La nuova rotta del Po

La nuova rotta del Po La nuova rotta del Po Chi negli scorsi giorni ha avuto occasione di vedere quanto fossero gonfi i fiumi e i torrenti che scendono dalle Alpi e dall'Appennino man stupisce che il Po, ricevendo tanta parte di quelle acque, non le abbia potute contenere: ancora una volta, al termine del suo corso, un argine ha ceduto e popolazioni già più volte provate hanno dovuto lasciare in fretta case coltivati masserizie. Ad ogni ripetersi di questi flagelli è naturale che ci si domandi come mai non si sia trovata una soluzione alla nostra precaria situazione fluviale, e magari si muovono accuse di insipienza o di incuria alle autorità. Errori certamente sono stati fatti, massimo fra tutti nel passato quello di aver favorito l'insediamento di popolazioni agricole in terre come quelle del Delta, minacciate dalle acque del fiume, dai flussi e dalle mareggiate dell'Adriatico, dal lento sprofondamento del suolo. Ma non bisogna dimenticare che . questa pianura Padana, la parte più ricca e prospera d'Italia, è una combattuta millenaria conquista degli uomini contro gli elementi: una conquista non terminata né definitiva. Circa ventimila chilometri quadrati di essa (una superficie di poco inferiore all'intero Piemonte) sono protetti da arginature contro le acque dei fiumi; e gl'ingegneri idraulici non mai hanno lasciato credere che un qualche ovvio provvedimento tecnico, come un rafforzamento o un innalzamento dei ripari, avrebbe dato una sicurezza definitiva contro ogni pericolo. Anzi, essi hanno sempre consigliato vigilanza e preventiva preparazione di soccorsi; e hanno dichiarato che le rotte e gli allagamenti, soprattutto da parte del fiume maggiore, si sarebbero ripetuti, e più gravi che nel passato; anche come conseguenza delle migliori difese. Può sembrare un assurdo, ma è facile convincersene: quando gli argini erano meno forti e meno estesi, le piene rompevano in più luoghi: una se ne ricorda del 1857 che produsse più di cinquanta falle. Oggi g!: argini tengono meglio, la massa d'acqua non trova sfoghi parziali attraverso aperture minori: il fiume giunge pienissimo all'ultima parte del suo corso; ma qui l'allagamento, se avviene, risulta più grave. L'effetto dell'argine più alto e più robusto è duplice insomma; esso rende meno probabile la rotta, ma fa sì che questa, se si produce, sia anche disastrosa. C'è da aggiungere che, in tutta la pianura padana, sono state fatte in anni vicini molte sistemazioni locali, per evitare gli allagamenti da parte degli affluenti, per guadagnare nuove terre alle coltivazioni; sono state allestite fognature, e cioè reti di canali per un numero crescente di centri abitati. Perciò la porzione della pianura che oggi scarica rapidamente le acque piovane ai tributari del fiume maggiore è cresciuta, mentre per l'innanzi quelle acque restavano a lungo nei campi o nelle brughiere. Nello stesso tempo la montagna, impoverita di boschi, riversa anche essa al piano con troppa celerità le precipitazioni. A dir vero, non sono mancate proposte di provvedimenti radicali, idonei a porre fine a questa corsa tra il fiume sempre più gonfio e l'argine sempre più alto. Utile sarebbe trovare il modo di « decapitare », cioè scolmare la piena del Po: scaricare altrove quel sovrappiù delle sue acque che costituisce un pericolo per gli argini. Un tale provvedimento è stato preso per l'Adige, che scorre fra alti ripari, pensile sulla sottostante pianura veneta. Approfittando della circostanza, che a metà circa del suo corso, questo fiume scende parallelo al Garda, fu aperto un canale (in galleria, sotto il Monte Baldo), idoneo a scaricare nel lago le acque eccedenti. Manca purtroppo per il Po la vicinanza di un provvido serbatoio naturale: e fu proposto perciò di preparare dei bacini artificiali, da adoperare poi anche per uso agricolo; fu proposto altresì di aprire un grande canale scolmatore' che, attraverso l'Emilia, congiunga direttamente il corse ' medio del Po con l'Adriati¬ co: opere ciclopiche insomma. Meno ambizioso per l'aspetto tecnico è il suggerimento di un insigne idraulico: di dare facoltà al Magistrato del Po per una migliore utilizzazione delle golene, e cioè di quelle strisce di terra di proprietà demaniale che costeggiano d'ambo i lati tra argine e controargine il corso d'acqua; abbattendo le traverse che le dividono qua e là in scomparti; di modo che quelle strisce possano servire come uno slargato letto del fiume. Questo provvedimento non basterebbe però da solo a dare sfogo alle piene maggiori e perciò dovrebbero essere lasciati a disposizione dello stesso Magistrato, per allagamenti di sicurezza, anche terreni agricoli esterni agli argini. Per la disponibilità di queste, aree da parte del Magistrato, scelte con criteri di convenienza tecnica verso la metà del corso del fiume, tra il Ticino e il Mincio, i proprietari dovrebbero avere un adeguato compenso. Ma l'allagamento di ciascuna proprietà o gruppo di esse potrebbe avvenire a in¬ BiiiiiiiiiiiEiiiiiiiiiiiiiriiiiiiiiiitiiririiiiiiiiiiiiiii tervalli di tempo assai lunghi, anche di decenni: e perciò quelle terre in generale non andrebbero sottratte che in piccola misura all'uso agricolo. Difficoltà di ordine umano e psicologico si accompagnerebbero con tale pratica; dovendosi in questo caso ordinare l'allagamento di alcune proprietà per evitare l'allagamento di altre. Ma appunto questo dei nostri fiumi, è un arduo problema e non c'è speranza fino a oggi di trovare un rimedio facile. Didimo

Persone citate: Baldo

Luoghi citati: Emilia, Italia, Piemonte