L'«uomo nero» dei bimbi algerini ha la pelle chiara e parla francese di Francesco Rosso

L'«uomo nero» dei bimbi algerini ha la pelle chiara e parla francese IN TUNISIA, TRA I PARTIGIANI ED I I80.000 PROFUGHI L'«uomo nero» dei bimbi algerini ha la pelle chiara e parla francese Anche la carezza, di un « bianco », li fa scoppiare in singhiozzi atterriti: ricordano la casa bruciata e la lunga fuga - L'esistenza dei profughi è dura e precaria, pur con i soccorsi di tutto il mondo - Non vivono in campi di raccolta, ma ogni nucleo familiare si è costruito un piccolo garbi, basso cumulo di pietre con alcune fascine per tetto Ma il Fin ha organizzato le scuole che, per sei ore al giorno, riuniscono più di 20.000 ragazzi, non importa dove, per insegnargli a leggere e scrivere - Gli scolaretti hanno abiti di foggia disparata, tute cinesi, brevi tuniche russe, magliette di stile americano: guardandoli si può tracciare la carta di provenienza degli aiuti, Stati Uniti in testa (Dal nostro inviato speciale) Sakiet, 16 novembre. Accade, viaggiando lungo la frontiera, di vedere la guerra d'Algeria come in una immagine sbiadita, disagi, sofferenze, orrori sembrano coagularsi in una supina rassegnazione, come se l'interminabile massacro fosse divenuto una condizione dell'esistenza. Fermi davanti al posto di frontiera di Sakiet, ascoltavamo il cannone battere rabbioso i suoi colpi chi sa dove, contro gruppi di partigiani nascosti nella boscaglia che ricopre le montagne. Oltre la frontiera segnata da un torrentello, dilagava una spessa foresta di pini e querce da cui salivano colonne di fumo bianco. < Se volasse sopra queste zone dell'Algeria, — disse il partigiano che mi guidava, — vedrebbe migliaia di simili fumate; ovunque c'è un bosco, l'Algeria brucia. Gli aerei scendono a bassa quota, lanciano fiammate di napalm, incendiano tutto. Togliendoci la foresta col fuoco e privandoci di nascondigli naturali, pensano di sconfiggerci. Molti nostri compagni sono stati'inceneriti dalle vampate di napalm, gran parte delle nostre foreste sono ridotte a carbonaie, eppure siamo ancora in piedi ». Col fumo, il molle vento sciroccale ci portava caldi aromi di resina bruciata. Due apparecchi francesi spuntarono da dietro la montagna e, compiute alcune evoluzioni a bassa quota, si diressero più a sud, verso il Sahara immenso. < Ogni giorno lo stesso spettacolo, — disse un doganiere tunisino di Sakiet; — gli aerei che vengono a perlustrate e il cannone che spara oltre la linea Morice ». Sembrava annoiato dagli avvenimenti che da oltre sei anni si ripetono sempre uguali, con quotidiana monotonia, la dogana di Sakiet è il più inattivo locale del genere che si possa trovare, coloro che transitano attraverso la frontiera non passano certo dal doganiere a farsi controllare il bagaglio. Se lo facessero, metterebbero in mostra singolari mercanzie: pistole, mitra, bombe, mortai, oppure miserabili fagotti con dentro un po' di pane raffermo, qualche povero monile d'argento, alcuni stracci, perché dalla frontiera arrivano in Tunisia soltanto profughi scacciati dalla guerra a decine di migliaia, e partigiani che salgono verso i luoghi di combattimento, o ritornano per un periodo di riposo. Come ho accennato, tutti costoro sono esenti da dazio ed i doganieri di Sakiet si annoiano nell'inattività. Ebbero uno spettacolo allucinante, orrendo, la mattina dell'i febbraio 1958, quando alcuni aerei francesi arriva¬ rono su Sakiet ed incominciarono le consuete evoluzioni. La gente era tutta nelle strade del villaggio di frontiera a guardare gli apparecchi che splendevano nel sole, i bimbi correvano e gridavano, come per una festa. D'improvviso, dagli aerei cadde una tempesta di bombe, le case si dissolsero in polvere, la folla dei curiosi fu dilaniata, molti furono i morti ed i feriti. Gli scheletri delle case distrutte sono ancora lì, a calcinarsi sotto il sole africano, un nuovo Sakiet è stato costruito un poco più lontano e le macerie rimarranno come testimonianza di una stupida, crudele follia. Con quella azione, i rivoltosi di Algeri, sotto la guida dei generali Salan e Massu intendevano, sembra, iniziare la riconquista della Tunisia, privare i partigiani algerini di un accogliente rifugio, riaffermare il prestigio militare della Francia scosso dalla lunga, costosa, incerta guerra contro pochi ribelli male armati. Molte cose sono mutate da quell'i febbraio, Salan e Massu hanno lasciato l'Algeria, ma la guerra continua ed i partigiani del Fin valicano ogni notte la frontiera per andare a combattere sulle montagne algerine o per scendere a riposo in Tunisia. Per le vie di Le Kef, grosso borgo arroccato su un arido B i ié à, o a iè eo llfia ugsperone di montagna desolata, lontano una quarantina di chilometri dalla frontiera, ho incontrato alcuni partigiani che passeggiavano fumando e celiando come tutti i soldati in libera uscita, indossavano nuovissime tute mimetiche da paracadutisti, a macchie irregolari verdi e brune, che gli davano l'aspetto di grossi batraci. Mentre puntavo l'apparecchio fotografico, uno degli uomini mi si lanciò contro in atteggiamento ostile ed avrei vissuto una sgradevole avventura se non fosse intervenuto il partigiano che mi guidava