II volo dell'aquila

II volo dell'aquila II volo dell'aquila Parco del Gran Paradiso, aett.Ma E' venuto il momento di persuaderci che le aquile devono essere difese. Per due motivi. Perche sono tra gli animali più belli della natura, c perché rischiano di sparire. Chi conosce l'aquila per averla vista solo negli zoo, e non l'ha scorta volare in libertà, non sa che sia. Giorni fa mi è capitato di avvistarne tre. Camminavo per la strada nuova di zecca che da Chantel, attraverso il Col Bcccapiana, passa in Valsavaranchc, snodandosi a mezza costa, quasi pianeggiante, alla quota di circa duemila metri. Si tratta di una delle nuove strade che il Parco Nazionale del Gran Paradiso ha costruito nei suoi territori, per uno sviluppo complessivo di circa cinquanta chilometri: e sono comode cornici a grande altezza, grazie alle quali, passeggiando senza alcuna fatica, si dominano i paesaggi tra i più maestosi e aspri delle Alpi. Sembra di camminare sui ponti di qualche colossale nave acrea. (Mi soffermo un poco su questi particolari perché ritengo che ben pochi sappiano dell'esistenza dei « sentieri in quota » del Parco, un vero tesoro turistico tra le vette, che tutti, con un po' di buona volontà, possono recarsi a visitale). Camminavo, dunque, sotto alle cime del Favret (m. 3173), ammirando sotto ai mici piedi la immensa bruna voragine della Valsavaranchc, in fondo alla quale riluceva il fiume come un filo d'argento, e di fronte a me, tra due quinte di montagne minori, il massiccio del Monte Bianco chiazzato di neve candidissima c aereo nei vapori come un'apparizione di favola. Ad un tratto la guardia Eugenio Blanc, che mi accompagnava, puntando l'indice dinnanzi a sé disse: « Un'aquila ». E, infatti, a qualche centinaia di metri da noi, c non molto più elevato, vidi un grosso volatile nero, con le ali spalancate e ferme, sorvolare lentamente l'abisso della valle. Quando fu sopra il Col Beccapiana, quasi si fosse trattato di un appuntamento, altre due aquile spuntarono di dietro i monti avvicinandosi alla prima: e allora cominciarono a girare intorno secondo ampi cerchi solenni e a guadagnare quota. Ciò che sorprendeva, era che ascendessero così in fretta — tanto che al termine di ogni giro m'apparivano sensibilmente più piccole — senza assolutamente battere un colpo d'ali. Volavano librandosi con le ali ferme e distese, in cima alle quali le penne remiganti sembravano le dita aperte di una mano: uno stupendo volo a vela senza il più lieve sforzo, senza il più impercettibile mancamento: ecco, come per un prodigio, la gravità a cui tutti gli esseri di questo mondo sono incatenati, era vinta, e quei tre esseri neri, senza peso, si innalzarono, come pur: spiriti, di mille e più metri in pochi minuti: e quando furono alla quota voluta, formando un triangolo, presero la direzione sud e li vidi procedere in volo rettilineo a grande velocità finché sparirono dietro alle cime del Favret. Uno spettacolo straordinario che auguro a tutti di poter vedere. Ora, che un simile prodigio della creazione, un così prezioso ornamento dei nostri monti, sia perseguitato dagli uomini, non può non sollevare un moto di protesta. Si sappia che le nostre leggi, classificandola tra gli « animali nocivi », istigano all'uccisione e allo sterminio dell'aquila leale, che infatti è agli sgoccioli, e, se non si corre ai ripari, scomparirà del tutto in breve tempo. Si* concesso qui affermare che poche concezioni sono così campate in aria come quella che porta alla classificazione di animali <t nocivi ». Non vi sono animali nocivi nella natura, in quanto tutti, in un modo o nell'altro, contribuiscono al mantenimento dell'equilibrio generale. A chi nuoce l'aquila? Non si creda afL.to che essa costituisca un pericolo per il passante in aperta campagna; l'aquila si guarda bene dall'aggrcdirc l'uomo di cui ha un salutare rispetto, mentre i resoconti di aggressioni a donne o a bambini appartengono solo alla leggenda o alla fantasia degli « illustrati » popolari. Certo, se si guarda l'aquila dal punto di vista dei cacciatori, allora sì chi appare un animale « nocivo »: un rivale che sottrae loro una parte della selvaggina; ma è chiaro che si tratta di un punto di vista settoriale, ili una minoranza, mentre a noi non ce ne im- ale tetrcecamcasinoesdachnauffachbilee tusenotasufuscgisosetecaalbsecduplaloaepptemctuabdczrievmdclotadhnggl'vssisgvcilmcmctedamrlcasuiimPcdngcclfvndcmoamqtcsn.aporta nulla che i cacciatori ani- j mazzino le loro prede, c prefe-. riamo di gran lunga che le ammazzi l'aquila, che sa fare il suo mestiere molto meglio degli adepti di Diana: e ciò perché essa non caccia a vanvera ed indiscriminatamente, ma, per dir così, sceglie i suoi obiettivi con un criterio razionale: gli esseri più deboli, o più malaccorti, o più inetti, i quali, per la selezione naturale, è bene siano tolti di