Napoleone, oggi di A. Galante Garrone

Napoleone, oggi Napoleone, oggi Fortoferraio, settembre. « Questa casa angusta ed augusta — dove cadde e onde risorse un impero », e, nel linguaggio magniloquente della lapide commemorativa, la villa dei Mulini, appollaiata tra il forte Stella e il forte Falcone, come a scrutare le vie di accesso alla rada di Portoferraio. Qui, come tutti sanno, visse Napoleone per dicci mesi, dal maggio 1814 al febbraio i8ij; e qui si è riunito, nei giorni.scorsi, il primo « Simposio di studi napoleonici», nella grande e bella sala di Paolina. Da questa riunione di studiosi convenuti da ogni parte d'Italia è nato il « Centro nazionale di studi napoleonici e di storia dell'Elba »; e l'avv. Mario Bigotti, l'appassionato animatore di questa iniziativa, ha messo in chiaro il carattere non apologetico, ma scientifico, che questo Centro dovrà avere, se vorrà assolvere una scria funzione culturale. A che punto siamo oggi in Italia, per quel che riguarda la storiografia su Napoleone e la sua età? La risposta ci è data da due libri recenti: la ristampa di un saggio, uscito nel 1944, di Luigi Salvatorelli, Leggenda e realtà di Napoleotie (ed. Einaudi), c la traduzione del Napoleone di Georges Lefebvre (ed. Laterza, con introduzione di Armando Saitta). Potremmo sintetizzare la loro comune ispirazione nell'aperto ripudio della tradizione conservatrice e bonapartista, implicita, con qualche nostalgia autoritaria di grandeur e di gioire, nelle opere di un Masson, di un Bainville, di un Madelin. Lefebvre, nel suo monumentale studio, riconosce l'incomparabile genio di Napoleone, ne analizza i riflessi nella condotta della guerra, nella politica, nella grandiosa trasformazione amministrativa; ma ne scorge anche i limiti e scoverà, nell'opera sua, tutto quello che vi era di caduco, di estraneo alle tradizioni francesi (rispetto alle quali egli fu, sempre, un «espatriato »), da quanto, invece, gli sopravvisse, perché legato all'eredità settecen fesca e alla Rivoluzione e al bisogno che la borghesia senti — fin che durava la guerra all'esterno, e l'incertezza del nuovo regime all'interno — di appoggiarsi a una dittatura militare. Egli co glie assai bene, oltre a ciò, quel che di leggendario, di mitico, fio ri intorno al grand'uomo; e ne pone in luce il « temperamento» romantico, l'insaziata brama di gloria, tutto ciò che andava al di là della ragion di stato, di un avveduto realismo, e lo travolse a una guerra perpetua e alla fa tale, catastrofe. Il breve saggio di Salvatorelli è tagliente e severo; dissolve il mito leggendario; ma non è un pamphlet antinapoleonico. Non può neppur dirsi, secondo me, un semplice ritorno all'interpretazione democratica di Michelet e Quinet. Possiamo dire piutto sto che l'opera nacque, come Pensiero e ' azione del Risorgimento che di poco la precede, da una forte passione politica, da una tensione combattiva. In quegli anni critici, fra il 1941 e il 1944, apparve agli occhi di tutti un Salvatorelli nuovo: energica mente polemico, scoperto, impegnato, che scuoteva gli animi, 1 chiamava all'azione. Ma erano pur sempre giudizi storiografici i suoi: discutibile, forse, qualcuno, acutissimi molti, e tutti espressi con un vigore sintetico di rara nettezza. Oggi ancora, se vogliamo seriamente occuparci di Napoleone in sede storiografica, dobbiamo fare i conti con queste pagine. Anche per i dieci mesi del pc riodo cibano, su cui il recente convegno si propone di indiriz stsntcnsdlgccsttrbprggzare gli studi, dobbiamo reagire I come Salvatorelli c Lefebvre ci hanno insegnato, alle trasfigurazioni leggendarie della realtà. Non è affatto vero quel che recita la lapide ai Mulini, che <i qui ci solenne predisse l'unità d'Italia ». Napoleone non ci credeva; non ia volle mai, checche dicesse a Sant'Elcna; e quanto all'autonoma passione unitaria degli italiani, il suo schietto pensiero traspare da questa sua frase : « I popoli d'Italia mi conoscono abbastanza per poter mai dimenticare che ne sa più il mio dito mignolo che tutte le lord teste riunite insieme ». E se anche fu mirabile l'opera di trasformazione amministrativa ed economica promossa da Napoleone all'Elba, e meritevole di approfonditi studi, non dobbiamo dimenticare ■ che a ciò egli, come despota illuminato, non s'indusse per motivi umanitari, per promuovere una redenzione politica e sociale degli elbani, un incremento effettivo di civiltà, bensì per motivi contingenti utilitaristici; perché aveva bisogno di mezzi finanziari, di reclute, di tranquillità. i\Ia anche ridotto l'uomo alle sue proporzioni reali, e dissolta ogni trasfigurazione mitica, ogni idoleggiamcnto fanatico, resta la grandezza dell'opera-, resta il grande moto che allora si compi, e non si sarebbe compiuto senza l'impeto sconvolgente e sovvertitore delle armate napoleoniche. Si pensi, per fare un solo insigne esempio, a ciò che fu l'introduzione del Codice Napoleone in Europa. Ha ragione Lefcbv#t di dire che esso apparve co- me il simbolo della Rivoluzione, e fornì le regole essenziali della società moderna. « Se tale aspetto oggi è divenuto frusto, si falserebbe la storia dell'età napoleonica se non gli si restituisse tutta la sua freschezza ». Una delle cose più sagge dette al convégno per bocca di Vittorio Frosini — fu appunto la necessità di studiare a fondo la penetrazióne del Codice Napoleone in Italia. E cosi non può essere cancellata, agli occhi dello storico che voglia intendere quell'età, la suggestione magnetica del mito. Anch'esso appartiene alla realtà: e o sentirono, con patetico slancio, i grognards di Napoleone, l'umile gente del suo tempo. Possiamo intenderlo anche noi. L'altra sera, partiti dall'isola gli altri congressisti, sono salito ancora una volta a contemplare la bassa facciata della villa dei Mulini. Illuminata a giorno da un potente riflettore, col suo color rosa chiazzato dal tempo, si stagliava contro il cielo stellato, nel'alto silenzio della notte. Le verdi persiane, tutte chiuse, sembravano sigillare, per sempre, un segreto. Quali pensieri tumultua¬ rono, nella solitudine di quei dicci mesi vissuti lassù, fra rimpianti e sogni smisurati? Veniva fatto di ricordare le parole che un giorno gli sfuggirono: « La morte è nulla, ma vivere vinto e senza gloria è un morire tutti i giorni». Parole di un eroe romantico, che aveva letto Plutarco. (E sappiamo che Plutarco era tra i pochi libri che Napoleone si era portato da Fontaincblcau all'Elba). La commozione che nasce da questo affascinante mistero, quella stessa che accese la fantasia di Manzoni, resiste al tempo, e a ogni revisione critica degli storici d'oggi; può anzi farsi suscitatrice, com'è apparso in questi giorni al « Simposio-», di nuovi studi. Sarà una ripresa salutare; purché resti sempre presente (e l'augurio non ci sembra fuori posto, di fronte al riaffiorare nel mondo di un autoritarismo di stampo bonapartista) il monito che, con parole quasi identiche, si leva dalle pagine di Lefebvre e di Salvatorelli: è sempre un male rimettere le sorti del proprio paese nelle mani di un uomo. A. Galante Garrone

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