Becket e il suo Re di Anouilh all'Alfieri

Becket e il suo Re di Anouilh all'Alfieri LA COMPAGNIA GINO .CEiRVI ■ MASSIMO GIROTTI Becket e il suo Re di Anouilh all'Alfieri Ricco d'ingegno, di episodi, di trovate, frondoso e sottile, spregiudicato e sensibile, questo nuovo « spettacolo » di Jeen Anouilh non lascia certo indifferenti. C'è qualcosa, dentro, un'emozione, un dolore, un non so che di infantile e spaurito, che, tra le battute felici e le parole allegre, avventate fino alla sguaiatàggine (od ombrate dal pudore, da un affetto gentile), vi prende, e non allenta; e anche là ove pare che il dramma si disperda nella cronaca pittoresca e antica incalza, vi tiene. C'è, dentro, un personaggio, e non è propriamente Becket, ma il suo Re. Perché questa è la celebre avventura di Tommaso Becket e di Enrico II, e chi volesse leggerne piacevolmente si prenda il vecchio Augustin Thierry e la sua Conquóte de l'Angleterre par Ics Normands, ove anche Anouilh l'ha incontrata; ma non di storia si tratta qui, bensì di invenzione, di un'opera d'arte e di teatro, di una fantasia che da quei fatti remoti, affascinanti e strani, ha tratto una serie di temi psicologici, di variazioni ingegnose e commosse. Anche Eliot prese dal martirio di Becket ispirazione alla sua tragedia corale e idealistica, Assassinio nella Cattedrale; ma è tutt'altra cosa. Anouilh ha soprattutto cercato e, frugando in quelle anime, evocato la tragedia di un'amicizia. C'è anche il motivo dell'onore (anzi il titolo originale della commedia è: Becket ou VHon neur de Dieu), l'onore di Becket, l'onore al quale Becket si immola; ma il palpito vivo, mobile, contraddetto tra l'amore e l'odio, il palpito che gonfia queste scene come il vento fa della vela, è quello dell'amicizia tradita, delusa, perduta.. Nulla di ambiguo. I due uomini sono l'uno di fronte al l'altro, virili e sani; ma uno, Becket, è tutto intelligenza, lucidità, l'altro è tutto goffaggine, brutalità, istinto, puerile e barbaro. E, vedi finezza dello scrittore, chi vi commuove è proprio questo balordo ubriacone, questo libertino sanguinario, nel quale si cela una tenerezza senza luce e senza pace. Giovani ambedue, il Re ha nell'amico Becket illimitata fiducia; Becket è il suo buon genio, è il « pensiero » stesso, agile, penetrante, che discerne e illumina il mondo; quel « pensiero » che il Re aborre, e che pur lo attrae e intimidisce. Nelle gozzoviglie, nei piaceri violenti, a caccia, a banchetto, con le donne, prese come bestie in trappola, Becket porta un'eleganza, un distacco di gran signore. Galante e rigido, aristocratico e astuto, coraggioso e docile, l'onore (quell'onore che vorrebbe dare alla commedia un senso più alto e misterioso) lo lega «feudalmente » al Re, lo lega e lo piega fino all'ann- "amento, fino all'apparente Vi.-à, e quan do Enrico gli chiede Guendali na, Beckc t cede l'amaiite con tale e tanta freddezza che non sai se giudicarla impeccabile, o sinistra, o già intrisa di un'altra attesa. Che c'è veramente nel cuore di Becket? Orgoglio, preveggenza, virtù? C'è il presentimento di Dio? Un critico francese ha negato che questa sia comunque una tragedia della Grazia, e il critico ha ragione. Il Becket di Anouilh non è un prescelto, non è un eroe toc cato dal Cielo. E' un uomo che vuole «far bene tutto ciò che fa », è un uomo fedele soprattutto a sé stesso, sempre e in teramente colmo, nel male, nel! bene, di tutta la vita, qual essa è. La sua nobiltà è grande, perché questa scelta, questa elezione perenne è figlia della scmdoEcSs«zrlctlèdlctRltilpcncccrsdldmcmn| ù l! , a a saggezza. Ma non ci senti la carità. Quando dal servizio del monarca egli passa al servizio di Dio, ebbene, anche il suo onore diventa l'onore di Dio. E lo compirà fino alla morte, con razionalità e perfezione. Si potrebbe quasi dire'che que-, sto Becket è un gentiluomo «assoluto >. La creatura straziata dalla passione, la cree.tura immersa nella cecità e ^ella malinconia (una di quelle creature dalle quali talvolta si traggono i santi), l'uomo sull'orlo degli abissi non è Becket, è l'altro. E' il Re. Per nulla padrone del suo destino, per nulla signore e patrizio e uomo di corte ma belluino, bravaccio, triviale, orrendo, tuttavia nel Re, c'è un amore. L'amore dell'amicizia, il rimpianto furente, implacato, di un'amicizia ingenua, credula e pura. Per questa ingenuità» e per la tracotanza. Re Enrico fa un passo falso. Ha nominato Becket cancelliere, se lo & alleato nella lotta contro la Chiesa e contro i privilegi del clero. Becket se la cava da politico eccellente e da suddito leale. Enrico è entusiasta, e nell'entusiasmo anche meno capisce e distingue: e poiché è morto l'Arcivescovo Primate, pensa di andare anche più in là; nomina