L'etiope Abebe, correndo a piedi nudi vince la gara olimpica della maratona

L'etiope Abebe, correndo a piedi nudi vince la gara olimpica della maratona si chiudono i Giochi di Roma L'etiope Abebe, correndo a piedi nudi vince la gara olimpica della maratona Due ore e un quarto per compiere il percorso di 42 chilometri - Secondo il marocchino Rhadi - Storico itinerario lungo i monumenti della capitale - L'arrivo all'Arco di Costantino al lume delle fiaccete interi sul natio altopiano, sen (Nostro servizio particolare) Roma, 10 settembre. Stasera l'atletica ha concluso il suo ciclo nella Olimpiade romana con una gran festa di popolo e lo scenario mutava di continuo mentre i maratoneti bagnavano di sudore l'asfalto delle nuovissime strade o i selci delle antiche vie consolari. Questa sera sulle strade romane, in mezzo ad una folla cordiale e comprensiva, lottavano i proletari dello sport, gli stahanovisti della corsa. Ha vinto uno sconosciuto. Un etiope magro dallo sguardo spaurito e che correva con i piedi nudi. Di Abebe ignoriamo quasi tutto. Sappiamo solo che si allenava correndo per giorni za curarsi troppo di norme dietetiche o di tabelle orarie. Abebe aveva solo letto da qualche parte che la prima maratona, quella corsa ad Atene nell'Olimpiade del 1896, era stata vinta da un pastore greco, un tale Spiridione Luis, il quale aveva mangiato solo qualche frutto nei giorni precedenti la corsa e aveva tra scorso la notte prima dicendo preghiere. In quel modo il pastore Spiridione si era presentato leggero come un fuscello alla partenza e caricato spiritualmente. Dicono che lo stesso sistema abbia usato l'Abebe, che stasera ha vinto l'ultima medaglia d'oro dell'atletica in questa Olimpiade e che per la prima volta ha dato un alloro olimpico alla sua patria. Alla partenza, avvenuta alle 17,33 dal Campidoglio, e il ciclo era di un bell'azzurro, e i colori delle magliette dei concorrenti sembravano dar nuovo brio alle strutture michelangiolesche, gli intenditori avevano solo occhi per il sovietico Scrgei Popov, che a Stoccolma due attui fa sbalordì tutti quanti percorrendo 42 chilometri in un tempo che fu definito < pauroso ì: due ore 15'17". Appariva in eccellenti condizioni, c poco prima aveva detto: <I mici allenatori mi hanno messo bene, a punto. Mai mi sono sentito così». Poi c'erano il francese Mimoun e lo jugoslavo Mihalic, che vinsero rispettivamente la medaglia d'oro c d'argento a Melbourne; ma sia l'uno che l'altro l'anno prossimo avranno quarant'anni. C'erano anche l'australiano Power, l'argentino Suarez, e poi rhodesiani, marocchini, coreani e tre italiani, di cui si sapeva l'impegno con il quale si erano preparati e il cuore che avrebbero messo marciando in mezzo ai loro connazionali. Non esisteva invece Abebe Bilcila, o per lo meno nessuno si era accorto della sua presenza. Aveva il numero 11 sulla maglietta e se ne stava confuso in una massa di 68 concorrenti bianchi, neri, gialli. Una delle preoccupazioni degli organizzatori dell'Olimpiade di Roma è stata quella di dimostrare guanto bella, varia e suggestiva sia questa città e avevano di conseguenza incluso nei quarantadue chilometri della Maratona i percorsi e gli scenari che maggiormente destano l'ammirazione dei turisti. Gli organizzatori aveva7io fatto anche di più: avevano ottenuto che per la prima volta una maratona fosse corsa dopo il tramonto, e ritengo che l'abbiano fatto per presentare quei tali percorsi e quei tali scenari in edizione inedita: illuminati da migliaia di riflettori e da migliaia di rosse fiaccole. Il successo è stato grande. Il sole appiattisce tutto, i riflettori, invece, permettono di porre in rilievo alcuni elementi, sfumarne altri, altri in¬ luplusti tiddglaleraluròspastloapACaunpqcspdililRtMatl'mEmrddafine lasciarli nell'ombra. E i| monumenti pia vetusti finivano così con l'apparire nuovi, mai visti. Aggiungete i rossi e mobili bagliori delle fiaccole sotto la cupola dei pitti, lungo i filari dei cipressi. E tutto ciò quasi ininterrottamente per chilometri e chilometri. E infine metteteci il Colosseo, illuminato all'interno di luci rossigne, come se vi fossa; scoppiato un incendio. Insomma, un grande spettacolo, m in certi luoghi di fronte a certe improvvise armonie di pietre e di luci, di gente ammutolita dallo stupore, si avevano a momenti i brividi, come se da un attimo all'altro dovesse accadere chissà quale prodigio. Ma torniamo alla prodezza di Abebe. Alla partenza e lungo la via dei Fori Imperiali, la ria