mezzo, se non si vuole che trasmettano agli eredi caratteri degeneri. (E basta questo cenno per capire che l'aquila è un animale utile, anzi utilissimo, altro che nocivo). Non si creda che l'aquila, pur detata di armi eccezionali, come Ma capacità di volo, la forza del-] aartiglio, la vista proverbiale che le permette di scorgere dall'altezza di qualche migliaio di metri una pernice nascosta in un cespuglio, faccia il bello e il cattivo tempo fra gli altri animali, e cacci con la facilità dei cacciatori provvisti di precisissimi fucili a canocchiale, nemmeno per sogno. Tra monti e valli essa ha la vita difficile, deve sudarsi il suo guadagno, e ciò perché le prede che persegue sono loro volta fornite da madre natura di ottime difese. Non è uffar da nulla per l'aquila acciuffare, per esempio, le marmotte, che sono sveglissime, instancabili scrutatrici del cielo, sempre le prime a dar l'allarme per sé e per gli altri compagni di sventura con fischi acutissimi (e sembra perfino ironici) e vi sono alcune che giungono ad attardarsi fino all'ultimo istante sull'uscio dell'irraggiungibile rifugio prima di intanarsi, per scherno, per far provare alla regina dell'aria più cocente il morso della delusione. Sono quasi sempre le marmotte meno svelte, o malate, o intorpidite, che cascano fra gli artigli dell'aquila. Né si pensi, per fare solo un altro esempio, che essa abbia buon gioco con quei fragili esseri che sono i piccoli stambecchi o camosci. Una delle guardie mi ha detto di aver visto un'aquila calare a piombo su un piccolo camoscio al pascolo: ma la madre, accortasi del pericolo (segnalato anche dall'allarme aereo delle marmotte), con un paio di balzi se lo mise sotto alla pancia e abbassò il muso verso terra per puntare verso il nemico gli ottimi pugnali delle corna: se l'aquila si fosse abbattuta sul suo groppone, avrebbe alzato di scatto la testa e l'avrebbe infilzata. L'aquila, che cadeva dal ciclo come un aereo in picchiata, dovette usare tutta la forza delle ali e delle timoniere per riuscire a cabrare verso l'alto ed evitare l'insidia di quella amorevole camoscia per pochi centimetri. (La guardia del Parco mi disse che se le madri sono decise nella difesa, le aquile si allontanano senza tornare all'attacco). No, l'aquila ha la vita dura, durissima, specie se si pens» che ha figli voracissimi da mantenere, che, nei primi tempi, esigono qualche chilo di carne il giorno, altrimenti si uccidono l'uri l'altro nel nido. Di solito vanno a caccia, assieme, il maschio e la femmina, e solo se si accorgono che è indebolito, isolato, attaccano un animale di grossa taglia aiutandosi vicende volmcntc : e quando l'hanno uc ciso, mangiano a turno mentre il compagno, o la compagna, monta .la guardia. Sono ban chetti che capitano di rado; mentre non è difficile, invece che le aquile girino dalla mattina alla sera a becco asciutto e spesso si piglino gli sberleffi dei gracchi, che sono ' come aerei da caccia rispetto a quel ; maestoso bombardiere che è la regina de! cielo; profittando della loro maggiore mobilità i gracchi a stormo volteggiano intorno all'aquila rivolgendole dei versacci, perché vada a cacciare in un altro luogo e li lasci predare in pace. Non si creda alla storia degli qnindslrrgpcnsrcgCmncssqsCdajmtsNmdtqarvgmiiiifii iiiiriiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiMiiitiitiiiiiii anima li «nocivi». Ormai una quantità di esperienze dimostrano che i presunti « nocivi » sono invece utili, e non parlo solo dell'aquila. In molti luoghi si sono già accorti che gli uccellini, inclusi i passeri, che generalmente si ritiene danneggino 'agricoltura, poiché sono divoratori di insetti e di vermi svolgono una benefica opera antiparassitaria. Mentre da noi si uccidono, gli Stati Uniti importano passeri, perché Ivan capito che senza di loro si devono adoperare gli antiparassitari chimici che sono più costosi e danneggiano la salute. Ancora. Nel Congo si è notato che allo sterminio del leopardo corrispondono crescenti danni ai raccolti: e ciò perché i leopardi sono distruttori degli scimpanzé, avidissimi predoni agricoli. Cerchiamo di proteggere l'aquila, questo animale «.utile » e stupendo, che è agli sgoccioli. Come se alla natura costasse produrre un essere così dotato, le aquile si accrescono lcntissimajncnte (ogni femmina depone al massimo due uova all'anno e non tutti gli anni) ed anche per questo è più grave distruggerle. Nessuno sa dove esse vadano a morire: nessuno dei guardiani del Parco che da decenni battono le Alpi ha mai visto un'aquila morta o uno scheletro di aquila. Quel grande uccello nero, sembra che alla fine della vita voglia sottrarre le sue spoglie alla terra per sparire nel mito. Alfredo Todisco 111111111 [ 1 ■ 1111 ] 11 ■ i 11 ) I i 111 ! M >. 1M111111 ! 1111111111 ri 111

Persone citate: Alfredo Todisco, Eugenio Blanc, Favret