Pensaci, uomo ! di A. Galante Garrone

Pensaci, uomo ! Pensaci, uomo ! Assistevo l'altra sera a una cproiezione del Dittatore folle, sQuello che più colpì non solo fme, ma tutto il pubblico (lo si ncapiva dall'altissimo silenzio che si fece nella sala), fu la lunga sequenza, inedita, sul ghetto di Varsavia. La commozione nasceva, irresistibile, dal rifrangersi dell'immensa tragedia collettiva — duecentomila ebrei rinchiusi e soffocati nel recinto di un esiguo quartiere, la selvaggia eliminazione, la resistenza disperata — in mille e mille tragedie individuali, ciascuna col suo dramma intimo, il suo inconfondibile vólto. Mi tornava a mente quel che Norberto Bobbio aveva detto cosi bene ai torinesi al principio di quest'anno: la difficoltà, quasi l'impossibilità di scorgere, entro l'apocalittica strage di milioni di esseri umani, sotto la figura mostruosa del genocidio, gli individui uno per uno, il loro singolare destino, il loro affanno, il loro nome. I nazisti, nella loro ottusità spirituale, ritraendo con la macchina da presa le scene del ghetto di Varsavia forse pensavano di farne un film di propaganda; e solo quando svilupparono la pellicola si accorsero dell'errore commesso; e non ne fecero più nulla. L'arido numero dei morti si trasformava in una sequenza di persone vive che tremende accusavano. (Lo stesso accadde per le Ultime lettere da Stalingrado). Quei vólti scarni e impietriti, quei sussulti di spavento e di orrore; e i poveri vecchi intabarrati, con i superstiti segni di un agio e una dignità perduta, trascinati nell'abiezione; e i fanciulli, soprattutto i fanciulli: quello che, atterrito, alza le braccia in segno di resa, e un soldato gli sta dietro col mitra puntavo; quello che ostinato danza sul marciapiede, trascinando su e giù i poveri piedini goffamente calzati, e si sforza di cantare, e di ridere, invocando un boccone che lo sfami, fra la gente che si accascia esausta intemo a lui; quelli che sono con violenza afferrati e scossi dalle SS, e devono scrollarsi di dosso quel po' di rape e di carote che si erano illusi di nascondere sotto gli stracci di cui sono avvolti. E non parlo delle scene più orrende. Le immagini tratte dal vero, spoglie come sono d'ogni artifìcio e intento persuasivo, colpiscono per la loro genuina immediatezza, più di ogni calcolata parola: hanno l'efficacia nuda e terribile del documento. Lo si vede, oltre che nella sequenza cinematografica di cui ho detto in un piccolo libro uscito in questi giorni sui campi di sterminio: Pensaci, uomo! E' una raccolta di fotografie fortemente inchiostrate (così da attenuarne la minuzia realistica c accrescerne la lugubre, ossessionante potenza evocativa) e impaginate da Albe Steiner, e precedute da una precisa, pacata, nobilissima introduzione di Piero Caleffi (editore Feltrinelli). Le immagini che trascorrevano rapide e allucinanti sullo schermo, qui sono fermate in una fissità dolorosa e immota, per sempre. E' un libro che tutti dovremmo contemplare e meditare a lungo: non potremmo, alla fine, non imporci di essere migliori. Questa raccolta di fotografie, e le parole che le precedono e le accompagnano, rispondono, mi pare, alla domanda che più volte ci siamo fatta in questi mesi, fin da quando sono apparse nelle nostre città le mostre della deportazione, con tanto accorrere di visitatori, e specialmente di giovani. A quale scopo devono tendere queste documentazioni? Non dobbiamo nasconderci il rischio che, per una parte più o meno grande di pubblico, esse falliscano lo scopo. A parte gli ovvii pericoli di una troppo facile ed effimera commozione, o di gratuite esercitazioni retoriche, o, peggio, di maldestre speculazioni propagandistiche, c'è quello, assai più consistente, di considerare questi documenti nicnt'altro che un museo degli orrori, la prova di una aberrante mostruosa follìa, prodottasi chi sa come e perché a un certo momento della storia, senza alcun addentellato con quanto esisteva prima ed è sopravvenuto dopo, fino ai nostri giorni: un episodio agghiacciante, ma conchiuso in sé, e irripetibile. Il pericolo di una siffatta interpretazione è che vada perduta la dimensione umana della tragedia, il senso, diciamolo pure, della nostra corresponsabilità. Questi documenti, invece, devono valere (e Caleffi non poteva dirlo meglio) come un invito a pensare, un nule richiamo al nostro dovere di uomini. A tanto si è giunti, perché non si è reagito al male quando si era ancora in tempo; a tanto potremmo ancora giungere, se non saremo vigilanti, e risoluti a stroncare ogni riapparire del male. Gli egoismi, l'indifferenza, la pavidità formano tutti insieme, prima ancora che si scateni l'odio forsennato di razza, un piano in clinato che ha il suo sbocco, or rendo ma fatale, nella camera a gas. Non basta il sussulto d'indignazione al macabro riapparire qua t là, di qualche svastica dazgapapmtcc com'è successo ai primi di quc st'armo. Il male è antico e pro fondo. Lo vediamo serpeggiare nelle torture di Algeria, o nelle discriminazioni del Sud Africa, anche se arginato dalla coscienza dei popoli. Lo vediamo allignare, malefica gramigna, negli altri paesi; e anche da noi, sia pure in forme embrionali, e in apparenza innocue. E poiché ci piace parlar chiaro, aggiungeremo che il male è anche nella reticente e tacita solidarietà con i crimini nazisti, che gli eredi e i continuatori del fascismo non hanno mai sconfessata; nelle ribalde imprese di alcuni giovinastri e negli oltraggi rimasti impuniti; nella fiacchezza o nella fiiiiiiniMiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiii iriiiiii inerzia dei pubblici poteri : quando il nostro primo dovere sarebbe di rispettare, e far rispettare, la legge. E infine il male più sottile da combattere è, lo ripetiamo, nell'oblio e nell'indifferenza. Nel film di cui parlavo, il vertice della commozione è raggiunto quando appaiono, in primo piano, i vólti di alcuni patrioti ebrei, arrestati con le armi in pugno e condotti a morire. Il loro sguardo, che in realtà si posava severo e tranquillo sulle macchine da presa maneggiate dai carnefici, oggi sembra rivolto a ciascuno di noi, quasi a dire, in un supremo ammonimento: «pensaci, uomo!». A. Galante Garrone iiitiiriiiiuiiiiriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii ■ifi

Persone citate: Albe Steiner, Caleffi, Norberto Bobbio, Piero Caleffi

Luoghi citati: Algeria, Stalingrado, Sud Africa, Varsavia