Luchino Visconti e il romanzo

Luchino Visconti e il romanzoL'ISPIRAZIÓNE DI "ROCCO E I SUOI FRATELLI,, Luchino Visconti e il romanzo Sono più che note le vicende che hanno accompagnato Rocco e i suoi fratelli durante la sua realizzazione e dopo: il divieto fatto a Visconti di «girare » all'idroscalo della sua città, il mancato conferimento a Venezia del Leone d'oro, i tagli imposti dal Procuratore generale e dal Procuratore della Repubblica di Milano, il ricorso del regista al Consiglio superiore della magistratura. Le polemiche sorte intorno a un caso cosi clamoroso sono tutt'altro che chiuse, e in ogni caso in modo non soddisfacente. Lascia perplessi il fatto, a es-mpio, che si possano giudicare alcune parti di un'opera, come quella appunto di Visconti, oltraggiose del pudore e raccapriccianti, e comunque calate in una crudezza fine a se stessa, quasi sadica, edonistica. Un giudizio del genere coinvolge l'artisticità o meno dell'intero film (artisticità del resto riconosciuta dalla magistratura), e la personalità, lo stile, l'atteggiamento del suo autore. C'è stato un momento in cui Pavese ha detto: «Il nostro narratore è De Sica »; segno che « cinema e narrativa sembravano procedere di pari passo alla ricerca della realtà, ma che fino a quel punto (1950) chi aveva raggiunto la strada vera era il cinema ». Pensiamo che sia possibile, e doveroso, aggiornare il giudizio di Pavese, dire cioè che, almeno nel cinema, il miglior narratore è Luchino Visconti. Rocco (e già La terra trema e Senso) a noi sembra infatti un'indicazione esemplare offerta alla cultura italiana, e che di fronte a esso si possa parlare di grande romanzo, di film che consegue la struttura e la complessità dell'autentica narrativa. Visconti si è più volte chiesto, sin dai tempi del suo primo film, Ossessione (1943), perché, mentre esiste una solida tradizione letteraria, la quale in cento diverse forme di romanzo e di racconto ha realizzato nella fantasia tanta schietta e pura « verità » della vita umana, il cinema, che nella sua accezione più esteriore, di questa vita parrebbe dover essere addirittura il documentatore, si compiaccia invece di avvezzare il pubblico al gusto del piccolo intrigo, del retorico melodramma, dove una meccanica coerenza garantisce ormai lo spettatore anche dal rischio dell'estro e dell'invenzione. La lettura dei classici, dei grandi narratori dell'800, ha contribuito senza dubbio a rendere « adulto » Visconti: attraverso un'esperienza culturale precisa, accompagnata e integrata dalla pratica diretta dei fatti e dei problemi della vita, egli ha preso conoscenza non solo di certi aspetti decisivi, nodali della vita stessa, ma anche di una concezione artistica del cinema quale narrativa strettamente legata, appunto, a una particolare tendenza del romanzo. Visconti ama Verga e Doscoievskij ; ma guarda a Balzac, opera cioè all'interno di quel re* lismo critico che dalle grandi convergenze dell'autore di Les paysans e di Stendhal porta agli ultimi classici della corrente — Tolstoj e Thomas Mann — attraverso scrittori borghesi ma progressisti i quali, come il Ce chov anch'esso tanto caro al Visconti, hanno un'idea chiara delle forme di transizione della coscienza. Egli fa dunque una rlta tra naturalismo e realismo, naturalismo si ferma alla descrizione del fenomeno, al pre sente; il realismo del fenomeno rivela l'essenza, indica il « don de » e il « dove » dei personaggi, la loro provenienza e la loro di rezionc. II naturalismo si appaga della riproduzione di ciò che è quotidiano-, il realismo aspira alla massima profondità e comprensione, indaga, penetrando il più possibile in profondità, quei momenti essenziali, « tipici », celati dietro la superficie. Visconti sa cosi mantenere in misura esatta l'equilibrio poetico fra l'inevitabilità della vittoria finale e le necessarie sconfitte individuali, dei singoli personaggi. Nell'àm bito di questo rapporto ed equi librio vanno considerati non sol tanto i fratelli Parondi, ma tutti i personaggi dell'opera viscontiana. 11 protagonista di La terra trema, 'Ntoni Valastro, è un vinto-vincitore; e cosi pure Maria Cecconi di Bellissima, e Ussoni di Senso e ora il Ciro di Rocco: essi urtano tutti contro gli ostacoli obiettivi e contin genti di un momento storico della vita nazionale. Anche per Visconti, sulla falsariga di un Tolstoj, le persone di maggior valore debbono provare la delusione di fronte alla vita, essendo proprio in loro il divario tra ideologia e realtà il più grande possibile: la delusione però non ha carattere assolutamente negativo ed eterno, immodificabile Ciro e Luca, il più piccolo dei Parondi, vivono nell'attesa di una grande svolta decisiva, come 'Ntoni Valastro, come Ussoni: il tentativo di Ciro è disperato ma non inutile, e là sua sconfitta, momentanea — il dissolversi del nucleo familiare, — lo porta in pari tempo ad arricchire ed elevare la propria vita e quella di Luca, degli altri. Visconti mette cioè in rilievo i valori umani, le possibilità concrete e, contemporaneamente, i lati negativi dell'individuo, le cause della rovina, la mancata fusione della necessità individuale e sociale. Poeta e critico della decadenza, i suoi personaggi prendono coscienza. E' appunto con questa prospettiva, nella giusta posizione e