Hanno scoperto il flauto le orchestre jazz italiane

Hanno scoperto il flauto le orchestre jazz italiane Si à eonetuso il Eestivai di Saint Vincent Hanno scoperto il flauto le orchestre jazz italiane Vinsolito strumento viene usato per cavare preziosi effetti sonori - Lieto bilancio della manifestazione dilettantistica DAL NOSTRO INVIATO St. Vin ent, lunedì mattina. Le riserve che accompagnavano, nei giotni scorsi, le doglie del nascituro Festival valdostano del jazz sono tutte cadute. La manifestazione s'è conclusa non soltanto nel modo più lieto, ma ha offerto al pubblico — un curioso pubblico fatto per metà di profani assoluti e per metà di coltissimi appassionati: e gli uni e gli altri son stati trascinati dalla bontà della musica e dalla bravura dei solisti — un autentico panovaima del jazz che alligna oggi nella provincia italiana. Non era mai accaduto, finora, che una rassegna del genere riuscisse cosi completa e convincente. Si son visti uomini (o ragazzi) che praticano il jazz con puro spirito dilettante: non nel senso deteriore della parola, ma con caldo entusiasmo, con acuta intuizione, con quel desiderio di sperimentazione che non è mai plagio, brutta copia o, peggio, volgare imitazione. Nato felicemente, il Festival di Saint-Vincent deve perciò sopravvivere. E' l'augurio che fanno ora gli spettatori, i pochi che il Salone delle Feste poteva contenere, e la gente che ancora crede in un futuro del jazz. Ci son state, e non potevano non esserci in una manifestazione che lanciava i primi vagiti, sbavature e trascurabili nei. Si correggeranno col tempo. Ieri sera erano di scena sette complessi ed ha aperto il concerto Z'Hard Jazz Quintet di Bologna, che si ispira al « bop duro » di cui molto si parlò nei due anni passati, soprattutto a Sanremo quando esplose anche da noi il gergo aspro di Rolline e di Silver: i bolognesi, guidati dal sax tenore Lamberti (che cerca effetti ed impasti sonori alternandosi al flauto), mancano ancora di mordente e sono alla caccia di una originalità; il loro Night in Tunisia, pezzo d'obblico per dei «duri», rivelava buon? intenzioni e poco più. Il Quartetto Sergio Mondadori, pure di Bologna, ha offerto invece un saggio di rigore encomiabile, degno di alti voli: una tecnica eccellente, armonie elaborate ed una fusione perfetta degli strumenti (due chitarre, basso e batteria) sono il segreto dei quattro; Mondadori è un solista e trascinatore di buon gusto; sono suoi gli arrangiamenti del gradevole € Cubismo » e dell'incisivo « Moonlight in Vermont », eseguitì in uno stile che si può definire swing avanzato. Della Originai Lambro Jazz Band c'è poco da dire: è una delle più antiche formazioni italiane e no7i vi è fan che non l'abbia ripetutamente o scoltata; di nuovo ha donato soltanto un « St. Vincent blues », alla vecchia,maniera. I torinesi del Jazz at Kansas City, noti fino a ieri non oltre l'ambito della cinta daziaria della loro città, si sono fatti largo dì prepotenza: e meritatamente, grazie alla buona scelta del repertorio, alla forma splendida dei solisti (la tromba Farinelli, il trombone Mozzanti, il sax Siccardi). Gii Cuppini ed il suo Quintetto hanno suonato secondo il solito: come a Sanremo, più o meno presentandosi con lo stesso repertorio: « Walkin », un accurato uLover Man* (puntualizzato dallo stupendo assolo della tromba Fanni), un < Non ti scordar di me » da non dimenticare. Il pianista bolognese Amedeo Tommasi, che qualche volta accompagnò il celebre ed infelice Chet Baker, unito al batterista Cuppini ed al basso Buratti, ha offerto un saggio della suo abilità tecnica, scarna e scavata. Ha chiuso il programma la Riverside Syncopators Jazz Band di Genova, complesso stile New Orleans diretto dal geniale trombonista Lucio Capobianco: un chiassoso ed ilare finale che ha accontentato anche i modernisti in vena di sentimento. Fra i complessi che, nelle due sere, hanno colpito particolarmente è doveroso includere il folto gruppo torinese della Swing Band: una sorpresa per tutti, una inaspettate rivelazione; il Torino Modem Ensemble, con l'esordio di un chitarrista — Marietti — di cui si sentirà parlare; il Quintetto di Udine, stile cali/orniano, dove il sax baritono alternato al flauto gettano ondate di sonorità preziose e argute; il New Southern di Napoli, anch'esso — sfa pure travolto dall'emozione — promettente per l'impegno e la ricerco un po' astrusa ma approfondita degli effetti. E gli altri, quasi tutti, sono lisciti dalla prova di Saint Vincent con la loro parte di trionfo e con le carte in regola per poter affermare che in Italia il jazz non è allo stato di aahrione. Dal Festival valdostano l'uomo — o addirittura la formazione — da imporre ntlle rassegne più ampie, da includere nel gran gioco internazionale, uscirà senza dubbio- se già. non è uscito ieri sera. g. n. Tl batterista Gii Cuppinl si e esibito col suo quintetto