La Compagnia dello Stabile torinese rappresenta "Antonello capobrigante,,

La Compagnia dello Stabile torinese rappresenta "Antonello capobrigante,, I cent'anni dei teatro AiHevi di Asti La Compagnia dello Stabile torinese rappresenta "Antonello capobrigante,, (Dal nostro inviato speciale) Asti, 18 ottobre. Cento anni fa, esattamente il 6 ottobre 1860, s'inaugurava ad Asti il Teatro Alfieri. Si è pensato di celebrare la ricorrenza invitando la compagnia del Teatro Stabile di Torino, tornata or ora da una lunga e felice tournée nell'America Latina, a rappresentare alcuni lavori già dati nelle città sud-1 americane. Le recite, aperte idomenica sera con La giustizia di Dessi, sono continuate ieri sera con il Miles gloriosus plautino e L'Olimpia del Della Porta, e questa sera è andato in scena Antonello capobrigante che Ghigo De Chiara ha tratto dal dramma omonimo di Vincenzo Padula e che per l'Italia costituiva una ghiotta primizia. Basta scorrere il cartellone, che sarà completato dalla Mose/iste del Ruzzante e da L'uomo, la bestia e la virtii di Pirandello (manca il Bertoldo a corte, di Dursi, perché già presentato anche ad Asti), per comprendere come le celebrazioni per il Teatro Alfieri si congiungano idealmente a quelle più alte del centenario dell'unità d'Italia. E tale è stato appunto l'intendimento della città di Asti nell'invitare lo Stabile torinese, che proprio quest'anno, ha stretto il suo programma intorno ad un tema suggestivo e non privo di agganciamenti con la tradizione risorgimentale, o almeno con una parte, la meno nota, di essa: « Il sentimento popolare nel teatro italiano». Ed eccoci all'AntoneZio capobrigante che, piaccia o non piaccia ha pure un posto nella storia del Risorgimento e nello stesso tempo è una espressione, neppure tanto pittoresca, della tendenza delle classi umili, e oppresse occorre ag- • giungere, a idealizzare nella fl- • gura del fuorilegge il vendicatore dei torti da esse patiti nel corso dei secoli. Dal Passator Cortese, ed anche assai prima, sino, perché no, a Giuliano, la tradizione popolaresca è -piena di banditi dal cuore generoso, capaci delle peggiori crudeltà come delle più angeliche azioni. A costoro appartiene dì dì. ritto Antonello capobrigante calabrese: cosi s'intitolava originariamente il dramma che ha poi perso, per carità di patria, l'aggettivo « calabrese ». Il suo .autore, Vincenzo Padula, fu una bizzarra figura di patriota democratico dell'Italia ottocentesca. Nato e vissuto quasi sempre in Calabria, condusse un'esistenza alquanto movimentata, ora indossando ora svestendo l'abito eccle Elàstico, Insegnante'; ' ijòèta, giornalista, compose il' suo unico dramma forse più con intenti di immediata polemica e di coraggiosa denuncia delle miserie della sua gente che per farlo rappresentare. Lo pubblicò infatti a puntate, tra il 1864 e il 1865, nel Bruzio, un giornale di Cosenza scritto quasi interamente da luì. E il dramma sinora nori 'aveva mal visto le scene. Né poteva esserlo nel suo testo integrale: l'edizione di stasera è infatti un vero e proprio rifacimento, anche se Ghigo De Chiara ne ha conservato l'ossatura e, quel che più conta, non ne ha falsato lo spirito e gli intenti, Cosi, anche nel nuovo allestimento, il personaggio di Antonello si staglia fin dall'inìzio sullo sfondo della vicenda dei Fratelli Bandiera. Ad essi infatti, già prigionieri dei Borbonici dopo il fallimento del loro tentativo, Antonello si rivolge offrendo il suo braccio, Ne riceve un cortese ma fermo rifiuto: « Ringraziamo, ma la nostra causa è così pura che non possiamo affidarci al briganti ». Ma alla fine, quando Antonello e i suoi uomini, ingannati da una falsa promessa di immunità, depongono le armi e vengono imprigionati, si troveranno in carcere con un seguace dei Bandiera e con luì saliranno 11 patibolo in un presagio dell'Italia di domani in cui « un'ingiustizia non sia sostituita con un'altra»; come teme, nel suo innato scetticismo, Antonello e come sì augura che non avvenga il patriota che morirà con lui. Naturalmente il dramma non è tutto qui, poiché dall'intenzionale pittura del brigantaggio come fenomeno sociale sgorgano gli episodi che contrappongono la romantica figura di Antonello (viene spontaneo il raffronto con 1 masnadieri di Schiller), tutto chiuso in una sua melanconica grandezza, a quelle dei .suol naturali nemici: le guardie, le autorità, i ricchi soprattutto, questi ultimi rappresentati dal possidente Brunetti che 11 brigante farà rapire e consegnerà poi-alla Vendetta di uh bracciante a cui il Brunetti ha violentato la moglie e ucciso in fasce il figlioletto. La rappresentazione è stata seguita con attenta curiosità dal pubblico (l'«Alfieri» ha un loggione giovanile e vivace). Nella scena fissa ideata con il consueto estro da Mischa Scannella, il regista Gianfranco de Bosio ha mosso in bell'ordine la sua folta schiera di briganti, contadini e gendarmi, accentrando l'azione dei personaggi principali ora au questo, orti su quell'elemento scenico a seconda che l'azione si spostava da Cosenza al covo di Antonello, dalla ricca casa borghese del Brunetti alla prigione borbonica. Fedele alla sua concezione di teatro totale, egli ha preteso e ottenuto che i' suoi attori oltreché recitare, cantassero (funzionali le musiche di Sergio Llbèroyici) o talvolta addirittura declamassero con cadènze da' nenie popolari. - Ingegnóso e complesso co m'era,"lo 'spettacolo ha avuto, vuoti e sforzature: sono difètti che scompariranno con il ne cessario lavoro di lima e sul testo, che anch'esso ne abbisogna, e sulla règia; ma che non diminuiscono il merito del De Bosio e dei suol valorosi collaboratori, accomunati alla fine dai calorosi applausi del pubblico. Ricordare tutti è impossibile: ma almeno una citazione, che ha valore d'elogio, spetta a Renzo Giovampietro, modulato protagonista, a Franco Parenti, colorito brigante, a Paola.Borboni, moglie e madre dolente, a Filippo Scelzo, Giulio Oppi, Edda Albertini, Pietro Buttarellì, Gastone Bartolncci, Franca Tamantini e - a tutti gli altri che bravamente li assecondarono. a. bl.