Un migliaio di italiani presi dall'avventura cercano oro e diamanti nel selvaggio Venezuela

Un migliaio di italiani presi dall'avventura cercano oro e diamanti nel selvaggio Venezuela PIONIERI, TECNICI, UOMINI D'AFFARI TRA I DUECENTOMILA EMIGRATI Un migliaio di italiani presi dall'avventura cercano oro e diamanti nel selvaggio Venezuela Vivono sulle desolate sponde dei fiumi o nelle foreste fra i giaguari, i serpenti velenosi, gli «indios» ostili - Sperano, ma non troppo, nella scoperta miracolosa che li faccia ricchi; più che dall'avidità di guadagno, sono spinti dal fascino degli spazi sconfinati e dell'assoluta libertà - Altri italiani hanno costruito in quelle terre selvagge stabilimenti moderni: come la grande acciaieria (incompleta per intralci burocratici) che si specchia nell'Orinoco - Anche se sono finiti i tempi delle rapide fortune, la maggior parte dei nostri connazionali ha posizioni soddisfacenti (Dal nostro inviato speciale) Ciuciaci Bolivar, settembre. <Di diamanti ne ho trovati, ma non ancora quello' grosso come un uovo che mi mandi a casa ricco e soddisfatto »-. Alzandosi dalla sedia, l'uomo tese le braccia quant'erano lunghe per stiracchiarsi, allargò la bocca in un vasto sbadiglio e accostandosi al parapetto della terrazza sputò con iroso dispetto nell'Orinoco che scorreva sotto di noi vasto come un mare. Quasi pentito del gesto irriverente, voltò le spalle al fiume e continuò a parlare, ma sottovoce, come in soliloquio. < Siamo una razza di dannati — disse — innamorati della nostra dannazione. Anche se trovassi un diamante cosi (protese la mano curvata come una grande coppa) penso che non saprei riprendere la vostra esistenza. Vero Italo f >. -.. Il signor Italo Camozzi, proprietario dell'alberguccio che ci ospitava in riva alVOrinoco, accennò di sì col capo e continuò a fissare il fiume da cui, dopo la giornata rovente, saliva un'illusione di frescura. Grosse nuvole s'erano addensate nel cielo e neri avvoltoi dalla testa scarlatta, grossi come tacchini, volteggiavano sinistri in cerca di putridi banchetti. « Pioverà, ancora — dissjs il cerqatore di diamanti guardando le nuvole arruffate — dovrò rimandare ■la partenza ». Tornò fra noi il silenzio, il traghetto che trasportava le automobili in arrivo sulla strada di Caracas diede flato alla lugubre sirena. « Nessuno di noi — disse il signor Camozzi — è venuto in Venezuela con la intenzione di stabilirsi definitivamente, ma per fare rapidamente fortuna e tornarcene a casa. Sono trascorsi quindici anni e quasi tutti siamo ancora qui, perché il Venezuela ci è entrato nel sangue ». Di italiani ne avevo incontrati già molti, soprattutto a Caracas, ma erano di una specie diversa da quelli conosciuti nella sterminata savana del sud. Dopo aver superato i duecentomila, gli italiani residenti in Venezuela sono oggi circa 180 mila, dei quali centomila sono stabiliti a Caracas. Tutti sono afflitti dal «mal d'Italia> divorante come la consunzione; ma se gli offrissero di tornare a casa rifiuterebbero quasi tutti, anche per motivi che qui non è il caso di esaminare. Molti si son fatta una solida posizione economica? altri soltanto modèsta, altri ancora vivono pila ventura; ma benché le '■condizioni non ■ siano più quelle di alcuni anni addietro, quando bastava un'idea, ed un pochino di audacia, per arricchire rapidamente, la grande massa dei nostri emigranti ha ormai trovato il proprio ancoraggio nella patria d'adozione. Oli italiani di Caracas, con mentalità affaristica e speculativa, hanno dato vita a industrie prandi, medie e piccole, alimentato