le elezioni); ecco i drastici programmi d'economia a spese delle forze americane fuori della metropoli e la richiesta alla Germania di contribuire alle spese delle truppe di occupazione americane con 650 milioni di dollari l'anno. Disposizioni e attività diplomatiche che non vengono unanimemente approvate, tutt'altro. Specialmente si criticano le ultime due. Le economie dovrebbero cominciare dall'interno, si dice, e non dalle truppe d'occupazione necessarie alla sicurezza del mondo libero; né conviene rafforzare il prestigio e la potenza di una Germania già troppo sicura di se, rovesciando la fodera delle tasche e ricorrendo alle sue pingui casse. Paolo Monelli