Soltanto la Chiesa cattolica è rimasta indenne nella grande tempesta del Congo di Giovanni Giovannini

Soltanto la Chiesa cattolica è rimasta indenne nella grande tempesta del Congo BILANCIO POSITIVO PER UN'UNICA ORGANIZZAZIONE "BIANCA,, Soltanto la Chiesa cattolica è rimasta indenne nella grande tempesta del Congo La furia delle stragi e dei saccheggi si è arrestata davanti ai luoghi di culto, alle missioni, ai sacerdoti - Nessuna vittima tra i seimila religiosi, rimasti tutti ai loro posti; solo dieci suore hanno subito violenze (insieme a trecento donne europee) - Il Vaticano aveva preparato da anni il clero indigeno all'indipendenza, consacrando sei vescovi neri, sostituendo la vecchia struttura missionaria - Altri pericoli minacciano ora le istituzioni cattoliche: l'intransigente « laicismo » di Lumumba, elemento della sua campagna anti-occidentale - Già la polizia incomincia a scoprire « complotti » in chiese e conventi (Dal nostro inviato speciale) Léopoldville, settembre. Dalla tempesta che in queste prime settimane di vita di un Congo libero e indipendente ha travolto tutte le vecchie strutture senza che le nuove siano ancora riusci¬ te ad affermarsi solidameniuiiiiiiitiiMiiiiiiiiiiMiiiiiiifiiriiiiiiifiiiniiiiii te, solo una organiszazione sembra uscita indenne: quella della Chiesa cattolica. Contrariamente a quanto si poteva temere ed talle voci sparsesi al primo annuncio dei disordini, gli ultimi rapporti giunti solo in questi giorni dalle missioni più sperdute a migliaia di chilometri nella foresta e nella boscaglia consentono di tracciare un bilancio definitivo tanto sorprendente quanto consolante. A parte le dolorose violenze subite da poche suore, nessuno fra i seimila preti, frati, religiosi e religiose in tutto il Congo ha perso la vita o riportato ferite; nessuna chiesa o missione o stabilimento è stato incendiato o saccheggiato o ha comunque subito danno; la ferocia degli ammutinati si è arrestata ovunque davanti ai sacerdoti ed alle loro caseNessun religioso, si noti, si è sottratto al rischio con la fuga. Al primo allarme, il delegato apostolico in Congo mons. Mojàiski Perelli (che è un italiano, nipote di un diplomatico russo) aveva diramato al clero queste istruzioni: < Cerchiamo tutti di rimanere ai nostri posti. Solo in caso di fondati timori per la vita e l'onore delle nostre religiose, si ripieghi in località più sicure ma comunque non lontane in maniera da poter riprendere appena possibile l'apostolato «. Coll'unica eccezione della diocesi di Ilongo, dove il vescovo belga Van Cauwaert faceva immediatamente partire per Bruxelles le sue suore giustifi candosi con l'argomentazione che si trattava di insegnanti le cui scuole erano chiuse per le vacanze estive, tutte le altre religiose rimanevano al loro posto spostandosi al massimo nell'ambito delle rispettive province. E solo nove nell'Equatore ed una nel Basso Congo — queste, le cifre esatte — dovevano subire la stessa, dolorosa sorte toccata iti quei giorni a trecento donne bianche ad opera della soldataglia nera. Anche fra i quara.ntu.no vescovi del Congo, solo il presule di Buta nell'estremo nord della provincia orientale dovette essere rimpatriato per una crisi cardiaca: quello di Kasnnga nel Kivu ed il prefetto apostolico di Kenghe nel Basso Congo furono costretti, uno dai paracadutisti belgi e l'altro dai marocchini dell'Orni, ad abbandonare per motivi di prudenza le loro sedi ma subito vollero tornarvi: tutti gli altri non lasciarono mai il loro posto, nemmeno il venerando e malato mons. Van den Bosh che nella sua diocesi di Matadi vide svolgersi gli episodi più cruenti dell'intero ammutinamento (ma anche in onesta città il generale saccheggio si fermò davanti alle chiese} Nei rapporti di tutti i vescovi al delegato apostolico, c'è un elemento comune e significativo: l'ammirazione per il comportamento dei sacerdoti indigeni che, senza eccezione alcuna, anche se simpatizzanti con certi movimenti congolesi, non solo sono rimasti al loro posto ma hanno sempre difeso i loro confratelli bianchi a rischio spesso della vita. <. Se il nostro lavoro di settanta anni — commenta mons, Mojaiski Perelli — non avesse portato ad altro, potrebbe bastare questo risultato a consolarci ». La Chiesa ha raccolto il frutto ed il premio di una laboriosa ed intelligente opera che fin dall'anno' scorso l'aveva portata a concedere al Congo la sua < indipendenza ». sostituendo alla vecchia struttura missionaria, delle prefetture e dei vicariati la normale gerarchia episcopale. Per questa <indipendenza* — ci si perdoni l'analogia solo grossolanamente valida — la Chiesa aveva da tempo preparato gli uomini e i quadri. Da otto anni ormai è vescovo di Ngundo mons. Biginimicami di razza tutsi; da quattro. è vescovo titolare di Sebela mons. Kimbondo di razza bakongo; da due, sono vescovi di Lucbo, di Usnmbiira e di Attanaso, i monsignori Nlcongolo, Ntuyhaga e Malula, rispettivamente di razza bRlubn. tutsi e mungala; cinque mesi addietro, alla vigilia uell'indi pendenza, Giovanili XXIII ha consacrato in San Pietro il sesto vescovo africano del