Becket Arcivescovo, e crede cosi di essere penetrato con lui nella roccaforte del nemico. Ma il Re non ha capito niente. Becket ha ora un altro signore, il Signore Iddio, e il suo compito è di salvarne la Chiesa, la Chiesa d'Inghilter ra, di difenderla, di restaurarla. Il suo onore,, la sua fedeltà, il suo «far,bene ciò che deve fare », è questo. Enrico si trova davanti un avversario che nessuna forza umana riuscirà a domare. Nello sdegno del Re, nella sua ira spaven tosa, c'è soprattutto lo stupo re. Dunque Becket lo ha ab bandonato, è un ribelle, è un traditore, e non ha tradito sol tanto il trono: ha tradito il cuore dell'amico. Tale il dramma che Anouilh ha condotto, variato e modulato con ardita prestanza, con fluente, elasti ca bravura di teatrante. Vi è un ultimo colloquio del Re e di Becket, in una landa deserta, soli, e il Re di Francia assiste di lonctano, mediatore ipocrita, v'è un incontro supre mo e vano tra questi due uo mini che l'amicizia ha gettato l'uno corftro l'altro, che raggiunge l'?alta commozione; ci senti, olt;re la bravura dell'au tore di teatro, una lontananza, uno sconfinare di malinconia, che ha suono celeste... Ma il Re, dello strazio segreto nutre una vendetta assurda, grida che vuol essere liberato, e quattro suoi baroni massacrano ai piedi dell'altare il Vescovo Becket e il piccolo monaco che gli è accanto come un agnellino. Il Becket, tradotto in italiano da Luigi "Squarcino, è stato rappresentato iersera all'Alfieri dalla Compagnia di Gino Cervi e Massimo Girotti. Spettacolo molto degno e molto bello, estremamente pittoresco, fluido, agile, commovente. La variazione continua dcilla comicità al dramma, dal capriccio illustrativo all'allusione letteraria, dai toni burleschi a quelli patetici, lo scorrere dei vari piani rappresentativi, l'uno dentro l'altro, colore, voce, suono, canto, paesaggio, tanto che nel gioco svagato e serrato s'accendeva|jno e svanivano e ritornavano i temi molteplici e costanti di una sottile psicologia e delle fuggevoli ma acute intenzioni poetiche, questa sequenza ora smagliante or attenuata e sommessa ha ottenuto, per l'accorta regia di Mario Ferrerò, tutto il suo effetto. Non ic insisteremo su quella che fu propriamente evocazione plastica e pittorica, « costumi » stupendt, scenografia agevole, bozzetti miniati, e altre preziosità, ma vogliamo sottolineare che anche certe uscite farsesche, la cavalcata poniamo su cavalli di tela, con il caracollare fantoccesco, ebbero la loro ragione: è da questi respiri divaganti, da questa mistura.di visioni sognate, di scherzo, di Ironìa, che nasce inavvertita e profonda l'intima commozione del testo, la grazia cavalleresca e la malinconia dì cui si disse in principio. Uno spettacolo di questa fatta, cqsì squisitamente colto, così malizioso e imma qlotrstafasisie euamtodtesiraddginoso, e così audace, va prò-1 aprio trattato così. Se fosse stato meno svelto, meno faceto, meno impertinente, sarebbe apparso più arido e intellettualistico. Così, nell'atmosfera decisamente spettacolare, tutte le parole, anche le più ricercate, e libresche, trovarono il tono giusto. Gino Cervi era il Re: bravissimo, ha ben intuito e ben reso la pienezza sentimentale, l'affanno e la collera e la disperazione infantile del suo bizzarro personaggio. Con prestigio e sicurezza di chiaroscuri, di rutilanti bagliori, di ombreggiature patetiche è stato al centro della rappresentazione. A Massimo Girotti toccò*] la parte difficilissima, un po' sfuggente di Becket. Difficile è Becket perché non lo si deve caricare di più intense intenzioni, dic'amo di più romantiche intenzioni di quelle che la sua figura secca, appassionate e dominata, comporti. E la sua vera passione è forse proprio quella di costringere ogni passione in una misura perfetta. Girotti ha sentito siEri«sdbtàttIptrptCcdps questo, il suo atteggiamento lo dimostrava; ma non sempre trovò l'accento che esprime senza sottolineare, che rivela tacendo, che nella freddezza si fa di fiamma Tuttavia possiamo ben riconoscere ch'egli si astenne da ogni rettorica, e che il nodo del personaggio egli lo1 capi. Ed è pur questa una lode. Non nomineremo gli altri attori che fecero del loro meglio, e che valevano soltanto quali note ben modulate dalla regia. La rappresentazione dell'interessante e dilettevole novità si è svolta così in un'atmosfera di intelligenza e dì gusto, davanti a un pubblico splendido, attento, compiaciuto. Gli applausi furono molti, caloro- si, insistenti, meritatlssimi. Evocati più e più volte alla ribalta gli attori e il regista. f. b.

Persone citate: Augustin Thierry, Enrico Ii, Gino Cervi, Girotti, Mario Ferrerò, Massimo Girotti, Massimo Girotti Becket, Re Enrico

Luoghi citati: Francia