La decisione del generale di Ferdinando Vegas

La decisione del generale La decisione del generale I tumulti di ieri ad Algeri non si sono trasformati in una nuova insurrezione delle barricate, come quella del 24 gennaio; ma la situazione, in Algeria e in Francia, rimane egualmente precaria, tesa sul filo di un equilibrio fragilissimo che può spezzarsi da un momento all'altro. La logica infernale, che regola tutta la disgraziata vicenda algerina, ha operato ancora una volta: appena De Gaulle ha annunciato un ulteriore passo in senso liberale, le forze degli ultraa hanno ripreso a maneggiare e ad agitarsi; quindi i disordini di Algeri costituiscono una avvisaglia sintomatica, che vuole chiaramente minacciare il peggio. II ciclo degli avvenimenti cominciato il 13 maggio del '58 è dunque arrivato ormai, in questj. primi giorni del settimo anno della guerra d'Algeria, alle soglie di una svolta decisiva; è vero che lo si è detto tante altre volte e poi non è accaduto nulla di risolutivo, ma questa volta sembra che veramente uno scioglimento si avvicini. E' stato ancora De Gaulle a compiere il passo che ha rimesso in moto la situazione; il suo discorso del 4 novembre segna una netta rottura con le posizioni da lui assunte precedentemente, un passo d'una audacia tale che ben si spiega la collera da cui sono stati presi gli avversari di destra del generale. L'uomo che nel giugno del '58, appena arrivato al potere, aveva gridato a Mostaganem « Viva l'Algeria francese! », oggi ha invece completamente abbandonato quel sogno di impossibile realizzazione. Ed è andato molto oltre i termini della dichiarazione del 16 settembre dell'anno scorso, quando proclamò il principio dell'autodeterminazione, offrendo agli algerini di scegliere tra la francesizzazione, l'associazione e la secessione. Ora la prima soluzione è scomparsa ed anche la seconda è profondamente modificata: sé gli algerini dovessero scegliere l'associazione, questa lascerebbe loro la sovranità esclusiva anche in materia di politica estera e manterrebbe il «potente fraterno aiuto» della metropoli su un piano di collaborazione economica ed assistenza tecnica. Nel caso infine di una « rottura ostile », come De Gaulle chiama la secessione, egli ha assicurato che la Francia « non si accanirebbe a rimanere con la forza », ossia prospetta — per la prima volta pubblicamente — l'ipotesi dell'abbandono. Diversi e tutti di gran peso sono i motivi che hanno spinto il Presidente francese a mutare atteggiamento. Sul piano militare, nonostante l'impiego di mezzo milione di soldati, la guerra continua nel suo stillicidio inesorabile e tutto lascia prevedere che, alla meglio, continuerebbe così indefinitamente; ed intanto il terrorismo dall'una e dall'altra parte, esteso ormai anche alla metropoli, si dimostra anch'esso inestirpabile, con il suo inseparabile corollario, la lebbra della tortura. Tutto ciò corrode la fibra morale della Francia, produce da una parte la protesta degli intellettuali che non vogliono « sottomettersi » e incitano i giovani alla diserzione, dall'altra apre il. cammino al fascismo, squadristico o militaristico. Sul piano internazionale, poi, la necessità di agire non è meno urgente. Kennedy, che da tempo ha fermamente condannato la politica francese in Algeria, è divenuto presidente degli Stati Uniti; l'Onu comincerà il 5 dicembre il dibattito sull'Algeria e De Gaulle non può certo liquidare la partita solo con il disprezzo che mostra per la Trafilaimfl assise internazio¬ Rv nale. Infine, e più ' importante di tutto, la Cina e la Russia, sebbene in grado diverso, mostrano di voler appoggiare il governo di Fer- hat Abbas; anche se non vedremo i « volontari » cinesi o in gènere stranieri sulle rive del Mediterraneo (per esplicita esclusione voluta dagli stessi algerini), siamo tuttavia molto vicini alla internazionalizzazione della guerra, con l'invio di armi, materiali, forse anche istruttori. Lo spettro pauroso di una nuova guerra civile di Spagna o di una nuova Corea minaccia insomma di prendere corpo, con tutte le imprevedibili conseguenze che ne deriverebbero, non solo per la Francia. In altri termini, per non volere «l'Algeria algerina » di De Gaulle, gli ultros rischiano di far sorgere, non la loro « Algeria francese », ma una «-Algeria sovietica » : ennesima riprova, se ve ne fosse ancora bisogno, della stoltezza cui può giungere il nazionalismo esasperato. Per tutti questi motivi De Gaulle ha preso la nuova iniziativa, con un senso di responsabilità che meriterebbe veramente di venir corrisposto dalla grande massa del popolo francese e dai dirigenti degli algerini. Con un esercito incerto, con gruppi di estremisti alla ricerca del peggio, oggi la situazione del generale sembra un po' indebolita; ma non è ancora detto che l'unica forza stia nei tumulti e nei colpi di mano e non in vece nella voce della ragione. Ferdinando Vegas iiiiiiiiiiimiHiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiMiiiiiiMiiii Una drammatica fase degli scontri fra guardie mobili e dimostranti in una strada rie! cèntro ad Algeri (Tel.)

Persone citate: De Gaulle, Kennedy