Trujillo, il feroce dittatore di San Domingo non misura le vittime, ma si prepara al peggio di Francesco Rosso

Trujillo, il feroce dittatore di San Domingo non misura le vittime, ma si prepara al peggio MOLTO SANGUE SPARSO NELLA DOLCE ISOLA SCOPERTA DA COLOMBO Trujillo, il feroce dittatore di San Domingo non misura le vittime, ma si prepara al peggio In trentanni di governo ha fatto uccidere (si calcola) centomila avversari in patria e fuori - Prima vittima del suo odio fu la vicina Haiti, la più antica repubblica negra del mondo - Forse trentamila indigeni vennero massacrati in una sola «operazione» al confine - Ha il titolo di «gran padre della patria nuova», sua moglie il titolo di «gran madre», ma è circondato dall'odio e dalla paura - Non potrà resistere a lungo alla condanna di tutti gli Stati americani: un giorno dovrà partire per un comodo esilio, insieme al figlio che donava Cadillac dorate alle dive di Hollywood (Dal nostro inviato speciale) Port au Prince, settembre. L'approdo a Hispaniola avvenne al tramonto, sotto il cielo tropicale che aveva intonato una sinfonia scarlatta incendiando apocalissi di nuvole, ai cui riverberi la compatta tenebra dei negri che mi portavano le valige si addolciva in tonalità di rame lucente. Per procedere chiaro dirò che Hispaniola è un nome desueto, fu Cristoforo Colombo a chiamare così l'isola incontrata sulla sua rotta il g dicembre H92 mentre veleggiava da Cuba verso le coste di quella che sarebbe poi stata la Colombia. Ora l'isola è tagliata in due da una linea di confine iiiiiiiiii[iiiiTiiiiiiiiiiiiiiiiiiii:iiiiiiiiii]fiiii;iiiii pressoché invalicabile: di qua, verso occidente, dove sto io, si chiama Haiti ed è la più antica repubblica negra indipendente del mondo; di là, ad oriente, dove vorrei andare, si chiama San Domingo ed è il feudo del dittatore più odiato nel Mar dei Caraibi e dintorni. Ad Haiti ero venuto solo per la speranza di ottenere il visto di ingresso a San Domingo, cosa che non mi era riuscita a Cuba, né a Miami e nemmeno in Venezuela e Costa Rica perché il blocco diplomatico era già in atto ancor prima che i ministri degli Esteri americani lo decretassero nella conferenza di San José, ma è stato inutile. Tut- (ii[iiiiiiiiiiiitriti!iiiiitiii!iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiritia tavia, il viaggio non è stato infruttuoso. A Port au Prince, capitale di Haiti, trovai l'ambasciatore ed il console dominicani; ma quando gli domandai con accentuato candore se potevano darmi il visto per il loro paese, mi guardarono perplessi, incerti se celiavo o parlavo seriamente, e alla fine mi risposero con avvilita cortesia che non potevano far nulla. San Domingo è in stato d'assedio, e non solo per l'isolamento diplomatico cut è stato condannato, ma perché ti generalissimo Rafael Leonidas Trujillo non vuole giornalisti che indaghino sui trent'annì della sua disinvolta, spietata amministrazione proprio in questo periodo in cui, riconosciuto complice dell'attentato dinamitardo contro il presidente venezuelano Betancourt, intende resistere fino all'ultimo suddito alla intenzione espressa dai governi di tutti i paesi americani di rovesciarlo. Per il generalissimo Trujillo, la resistenza ha un solo significato, salvare se stesso a costo di distruggere la sua popolazione. Intanto, a quanto affermano gli ultimi fuorusciti, popola le carceri con i riottosi che vorrebbero accelerare i tempi e rovesciarlo. Da Port au Prince a Ciudad Trwjillo ci sono meno di trecento chilometri, mezz'ora di aereo, o sei di automobile, ma anche avendo il visto sarebbe impossibile andarci, gli aerei di linea non fanno più scalo nella capitale dominicana perché sarebbero respinti come infetti dagli altri aeroporti. In automobile era possibile andarci fino a dieci anni fa, ma il gene- \ 