Congo e del Ruanda Urundi, mons. Busimba titolare della diocesi di Gema ne'. Kivu. Mentre la nuova Re- pubblica del Congo non poteva contare —■ è ormai monotono il ripeterlo — su un medico o su un ingegnere indigeno, la gerarchia ecclesiastica poggiava saldamente su sei vescovi e su centinaia di sacerdoti e suore congolesi, tanto saldamente da uscire indenne dalla tempesta che ha squassato tutto il paese. La tempesta non è finita, forse per la Chiesa, i momenti più difficili devono ancora venire, l'attacco si è già delineato proprio in quel settore dell'educazione che le è il più caro e dove ha realizzalo la parte più valida della sua opera terrena. Ricorderemo soltanto come, secondo gli ultimi dati ufficiali del 1957, gli allievi degli istituti religiosi erano un milione e quattrocentomila contro duecentomila studenti di tutte le scuole statali messe insieme, e come l'unica università congolese — la splendida Lovanio a Léopoldville — .sia frutto dell'iniziativa religiosa. Alla vigilia dell'indipendenza, anche Lumumba, che come quasi tutti gli altri nuovi leaders ha compiuto i suoi pochi studi < dai preti », darà ufficialmente il più ampio riconoscimento del lavoro educativo della Chiesa, contrapponendolo alle scarse realizzazioni dei belgi, e garantiva anche per il futuro alle missioni piena libertà d'azione. Subito dopo la proclamazione della nuova repubblica, al suo primo discorso programmatico da capo del governo, Lumumba improvvisamente cambiava tono dichiarando che in un paese laico come vuole essere il Congo, con piena separazione tra Stato e Chiesa, l'intera struttura scolastica deve essere sottratta alla sfera religiosa. Ed a questa impostazione costituzionale — sulla quale dovrebbe pronunciarsi entro l'anno una assemblea costituente, composta dal Senato e dalla Camera uniti —■ Lumumba faceva, immediatamente seguire' una violenta campagna denigratoria contro la Chiesa, accusata di avere sempre fatto causa comune nel passato con i dominatori belgi e di complottare oggi contro il governo. Poco dopo la metà di luglio, il ministro delle informazioni Kashamura interruppe clamorosamente una seduta della Camera per dare l'annuncio della scoperta di un complotto contro la vita stessa di Lumumba, ordito fra i capi dell'opposizione e mons. Gillon il gesuita rettore dell'Università di Lovanio. La notizia, attribuita dal ministro ad un'agenzia che ne era completamente allo oscuro, non aveva nessun fondamento e non ebbe naturalmente nessun seguito; il governo fece una magra figura, ma attese pazientemente il momento di rifarsi. A metà agosto, la polizia congolese, irrompendo di notte nel convento delle suore del Sacro Cuore, scopriva e traeva in arresto due ufficiali belgi. Inutilmente la superiora faceva notare che dall'inizio dei disordini avevano trovato rifugio temporaneo presso le suore centinaia di persone e che i due ufficiali non si nascondevano, ma erano appena giunti dall'interno ed avevano già in tasca il biglietto per rientrare in aereo a Bruxelles (come si precipitarono a fare appena liberati): tutta la propaganda governativa riprese a tuonare contro il complotto della Chiesa. Da allora, qualche imprudente predica di parroco, qualche inopportuna pubblicazione basta ogni tanto a fornire tenue ma prezioso materiale incendiario all'infuocato capopopolo congolese per la sua polemica anticattolica (i protestanti sono risparmiati, almeno per il momento), antibianca, antiNazioni Unite, anti-tutto. In Katanga, poi, parte del clero locale nasconde a stento le sue simpatie per il governo Tschomhe il quale, come si ricorderà, pensò bene di inviare subito in Vaticano una sua missione assistita dall'italiano comm. Dolcino. Ma sono tendenze ed episodi, che le supreme gerarchie ecclesiastiche congolesi tentano di impedire e reprimere, ansiose come sono di non legare le sorti della Chiesa a quelle tempestose e caotiche del Congo politico di oggi. Venerdì scorso, in una messa speciale « per impetrare da Dio sulla nazione congolese felicità e prosperità », fu letta in tutte le chiese dello diocesi di Léopoldville questa pastorale dell'arcivescovo mons. Scalais: « La Chiesa è qui per diffondere il Vangelo di Cristo, per far pe- llllllllllllllllllllllllllllllllMlllllllllllllllIIIIIIII netrare dovunque la sua dottrina d'amore e di fraterna carità. Con Cristo, essa condanna tutto ciò che porta all'odio e alla violenza. Essa vuole così tenere fede alla missione che Dio le ha affidato e lavorare così per la felicità del popolo congolese. Essa, ripeto ancora con tutte le mie forze, non ha e non può avere altro scopo ». In qualche chiesa, mi dicono, si levò al termine della lettura tra i fedeli africani un applauso, subito represso dall'officiante che aveva ordine tassativo di leggere senza commentare: corrono tempi calamitosi, qualcuno può vedere un duro attacco anche in una condanna dell'odio, anche in una parola d'amore. Giovanni Giovannini IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIItllllllllllllllllllllllllllllllllll

Persone citate: Bosh, Gillon, Lovanio, Lumumba, Mojàiski Perelli, Perelli