lungo le retrovie immediate della guerriglia. «Non è consigliabile fotografarli, — disse dopo aver placato il suo iracondo compagno, — conservi le pellicole per i profughi ». Andammo a visitare altri campi, dove migliaia di fuggiaschi algerini hanno trasferito in Tunisia la loro precaria esistenza. Nella zona fra Sakiet e Le Kef ve ne sono 46 mila, altrettanti nella zona di Tabarka, e circa 180 mila in tutta la Tunisia. I profughi non sono sistemati in campi di raccolta, ogni nucleo familiare si è costruito un piccolo gurbì, bassi cumuli di pietra a forma cilindrica, con alcune fascine per tetto, vagamente somiglianti ai nuraghi sardi. Lì dentro, in spazio esiguo, dormono intere famiglie e, sovente, anche animali domestici. Un vecchio kdbilo di origine berbera, alto, magrissimo, U capo avvolto in uno straccio di turbante e la lunga barba bianca sparsa sull'ampio burnus, mi invitò a entrare nel suo gurbì. Accoccolata dinanzi a due mattoni fra cui bruciavano pochi sterpi, sua moglie cuoceva in una grande teglia la sottile, fragrante focaccia berbera. Si sollevò dall'incomoda posizione, mi porse la mano col gesto di una dama d'altri tempi, un poco teatrale, e mi invitò ad accomodarmi. Poiché il solo utensile era l'otre per l'acqua, la pelle di una capra appena scuotala, mi accosciai sui talloni, imitato dal vecchia padrone di casa che volle ad ogni costo offrirmi un bicchiere di tè. Mentre sorseggiavo la bevanda mi raccontò che la guerra gli aveva tolto ogni cosa, vasti poderi e mandre sulle montagne della Kabilia ed i tre figli, due dei quali combattevano coi partigiani, e non ne aveva più notizie da tempo, e il terzo, il più giovane, che faceva il tassista a Tunisi dopo essere stato ferito in combattimento. Intorno al gurbì s'era formata una folla di ragazzi curiosi, dai visetti chiari e ben nutriti. Alcuni apparivano socievoli, altri scoppiavano in atterriti singhiozzi se accennavo ad una carezza. *La scambiano per un francese — disse l'accompagnatore — e questo gli ricorda la casa bruciata, la lunga fuga verso la salvezza-». Tragico paradosso, l'uomo nero dei bimbi algerini ha pelle chiara, capelli lisci e parla la lingua di Molière. Mi fecero visitare anche le scuole, poveri cumuli di pietra in cui un maestro insegnava a compitare a schiere di ragazzini seduti nella polvere. Ma è già miracolo che, in mezzo alle infinite difficoltà, gli organizzatori del Fin abbiano pensato alle scuole, che per sei ore al giorno riuniscono, non importa dove, più di ventimila ragazzi per insegnargli a leggere e scrivere. Poiché notavo che i bambini avevano abiti di foggia disparata, domandai da dove fossero arrivati quei vestitini. «Da og.-.i parte del mondo, — mi rispose la guida — anche gli scolari itaZiani ne hanno mandati ». Alcuni ragazzi avevano una tuta bianca di evidente derivazione cinese, altri brevi tunichette di chiara provenienza russa, altri ancora magliette di stile americano. Guardando quei bambini, pensai che dai iiuiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiita loro abiti si poteva tracciare la carta di provenienza degli aiuti ai profughi. Giudicando dal valore, gli americani sono in testa alla graduatoria, finora hanno mandato viveri, vestiario, medicinali, materiale scolastico e denaro alla Mezzaluna rossa algerina per ventidue milioni di dollari, cosa che non impedisce ai rappresentanti del Fin di parlare con risentimento degli Stati Uniti per la loro alleanza con la Francia. Il paradosso è completato dall'atteggiamento dei francesi barricati dietro la linea Morice; convinti che gli Stati Uniti impongano a De Gaulle di abbandonare l'Algeria; ogni volta che la febbre colonialista sate ad Algeri vanno a saccheggiare l'ufficio informazioni americano. I cinesi sono arrivati secondi, ma hanno rapidamente guadagnato il tempo perduto. Oltre ad una certa quantità di armi, hanno mandato abiti, carichi di grano, medicinali e materiale scolastico. I russi sono giunti in ritardo, ma per bilanciare l'influenza cinese hanno subito largheggiato; il 24 ottobre scorso, la nave russa Fatezh ha scaricato nel porto di Tunisi 154 tonnellate di viveri, medicine, indumenti. Inoltre ha deposto sulle banchine due trattori agricoli, una trebbiatrice, una ventina di camion per le aziende agricole che il Fin ha comperato in tunisia per i reduci e mutilati della guerriglia. Dieci macchine utensili, destinate alle scuole professionali che il Fin ha aperto a Tunisi, completavano il carico. La corsa a mandare aiuti ai profughi si è trasformata in una competizione politica, soprattutto fra Russia e Cina comunista, che si contendono l'influenza sul governo algerino in esizio. Il presidente tunisino Burghiba ed il re del Marocco Maometto V, comprendendo il gioco pericoloso in cui i loro alleati algerini si sono impegnati, hanno proposto che l'Onu assuma la direzione e lo smistamento delle offerte per eliminare la speculazione politica e propagandistica su un'azione che dovrebbe avere soltanto carattere umanitario. Finora, l'Onu non ha risposto, per cui russi e cinesi potranno continuare a giocare al rialzo nella protezione dei profughi algerini. Francesco Rosso

Persone citate: Burghiba, De Gaulle, Maometto V, Massu, Mezzaluna