1 , e i o à m i o i ralissimo Trujillo, che non vuole avere contatti con i negri di Haiti, ha fatto dinamiiare la strada. Abitata esclusivamente da bianchi, San Domingo sopporta con malcelato disgusto la vicinanza dei negri haitiani, ed ha steso un invalicabile cordone sanitario attorno alla repubblica di ex-schiavi. Una decina di anni fa, gli ingenui haitiani costruirono dal nulla una città al confine con l'incomodo vicino, pensavano che i turisti americani, arrivando da Ciudad Trujillo, avrebbero provato una gradevole impressione entrando nella repubblica negra attraverso una città nuova. Quell'audacia irritò tanto Trujillo che fece scavare una profonda trincea nella strada asfaltata e Belladere, la nuovissima città haitiana, non fu mai abitata; l'albergo, l'ufficio postale, l'ospedale, le villette per i funzionari si sgretolano al sole ed alla pioggia del tropico, per le vie invase dall'erba pascolano le capre. Questo fu uno dei tanti gesti ostili del generalissimo il quale, quando ha avuto le occasioni, non ha esitato a infliggere duri colpi ai suoi vicini negri. Nel 1937, durante una delle tante e artificiose dispute di confine per conquistare cocuzzoli di montagne impervie, Trujillo ordinò che tutti i negri passati con gli armenti a pascolare in zone considerate di San Domingo, rientrassero immediatamente entro i confini di Haiti. Gli ignari negri nulla sapevano di confini e complicazioni diplomatiche, e poiché nessuno pensò di avvertirli del pericolo che correvano rimasero con le mandre sui verdi pascoli rivendicati dal generalissimo. Le sbirraglie di Trujillo calarono con ira sanguinaria in mezzo ai placidi pastori e fecero una nuova strage di innocenti; iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiitiiiiiiiiiiiiiiiiiti le statistiche più favorevoli a Trujillo parlano di quindicimila vittime, le più ostili di trentatremila. Credo che a Trujillo importi poco il numero dei morti che gli attribuiscono, per la freddezza con cui ha sempre attuato i suoi piani politici può essere considerato un uomo indifferente all'opinione pubblica: Se fossero tutte vere le informazioni che ho raccolto durante questo vagabondaggio nel Mar dei Caraibi, non ci sarebbe stato delitto politico di un certo rilievo nei paesi della America Centrale al quale Trujillo sia estraneo. Probabilmente l'immaginazione popolare e le rivalità personali hanno gonfiato e romanzato \ ' ™a se tutta l'opinione 1 pubblica dell' America Cen- l e a , ù l ; f. o a h. te lis e o; la u a, o lio, eo li tro-meridionale, senza distinzione di classi sociali o di tendenze politiche, professa un odio cosi forsennato per Trujillo, un cospicuo fondo di vero dev'esserci nel fosco romanzo di questa dittatura. Seduto con un amico al tavolo di un bar di San José, fummo sfiorati da un giovanotto che camminava guardandosi attorno con sospetto. L'amico mi raccontò la storia di quel giovanotto, il dott. Pablo Giudicelli, ex segretario dell'ambasciata dominicana a San José. Un giorno egli ricevette dalla corte di Trujillo un telegramma cifrato urgente, con il quale lo incaricavano di uccidere il suo ambasciatore Alfredo Fernandez Simo, accusato di complotto contro il generalissimo. Richiamato più volte in patria, il diplomatico in disgrazia aveva inventato un malanno pei; non muoversi da Costa Rica, sapeva che cosa l'attendeva in patria. Il telegramma spiegava al giovane segretario come avrebbe dovuto comportarsi per godere della immunità diplomatica, avrebbe dovuto uccidere l'ambasciatore nei locali dell'ambasciata e rimanere lì finché non gli fosse giunto il salvacondotto per ritornare a San Domingo. Certissimo che se avesse commesso il crimine lo avrebbero poi soppresso per eliminare un testimone pericoloso, il giovane segretario svelò tutto all'ambasciatore. Ora sono