I grandi protagonisti delle Olimpiadi spettatori ieri nella cerimonia di chiusura di Gino Nebiolo

I grandi protagonisti delle Olimpiadi spettatori ieri nella cerimonia di chiusura Vivo In tutti il rimpianto per la manifestazione ormai conclusa I grandi protagonisti delle Olimpiadi spettatori ieri nella cerimonia di chiusura Elliott, Johnson, Thompson, Ono e tanti altri vincitori di titoli confusi tra la folla - In campo Berruti e Musso - L'etiope Abebe portabandiera , Da uno dei nostri inviati Roma, lunedi mattina. Per diciassette giorni sempre alla ribalta, gli atleti hanno dato l'addio alle Olimpiadi in sordÌ7ia, se ne sono andati in punta di piedi. La cerimonia di chiusura dei Giochi non li ha voluti: sul grande prato verde dello Stadio ri erano soltanto le bandiere e, in un canto, gli italiani (non tutti, una rappresentativa dei vincitori di medaglie) e la loro presenza era d'obbligo, quasi un dovere di padroni di casa. Gli altri, le centinaia di protagonisti e le migliaia di comparse, erano sulle gradinate, fra il pubblico, una volta tanto spettatori. A Melbourne, l'ultimo giorno, avevano ottenuto di sfilare, fraternamente mescolati in un lungo corteo sema distinzione di divise e di vessillo, il russo con l'americano, il cinese di Formosa con il polacco, l'olandese con l'indonesiano. A Roma si è preferito lasciarli in disparte forse non per ragioni di diplomazia, ma per far notare dì più la loro mancanza. Un tocco di regia, che ha privato la folla di un incontro, definitivo, con i mattatori olimpici. Ma l'incontro c't stato, non ufficiale e perciò più caldo. C'era, seduto accanto ad una giovane bionda, l'assicuratore Thompson, l'inglese che ha battuto il record olimpico nella marcia dei SO chilometri; la gente che gli stava attorno lo ricordava, qualche sera fa, nel momento dell'ingresso allo Stadio, trionfatore madido e barcollante che non aveva nemmeno la forza di cavarsi dal naso gli occhiali scuri, e procedeva sulla corsia verso il traguardo come un cieco nel suo buio profondo. Più in là, serafico e bonaccione il negro Broadfort che a Washington lavora da commesso iìi una libreria ed è uno dei migliori sollevatori di pesi: gli enormi bicipiti, ora, si distendevano nel gesto di chi, accaldato, sventola un programma come un ventaglio. Alcuni ragazzini, riconosciutolo nell'uomo più grosso e pesante della XVII Olimpiade, pretendevano da lui distintivi ricordo, autografi: uno gli ha chiesto persino una sigaretta. Ed il bonaccione non rifiutava nulla, fuorché la sigaretta. Il giapponese Ono, campio- ne di ginnastica, era stretto alla moglie, anch'essa reduce — ma sfortunata — dagli esercizi alle Terme di Caracalla: puntavano i binoccoli sulla marea di teste e lanciavano squittii ogni volta che riconoscevano un altro campione. Sgranocchiava lupini, rumorosamente, l'australiano Herb Elliott travolgente trionfatore della corsa di 1500 metri e la sposina — che aspetta un secondo bimbo — gli porgeva il sacchetto, con premura di madre. La gente cercava Wilma Rudolph, la cerbiatta nera, l'eroina dei Giochi, e la scambiava con altre negrette senza gloria e senza nome: Wilma, le cui imprese olimpiche aggiunte alle lacrimose e spesso inventate storie della sua infanzia hanno commosso i romani, era già partita per Atene dove si esibirà con molti atleti statunitensi in un < meeting >. I romani volevano vederla per sapere in quel modo si è conclusa la la sua vicenduola sentimentale: se, alla fine, ha preferito fidanzarsi con il saltatore Thomas o con il pugile Crook o con il velocista Bay Norton, che dicono innamorati di lei e rivali). Mancando la bella Rudolph, l'attenzione si spostava sulla incantevole Lina Latynina^ la ginnasta.che, a Mosca, fa l'ingegnere; o sull'intera squadra di hockey indiana che, compatta, formava una vistosa macchia di colore nelle tribune, con i turbanti gialli e le lunghe barbe