giusta articolazione di un problema (la « bramosia dell'ignoto » che non è più istinto ma coscienza; una sofferenza e una sconfitta non più rassegnate e definitive) che Visconti, a partire da La terra trema, approda dalla denuncia dei fenomeni alla loro essenza, dalla cronaca alla storia. In questo approdo al realismo, non meraviglia dunque che il « tempo » e la visione fatalistica di un Verga vengano superati, che Dostoievskij sia da lui riletto criticamente, che i suoi film, che pure sono psicologici, non si fermino nell'ambito della psicologia. Il rimando a L'idiota, per Rocco, è facile tanto risulta palese. Rocco, intimamente convinto della necessità della bontà cristiana, è un Myskyn che si gettaj nell'avventura dell'immigrazione interna senza esperienza della vita e sino ad accostarsi alla « santità »; Simone, che arriva quasi ad uccidere per Nadia il fratello, è Rogozin; e Nadia, che vede in Rocco l'uomo che potrebbe veramente salvarla, è Natascia. Come ne L'idiota, il film contempla l'uccisione della donna per mano di Simone, cioè di Rogozin. Ma il significato del romanzo, il problema delle responsabilità viene dialetticamente ribaltato. La pietà non è più come in Dostoievskij « la cosa che più preme, forse l'unica legge dell'esistenza umana ». La bontà di Rocco, dice chiaramente Visconti, è pericolosa, nel mondo d'oggi, quanto la malvagità di Simone; nel rapporto tra causa ed effetto, i due opposti si identificano. Ce lo dimostra il nuovo personaggio chiave, appunto Ciro, la sua intransigenza di fronte al fratello « caduto », la critica che rivolge a Rocco. Rocco, se vogliamo, non è un film sulla questione meridionale l'immigrazione interna; ma questo tentativo di integrazione di una famiglia lucana in una grande città del Nord, con i suoi esiti negativi e positivi, si inserisce, nella problematica dell'uno dell'altro fenomeno; proprio come Senso, pur non essendo un film sul Risorgimento, su di esso suscita copiosi suggerimenti è riflessioni critiche, formative. Anche se Visconti non ha la pretesa di risolvere uno dei grossi problemi della vita nazionale, nell'impostarlo tuttavia in modo giusto, ne vede e ne indica errori di valutazione e di prospettiva: le cause, o almeno alcune delle ragioni sostanziali di tante illusioni che approdano a un misero finale. Si distruggono le illusioni borghesi di Rosaria, la madre, e di Simone, e quelle mistiche di Rocco; ma dalla distruzione nasce, in Ciro e Luca la certezza di una vita nuova e migliore. « Il mio paese fa parte dell'Italia », diceva Scotellaro. « Io e il mio paese meridionale siamo l'uva puttanella, piccola e matura nel grappolo per dare il poco succo che abbiamo ». Anche Ciro riconosce la propria natura e il proprio posto in seno a un corpo più ampio, e si innalza a un punto di vista superiore. E Luca è l'acino più piccolo, che andrà nella tina di un mosto migliore. Ciro, cosi intransigente in questa acquisita coscienza dei diritti oltre che dei doveri, ha fiducia nella legge, nella giustizia degli uomini, proprio mentre Rocco dichiara di non averne; per la instaurazione di tale giustizia è portato a infrangere il tabù dell'onore familiare (dopo l'uccisione di Nadia per mano di Simone). Nella sua visione futura di un'Italia unitaria, respinge l'immagine anacronistica, rassegnata di Rocco, l'astratta nostalgia per un Sud fermo e immobile nel tempo. « Anche il nostro paese diventerà una grande città, anche là gli uomini impareranno a far valere i propri diritti e a imporre dei doveri ». Questa presa di coscienza, necessità d'infrangere pregiudizi e miti, è un tratto decisivo. Rocco e Simone, la loro sconfitta, non sono dunque comprensibili senza il peso che viene ad assumere il personaggio di Ciro (e quello di Luca). Nella stessa misura, prese nel contesto, nell'ambito del realismo critico congeniale a Vi sconti, risultano non solo giustificate ma anche necessarie le scene incriminate. Senza la prima notte d'amore di Nadia e Si mone non possiamo comprendere il « donde » di questa moderna Natascia e la sua aspirazione a un « dove », il suo disperato aggrapparsi a Rocco e la ripulsa per Simone. Senza la rissa fra i due fratelli e l'assassinio in tutta la loro violenza, è impossibile! far vedere fino a che punto e misura due « sradicati » cosi diversi e al tempo stesso così affini, negativi, vengono a cozzare con le profonde fratture di una particolare realtà che è ancora « lotta dell'uomo contro l'uomo, violenza bruta, delitto, somma di infiniti dolori e alienazioni individuali ». Il naturalismo di queste scene rientra insomma in un contesto e nel metodo artistico di Visconti, non si limita a constatare dati di fatto, e neppure ha scopi di disperazione che il film esclude, come si è visto, nelle sue risultanze complessive. Lontane dal degenerare, esse scene fanno parte di un conflitto rappresentato e narrato in tutte le sue componenti, e con tale forza che sollecita una risposta, una partecipazione del pubblico. Peso non ultimo di Rocco è proprio questo: smuovere le acque stagnanti di un cinema che, inteso come semplice passatempo, è destinato a diventare, a dirla con Duhamel, un « piacere di iloti ». Guido Aristarco miMiiiiiiiiiniimiiiiiiiiimii iiiiiiiiiniitiiin

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