Non basta qualche scena scabrosa per definire "osceno,, uno spettacolo di Giovanni Trovati

Non basta qualche scena scabrosa per definire "osceno,, uno spettacolo Un'interessante sentenza della Corte di Cassazione Non basta qualche scena scabrosa per definire "osceno,, uno spettacolo Le singole immagini di un film debbono essere valutate secondo la dignità e la validità artistica del lavoro - Può essere vietato quando offende non singoli spettatori, ma «il sentimento etico della comunità» La Procura generale di Milano aveva Invitato giorni addietro il produttore ed 11 regista del film « Rocco e i suoi fratelli » a tagliare o almeno a rettificare alcune scene che giudicava troppo crudamente realiste: il magistrato non poneva un problema di natura artistica, soltanto esprimeva la sua preoccupazione di tutela del costume. Solitamente quando si accerta un reato in tema di pubblicazioni (può essere un romanzo un quadro come uno spettacolo cinematografico) si interviene con il sequestro; questa volta a Milano la Procura si è limitata ad un Invito, ad un monito. Il risultato è che il film non sarà toccato. Di « Rocco e i suoi fratelli » dovrà ora. occuparsi la Procura di Verona in seguito alla denuncia di uno spettatore che è rimasto urtato da alcune sequenze oscene e raccapriccianti. Il nostro codice all'art. 529 precisa che « agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che secondo 11 comune sentimento offendono il pudore. ». La difficoltà sta nel delineare il « comune sentimento» e indicare che cosa si intende per «pudore ». Una recente sentenza del Tribunale di Verona — il 1S maggio 1960 — afferma che il pudore «è la normale sensibilità dei consociati » e che esso varia presso lo stesso popolo con il passare del tempo e con il modificarsi dei suoi costumi. Di modo che può essere lecito — penalmente — oggi, quel che invece era reato cinquantanni fa. I costumi attuali, riconosce la sentenza, « ammettono una pratica della espressione sensibilmente più audace». E arriva a dire che < molti spettacoli cinematografici hanno spesso come tema dominante, talora unico, l'allettamento sessuale », e questo < è non solo tollerato dalla stragrande maggioranza del popolo, ma è considerato il vero godimento ». Se scadono i costumi, si allarga il limite del pudore e di questo rapporto tiene conto il codice. ' La Cassazione in una sentenza del 20 giugno 1959 ha fissato due concetti indicando i principi che dovrebbero seguirà i giudici di merito. Innanzitutto, ha dichiarato la Suprema Corte, non basta che una persona affermi di essere rimasta offesa da uno spettacolo, perché esso sia da considerarsi penalmente illecito e debba essere vietato. La valutazione va fatta non in riferimento alle «vedute del singoli», bensì al «sentimento etico della comunità, riferito alle sfere delle manifestazioni sessuali ». In secondo luogo ha esaminato il caso di un'opera con alcune parti ardite o riprovevoli. Due scene di un film sono sufficienti per far dichiarare oscena la pellicola? Pare di no. Un romanzo, uno spettacolo va giudicato in modo unitario: «I particolari descrittivi di singole situazioni non hanno rilevanza per se stessi, quando non siano tali da imprimere un carattere erotizzante all'intera opera e non assurgano a una tale intensità di rappresentazione pornografica, da far ri tenere addirittura che rispetto ad essi l'opera stessa costituì sca un semplice pretesto». E' stato pubblicato che la Procura milanese si è limitata ad un monito e non è intervenuta subito con un. sequestro perché «Rocco e i suoi fratelli» a Venezia era stato giudicato opera d'arte da una giuria internazionale di esperti, Cosi, agendo si è attenuta al codice che, sempre all'art. 529, dopo aver detto che cosa si debba intendere per osceno e quindi non lecito, aggiunge che tuttavia «non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza salvo che, per motivi diversi da quello di studio, sia offerta... a persona minore degli anni dìciotto». Si tocca qui l'arduo dilemma se l'arte sia conciliabile con l'osceno. Molti rispondono che l'arte sublima anche gli aspetti meno puri e che di conse guenza non è mai pericolosa moralmente. La Cassazione in una sentenza del 20 gennaio 1959 si è detta convinta invece che « la realtà psicologica smentisce la pretesa inconciliabilità tra le qualifiche di artistico e di osceno». Un'opera può turbare Chiunque in deter minate occasioni: invalcuni mo menti « persino gli spiriti più eletti soggiacciono ad una spe eie di torpore, che rende praticamente'nulla la "nacltà di elevamento verso un piano di interiore sublimazione ». Poi c'è il grande numero di persone che si avvicinano ad un quadro che leggono un libro, che assi stono ad uno spettacolo con l'animo chiuso « ai godimenti di natura estetica ed aperto invece alla conturbante attrattiva di carattere sessuale ». Esiste quindi anche per l'opera d'arte la possibilità di offendere quel pudore che la legge vorrebbe invece tutelare. Ma nel contrasto tra arte e morale, il nostro codice ha preferito far sacrificio della secon da « pur di concedere all'artista genuino la massima libertà per esprimere il suo mondo interiore». La Cassazione ha spiegato che il legislatore «consolo dalla importanza suprema drodqspleCpbsmdmlcAlrltnBslcrmiibtl5lsmccpnccèpEsgd dell'arte nel mondo dello spirito» ha voluto assicurare in ogni caso una incondizionata diffusione dell'opera artistica, e quindi anche delle pellìcole che sono riconosciute tali; e si appella alla Costituzione, che all'art. 33 riconosce che «l'arte e la scienza sono libere ». Giovanni Trovati

Luoghi citati: Milano, Venezia, Verona