alla nazarena; o sulle muscolose, forzute canoista sovietiche, in gruppo nella prima fila, guidate e capitanate severamente dalla piccola Antonina Seredina, lavoratrice al tornio in una fabbrica di Kiev; o sui pochi rimasti della squadra australiana di nuoto, e fra questi i due indivisibili fratelli Konrads; o sulla graziosissima tuffatrice tedesca Use Kramer, quasi una bimba, che si aggirava ai margini del prato, con le sue due medaglie d'oro al collo, fra le ovazioni fragorose dei connazionali ai quali va senza riserve un premio speciale per il « tifo » olimpico. Molti atleti avevano disertato la- solenne e festosa cerimonia per godersi finalmente Roma; ma allo stadio era venuto, e sarebbe venuto anche con la febbre, l'etiope Abebe, un personaggio rimbalzato inaspettatamente sulle prime pagine dopo la sua tenace maratona di sabato. Abebe, calzate le scarpe che non aveva mai calzato dacché si trova ai Giochi, ed indossata la divisa della « equipe > abissina, ha ottenuto il privilegio di portare la bandiera del suo Paese e, fra i vessilliferi che sono sfilati sulla pista, è quello che ha avute più fotografie. Marciava — lo avrete visto alla tv — impettito e gongolante, a disagio nelle scarpe, trascinando una gamba malconcia, fiero del trofeo che gli avevano consegnato (e che, in un impeto di polemica, avrebbe voluto ricevere non sabato sera, con poco pubblico e fra le tenebre, ma ieri nello splendore dello stadio, davanti a novantamila persone che lo applaudivano). In campo era anche Rafer Johnson, l'uomo-orchcsfra, il dechatleta americano òhe, nominato portabandiera per la cerimonia di apertura, aveva ottenuto l'incarico anche per quella di chiusura: il negro faceva ballonzolare il collare dorato e sorrideva a tutti denti. Quanti altri erano allo Stadio e si son perduti nella ressa? Ad uno ad uno avremmo voluto dire addio, ringraziarli per averci reso indimenticabile questa Olimpiade, dir loro che, sportivi e profani, seguiremo da oggi le loro avventure negli stadi, nelle piscine, nelle palestre con un gusto nuovo, quasi che a compierle fossero nostri vecchi amici- con i quali abbiamo vissuto insieme tre settimane intense e piene di entusiasmi. Son cose che abbiamo potuto dire soltanto agli atleti italiani, i pochi presenti ieri. A Livio Berruti, il quale si è sentito rinnovare l'urlo caldo ed affettuoso della folla, come quel sabato in cui strappò la medaglia di oro sul filo del traguardo: e che ieri era malinconico, gli dispiaceva lasciare Roma e quel che rappresentava per il suo giovane cuore e, sfamane, mettersi in automobile e ripartire per Torino. Le abbiamo dette anche al mansueto Franco Musso, mobilitato all'ultimo momento per la festa finale: si godeva i riverberi del trionfo ad Acqui, è rientrato in fretta al villaggio ed ancora assonnato è sceso sulla pista dell'Olimpico: e ripeteva che, per lui, giórni così belli non ne potranno mai più esistere. Berruti e.. Musso si sono uniti alla pattuglietta degli azzurri con medaglie (ai ginnasti Carminucci e Menichelli, alle quattro ragazze che hanno conquistato il < bronzo » nel fioretto a squadre — Colombetti, Cesari, Pasini, Ragno — ai campioni della pallanuoto, agli schermidori, ai pugili Benvenuti e De Piccoli). Per l'ultima volta hanno attraversato il prato e si sono posti vicino al pennone sul quale garriva la bianca bandiera delle Olimpiadi, Un marinaio, mentre tuonavano le salve dei cannoni, ha ammainato la bandiera, quattro soldati ne hanno raccolte le cocche el il corteo, lentissimo si c incamminato verso l'use ta dello stadio. Con quella sfilato, fra il suono lontano delle lande, i nostri atleti hanno preso congedo dal loro pubblico. Un congedo fiero, maestoso e triste, fra un uragano di applausi. Gino Nebiolo Superbo spettacolo di folla all'Olimpico per 11 saluto alle bandiere degli 84 Paesi che hanno partecipato al Giochi (Tel.)