Linguaggio teatrale di Francesco Bernardelli

Linguaggio teatrale Linguaggio teatrale Remy de Gourmont, satiresco e poetico autore delle Lettres à VAmatone, dei Dialogues des amatears, del Latin mystiqae, in uno di quei suoi brevissimi, lucidissimi saggi, dai quali, sessantanni dopo, ancor si sprigiona uno strano fascino di decadente ironia, trattando di Stendhal, di Shakespeare e di Racinc, si trovò a scrivere una paginctta esemplare sul successo teatrale, o meglio, con sfumatura più fine e profonda, sul consenso a teatro. Egli osservava che in realtà, dopo Racine, la Francia non ebbe più teatro tragico, come non l'ebbe, dopo Shakespeare, l'Inghilterra. Apparve bensì qualche fiore isolato e sperduto, ma una fioritura continua, no. Perché nella vita letteraria dei popoli, vi sono epoche teatrali, des saisons pour le théàtre: ma debbono concorrervi particolari condizioni sociali," una certa ingenuità raffinata, una curiosità ardente, modulata su pregiudizi e credenze o fedi collettive; Shakespeare e Racine ebbero ascoltatori convinti, giudici autentici e pur benevoli che cercavano di soddisfare la propria intelligenza non meno della sensibilità; gente che nel teatro scopriva, con familiarità, il senso della vita, pubblico capace di lunga attenzione, paziente, all'occasione febbrile. Orbene, Gourmont, in questa asciutta variazione stendhaliana, ha detto l'essenziale. Il fatto più importante è pur quello, che non tutte le età della storia umana sono teatrali, e che il teatro, nel corso dei secoli, si oscura, si spegne, si riaccende senza che la volontà dei ministeri dello spettacolo, e di altre importanti e inutili istituzioni ci abbia nulla che fare. E' una verità che dà sui nervi alla gente di teatro (e ne intendiamo bene, e con simpatia, il perché), ma che non infastidisce quelli che, il teatro, lo amano con purezza di cuore, perché costóro, riconoscendone l'originalità, l'estro, la fantasia, e insomma la qualità poetica e la nascita gratuita, sanno accettarne l'assenza, rassegnati e in silenziosa attesa. Anzi, proprio per questo, particolarmente lo amano, come si amano tutte le arti e tutta la poesia, come si ama l'amore e la felicità: incontri che sarebbe difficile provocare e predisporre. Ma se questi romantici innamorati possono starsene chiusi nella loro ideale e distaccata chiaroveggenza, è giusto che altri praticamente cerchi di sapere se la nostra è o non è una « stagione teatrale ». Ed è pur naturale che a tale scopo molti, forse troppi si agitino e operino. Qual sia il tempo fortunato nel quale si forma il « consenso » teatrale, quell'aderire intimo e compiuto e durevole e continuo del pubblico allo spettacolo non è facile indagare in una rapida annotazione. Sarebbe opportuno, tuttavia, chiarire che cosa s'intenda per teatro corale, teatro che risponde alle esigenze di una società e ne riflette i costumi; formule tanto incerte, ampie ed equivoche che tutto c'entra e nulla ne esce. L'accordo tra società e teatro non va tentato, a parer nostro, sul piano cronistico, episodico, sull'identità di ciò che avviene per la strada e di ciò che si rappresenta sulla scena. Questo non è che un accordo apparente; o, piuttosto, uno spunto, un'occasione: curiosità e attualità. L'accordo totale e vitale che colma la fantasia e la soddisfa è qualcosa di più profondo' dell'aneddoto, è una consonanza, è un'armonia, è tutta una civiltà spirituale che riesce a parlare con se stessa alla ribalta. E' insomma un'identità di linguaggio. E' ovvio che il mondo d'oggi, i giovani d'oggi non trovino nulla di sé nel corrente repertorio del passato; ed è anche naturale ch'essi credano, recando sulla scena, nuda e cruda, abbietta e feroce, scurrile e straziata la tormentosa esistenza del nostro tempo, di avere finalmente raggiunto quel clima intenso che solo giustifica la rappresentazione teatrale. Si disingannino. Non sono le arditezze vergognose e i brutali dolori di una vita troppo dolce o troppo turpe, non è, né può essere questa realtà trasferita nel fittizio di un imbroglio scenico, a soddisfare la richiesta e l'inquietudine dei nostri spiriti. Non in questa banalità che gocciola di sangue caldo, come una vittima presa alla tagliola, si avvera la simpatia li beratrice della finzione teatrale. Non di questo si tratta, ma di scoprire una tonalità, uno stile, una rispondenza di stile, perché tutti i pubblici — tutti gli spettatori e ascoltatori appassionati fedeli devoti — cercano sul palcoscenico, consapevoli o no, la continuità, la prosecuzione fantastica del loro modo di essere, cercano certe parole che rivelino e adempiano il loro misterioso e ancora inespresso destino. E perciò il teatro nuovo è un linguaggio nuovo. E non sappiamo se la nostra sia un'epoca capace di esprimersi teatralmente; ma è certo che le « stagioni » del teatro si distinguono, nella lunga storia dei popoli, perché sbocciano naturalmente, perché soltanto in quel loro « linguaggio » i greci della tragedia eschilea e sofoclea, gli elisabettiani o i cortigiani del Re Sole ebbero modo di portare al punto estremo e perfetto l'intuizione della loro nascita, e la forza e il perché del loro costume, e la conoscenza del mondo. E neppure sappiamo a che cosa possa approdare quella smania di parlar male, di dir cose volgari e sfacciate che ha colto i nostri giovani autori. Non sappiamo se sia gusto vile o esibizionismo, o malizia, o ambizione sbagliata; vogliamo essere infinitamente indulgenti e credere che essi cerchino davvero un'aderenza alla vita profonda, irrazionale, intimidatricc. Ma stiano in guardia; anche se in buona fede si guardino dall'errore di confondere la brutalità dei fatti con l'arte e la civiltà. Le parole sono vive e fertili soltanto se staccate, inventive e creatrici; dire una villania non è che trascrivere in tutte lettere una villana, opaca e inerte realtà. Il discorso che si addice ai giovani, e che gli stessi autori « arrabbiati » e smarriti vanno tentando, è un tesoro nascosto, che sarà o non sarà rivelato, ma che certamente è tesoro di spiriti: non gergo infame, ma getto di immagini, les hnages première*, come diceva Renan, qui servent de base au language et aux tnythologies, e che potrebbero finalmente trasfigurare il grigio palcoscenico in un luogo di coraggiosi incontri con l'umanità in cammino. Francesco Bernardelli 1:1 i r i ; r i i j i 1111111111 ] 11 ; 111 ) 11 l j 11 j i f i i e l 11 l

Persone citate: Latin, Racine, Shakespeare

Luoghi citati: Francia, Inghilterra