un prezioso artigianato, avviato solidi commerci e rappresentano un valido peso economico nell'attività produttiva venezuelana. Gli altri, quelli che vivono nell'interno, in zone ancora semiSelvagge, hanno una mentalità pionieristica. Si dedicano a lavori anche modesti, ma sempre con la speranza della ventata di fortuna che li arricchisca d'improvviso. Di questi uomini avventurosi, che fanno il meccanico, il muratore o l'elettricista attendendo di scoprire una miniera e ripongono ogni speranza in queste terre vergini, ne ho incontrati molti durante il giro fatto nella savana. Continuano a sperare di inciampare nella pepita d'oro, q nel diamante grosso come un macigno, ma senza questo miraggio difficilmente potrebbero radicarsi in zone impervie, dove i soli esseri umani sono gli indios ancora ignudi, giaguari e serpenti velenosi sono sempre in agguato, e dove il solo svago è trascorrere un paio d'ore il sabato sera negli ospitali ranchos, tra birra whisky e donnine, che intraprendenti signore hanno aperto alla periferia di Ciudad Bolivar. Aspettando di inciampare nella fortuna, continuano nelle occupazioni quotidiane creando centri di vita sopportabile in zone disabitate fino a quindici anni addietro. La sterminata savana ch'è divenuta la patria di tanti italiani è uno scrigno orrendo e pingue, destinato a trasformarsi in un immenso cantiere, se il Venezuela supererà la grave crisi econo- mica che attraversa, e, se ciò avverrà, molto merito toccherà a questi avventurosi artigiani di casa nostra. Percorrendo quelle strade, parlando con la gente, comprendevo perché gli italiani, pur nostalgici della patria, non potrebbero tornare indietro. Chi si è tuffato in questi spazi sconfinati si è abituato a vivere in assoluta libertà, di spirito e di iniziativa, non può riprendere il ritmo di un'esistenza mortificata dalle convenienze e dalle convenzioni sociali. Comprendevo anche il cercatore di diamanti, innamorato della sua ■ dannazione. Chi non ha veduto i fiumi del basso Venezuela, il loro possente fluire tra argini selvaggi, non può comprendere lo spirito di questi uomini che da anni. risalgono le vorticose correnti per c v care pepite d'oro e diamanti alluvionali su greti mai calpestati da altri uomini. Nella savana che circonda Ciudad£Bolivar la vita è, ormai mutata,•'anthè'se 'giaguari e serpenti minacciano ancora dal folto dei cespugli o fra l'erba inaridita dal calore tropicale. Con un giovane, spavaldo amico ho percorso alcune migliaia di chilometri 'nella savana, in un'automobile con aria condizionata, frigorifero, bar, radio e giradischi, coi cristalli che salivano e scendevano premendo un bottone ed il servp-.iri$o>«n9ftfiam&iare le gomme', e mi pareva di essere uno sceicco arabo, di quelli intrisi di petrolio, in visita nelle concessioni desertiche. « Siamo poco lontani dal Tigre, immensa zona petrolifera — disse il mio amico —, e la suggestione è giustificabile*. Ai limiti della savana, colline rugginose splendevano metalliche nel sole. « Sono di ferro quasi allo stato puro. Dovresti vedere quando si scatenano i temporali, tutte le folgori vanno a scaricarsi su quelle cime con una fantasia di trame luminose che i fabbricanti di fuochi artificiali invidierebbero ». Andammo a Matanza, ch'è un luogo deserto in mezzo al quale sorge lo stabilimento siderurgico delÙOrinoco, costruito da una ditta milanese. Vedere un grattacielo nel deserto fa impressione, è l'assurdo tradotto in pietra; ma ancor più impressione fa vedere le strutture del gigantesco, moderno, razionalissimo stabilimento riflettersi sempre