entrambi rifugiati politici in Costa Rica. Parlando a Caracas con un esule dominicano della dittatura di Trujillo avevo la sensazione di essere tornato ai momenti più foschi della follia nazista. Mi disse che durante i trent'anni del regime, in San Domingo sono stati uccisi oltre centomila cospiratori. Identiche efferatezze ho sentito narrare a L'Avana sulla polizia di Batista. A Port au Prince i fuorusciti dominicani sono pochi, la frontiera è troppo vicina ed il governo di Haiti ha reciprocamente concordato con quello di San Domingo di non ospitarne, ma ora che la dittatura vacilla, anche Haiti accetta, qualche esule, purché non sia di testa calda. Fui presentato da un comune amico ad uno di costoro, un uomo sulla sessantina, rassegnato e tristissimo perché, pur avversando la dittatura di Trujillo, non ha il coraggio di condannarla totalmente. « Indubbiamente la dittatura ha fatto molto male al mio paese, ma ha delle benemerenze materiali. Se lei potesse vedere l'altra metà dell'isola e confrontarla con Haiti, avrebbe l'impressione di passare dai grattacieli di New York ai " tucul" delia foresta africana». Sono discorsi che ricordo dai tempi in cui, anche da noi, si diceva: « E' un prepotente, ma ha fatto le strade ». Il generalissimo Trujillo ha fatto anche lui le strade imperiali, ha costruito una capitale sfarzosa, ha imposto col terrore l'ordine interno ed ha garantito un relativo benessere materiale alla popolazione. Per riconoscenza i suoi sudditi lo hanno chiamato < Gran padre della patria nuova » ed egli ha benevolmente accolto il titolo allargandolo alla moglie, che è diventata la <Gran madre della patria nuova». Suo fi- gito non ha avuto riconosci- menti specifici, ma in com- penso gli è stata concessa piena libertà per soddisfare la sua costosa tendenza a corteggiare le dive di Hollywood. Si racconta che abbia donato gioielli di valore favoloso a Zsa Zsa Gabor e per aver trascorso un'ora in conversazione cor. Kim Novak, la mattina successiva abbia donato alla bella attrice una Cadillac quasi tutta d'oro. Il generalissimo Rafael Leonidas Trujillo, chiamato € Chapita > per l'insopprimibile smania di spargersi patacche onorifiche sul petto e sul ventre, come tutti i dittatori non ha il senso del ridicolo e chi ironizza sulle sue chincaglierie, o sul titolo di « Gran padre della patria nuova» finisce in galera. Quando sentì vacillare il suo trono d'oro sotto l'accusa di complicità nell'attentato al Presidente del Venezuela, tentò di annebbiare la situazione facendo dimettere suo fratello da Presidente della Repubblica e suo figlio da comandante supremo delle forze armate. Poi si guardò attorno in cerca del successore-vittima e lo trovò nel professor Belaguer, trujillista per amore della carica e per attaccamento alla vita. Fece sparare ventun cclpi di canno¬ ne a salve e come un principe del Rinascimento usclin gran pompa dal suo palazzo e andò a investire il tremebondo prof. Belaguer presidente della Repubblica a"ominicana. E' stata una mossa astuta, ma inutile, i paesi dell'America latina non si sono lasciati ingannare e condannatolo per l'attentato al presidente Betancourt hanno praticamente decretato la sua fine. Cioè, la fine della sua dittatura perché al momento giusto, il generalissimo Rafael Leonidas Trujillo, gravato di patacche onorifiche e di più concrete valige colme di valori, troverà all'uscio l'aereo che lo porterà in salvo, come hanno fatto il venezuelano Perez Jimenez ed il cubano Fulgenzio Batista. Sul posto rimarrà il prof. Belaguer (qualcuno deve pur assicurare la continuità del potere) il quale ha certo ancora nelle orecchie il rombo sinistro di quei cannoni che sparavano a funerea gloria salutandolo Presidente della Repubblica in sfacelo e vittima designata dell'ira popolare. Francesco Rosso