dei Trionfi e il viale delle Terme di Caracalla, i maratoneti formavano come un lungo serpente variopinto. Però gli atleti ritenuti più forti, specialmente quelli che sono abituati a gareggiare nelle piste sulla distanza di dieci chilometri, cercavano' già di dare alla corsa un ritmo sostenuto per setacciare i meno veloci. Al quinte chilometro, sulla Cristoforo Colombo, giù, era avvenuta una prima selezione: una decina di corridori avevano distaccato il grosso della pattuglia. Nei successivi cinque chilometri era il britannico Keili, anche lui uno sconosciuto, a. spingere ancora di più il ritmo: gli si accodavano due atleti molto noti, e cioè il belga Van àen Driesschev e il longiliveo marocchino Ben Rhadi ti, alto un metro e ottanta e pesa GS chilogrammi). Ma le posizioni continuavano a mutare. Ad un certo momento il britannico Keili si vide accanto l'etiope e gli domandò il nome. L'altro rispose: « Abebe ». E l'inglese: « E' questo il nome d'una città, non d'un corridore ». Si andò avanti c^sl per una decina di chilometri. Gli tnten difori intanto continuavano ad avere occhi solo per i Popov i Suarez, i Mimoun. Pensava no che il distacco di mezzo minuto fosse insufficiente e che presto i primi avrebbero esaurito il loro fuoco di paglia. E invece un po' prima del 20" chilometro il marocchino Rhadi, che i tecnici giudi- | , e e o ò r i cavano generoso ma scervel¬ lato, cominciò ad allungare la falcata: ha le gambe lunghe, l'aria era frizzante nella prima sera, Rhadi aveva l'impressio ne di poter correre con quel suo lesto passo per molto tem po. L'inglese Keili cominciò a restare indietro. Poi anche il belga Vati den Driesschen Abebe invece con i suoi piedi nudi sembrata l'ombra di Rhadi. I due negri si sentivano bene e felici. Ma nel pnzdtPrrqpmdddgCgdn d o e o a - ¬ a e, a o el m a il n di i l frattempo fra gli attardati partivano alla riscossa i grossi calibri come Popov, in testa, il neozelandese Mayer, l'occhialuto danese Togersen, lo jugoslavo Mihalic. Nei chilometri successivi sembrava che i favoriti della vigilia andassero guadagnando terreno, sia pure lentamente. A poco più di metà del percorso, dietro l'etiope e il marocchino si trovavano Popov e il neozelandese Mager a l'B4" e, disseminati a pochi secondi, seguivano gli altri maratoneti più famosi. Poi sulla via Ardeatina, che è piena di saliscendi, avveniva la sorpresa più grossa: proprio quando si pensava che i due fuggitivi sarebbero stati raggiunti, là andò aumentando grada,- ' nente il loro vantaggio. Al 30° chilometro Abebe e Rhadi avevano distaccato di 2'2S" Popov e Mager; gli altri avevano ritardi di oltre 3 minuti. Mancavano ora 12 chilometri all'Arco di Costantino. La gente che vedeva filare i due negri di bell'accordo e di buona lena, con fresca sicurezza, e poi dietro ad arrancare atleii come Popov, non riusciva a darsene ragione. Sui selci irregolari della via Appia Antica. Abebe sembrava trovarsi particolarmente a suo agio; saltava allegramente da un selce all'altro e il suo stesso compagno di fuga stentava a tenergli dietro. Quanto a Popov, perdeva sempre più terreno. S'era fatto perfino distanziare dal neozelandese e il suo distacco da Abebe era diventato di oltre quattro minuti. Poi Popov si sentiva affiancare da un altro sovietico, Vorobiev, e i due si scambiavano qualche parola. Il grande Popov scuoteva il capo, ansimava. La. più bella strada del mondo era tutta fiancheggiata da due siepi di folla e rischiarata da due file di ragazzi che reggevano fiaccole. Alla tomba di Cecilia Metello, e ormai il traguardo già si avvertiva vicino daZJ'in/ìttirsi della folla, i due negri passavano da trionfatori. Anche il neozelandese correva forte e anzi aveva ridotto lo svantaggio a l'26"; ma appariva allo stremo delle forze e si capiva che lì, in quella salita, stava esaurendo le ultime sue risorse fisiche e nervose. Ed infine tra la Passeggiata Archeologica e l'obelisco fi Axum l'etiope Abebe trovava nuove energie per lasciarsi dietro anche il suo compagno di fuga. Correva con i grandi occhi bianchi nella notte piena di luce e di bagliori incontro all'Arco di Costantino. Tagliava il traguardo in ore 2, 15'16"2, alla media di 18,7', km. orari. Solo 25 secondi dopo arrivava il marocchino Rhadi. I due negri cadevano l'uno tra te braccia dell'altro, estenuati, baldanzosi, felici. Avevano percorso -12 chilometri ad una velocità quale mai era stata, raggiunta da nessun maratoneta. Nicola Adelft

Luoghi citati: Atene, Melbourne, Roma, Stoccolma