incomplete 'nella corrente fangosa del gran fiume per i ripicchi nazionalistici del governo venezuelano. Il grattacielo degli uffici, i capannoni degli altiforni, il tubificio sono quasi finiti, ma chi sa quando saranno completati. Lasciammo il complesso, deserto e spettrale nel gran vuoto della savana, ed andammo a Puerto Ordaz, luogo dove una società americana ha costruito sull'Orinoco, un porto fluviale cui possono attraccare navi da quarantamila tonnellate ed avviata la costruzione dì una città che, entro due anni, dovreb¬ be ospitare cinquantamila abitanti. Ora sono molto meno, e quelli che già vi abitano sono quasi tutti italiani, anch'essi posseduti dalla febbre di far fortuna rapidamente. Poco distante da Puerto Ordaz, il fiume Coroni getta le sue acque azzurre, limpidissime, nel gonfio e lutulento Orinoco. Il Coroni è chiamato anche <flur.:e dei diamanti» perché attraversa zone alluvionali ricche di pepite d'oro e di gemme, e ne trascina a valle nella sua corsa perenne. Durante i giorni festivi, la gente del luogo passeggia sui greti del Coroni a indovinare fra sabbia e sassi il brillìo d'una gemma. Non ne trovano molte, e quelle poche sono piccolissime, di scarso valore ' commerciale, ma tutti sperano di trovare quello grosso come un uovo, da vendere per milioni. Consumano l'esistenza in questa febbre di ricerca che, a guardar bene, non è di ricchezza, ma di avventura, '■■ i Siamo innamorati della nostra dannazione » diceva il cercatore di diamanti professionista sulla terrazza dell'alberguccio in riva dir l'Orinbco, e mi aveva raccontato le sue esperienze. In Venezuela ci sono circa duemila uomini che vivono co¬ me selvaggi nelle foreste vergini, fra {'insidia dei serpenti, dei giaguari, degli indios ancora feroci, per cercare nei greti dei fiumi inviolati, fra sabbia e pietre, le luminose gemme, e oltre mille dì questi avventurosi sono italiani. Fra i cercatori professionisti c'è anche un aristocratico, già proprietario di barche-recupero, che vendette tutte- le attrezzature, persino i palombari coi loro scafandri, per farsi cercatore di diamanti. Anche il signor Italo Camozzi, proprietario dell'albergo in riva all'Orinoco, esordi come cercatore di brillanti. Un giorno, sul greto del Paragua, quasi ai con- ' fini con il Brasile, trovò una sabbia nera, finissima. La fece analizzare e trovò che conteneva il 50 per cento di ossido di titanio, metallo che resiste ad elevatissime temperature, prezioso per i suoi impieghi nella produzione missilistica e nucleare. Ha ottenuto il diritto di sfruttare il suo giacimento, ma il governo venezuelano non si interessa alla scoperta, la miniera è lontana, in zone quasi inaccessibili, e non può essere sfruttata. La concessione sta per scadere, e il signor Camozzi non ha denaro sufficiente per agire da solo. Così, continua a gestire l'albergo in riva all'Orinoco che, nei periodi di stanca, gli ricorda il Po nei dintorni della sua Cremona. «Non credo che pioverà» disse il signor Camozzi interrompendo le sue confidenze e guardando in alto. Il cielo aveva intonato il gloria; incendiate dal sole, le nuvole rovesciavano sul fiume maestoso cateratte di luce vermiglia. La sirena del traghetto risuonò dal mezzo della corrente; irreale, come una barca infernale, fendeva il fiume infuocato. « Vado a fare due passi» disse il cercatore di diamanti. Lo vidi camminare come in sogno sulla sponda del fiume ormai deserto. Chi sa, forse sognava pingui bottini di diamanti sepolti nell'acqua melmosa. Francesco Rosse

Persone citate: Bolivar, Camozzi, Italo Camozzi, Puerto Ordaz