Felice esordio di un giovane regista

Felice esordio di un giovane regista ALLA MOSTRA DI VENEZIA IL PRIMO DEI QUATTRO FILM ITALIANI Felice esordio di un giovane regista LA LUNGA NOTTE DEL '43 di Florestano Vancini ricostruisce un tragico episodio della guerra civile a Ferrara - Un amaro finale suggella bene il forte film DAL NOSJRO INVIATO Venezia, lunedi mattina. Abbiamo visto il primo del quattro film italiani in programma quest'anno alla Mostra del Lido: La lunga notte del 'Jt3, < opera prima > del regista trentaquattrenne Florestano Vancini, venutosi maturando .alla cinematografia a soggetto attraverso una quarantina di documentari, fra i quali due specialmente meritano di essere ricordati: Teatro minimo (1967), dedicato alle recite di certi filodrammatici della Bassa Padana, e Uomini soli (1969), rappresentante i frequentatori d'un dormitorio pubblico. Oltre di ciò, egli è stato aluto regista di Soldati nella Donna del fiume e di Zurlinl nell'Estate violenta; e secondo si è potuto vedere, nulla o quasi gli deve essere ignoto della filologia e della pratica cinematografica. Esordienti cosi preparati non possono che far del bene al nostro cinema, che anche troppo ha campato sull'Improvvisazione, e infatti, diciamolo subito, La lunga notte del '43 sarebbe un film notevole anche se non fosse un'opera prima, notevole soprattutto per la qualità che di solito più scarseggia nei giovani (segnatamente nel gióvani politicamente éngagés): il dominio estetico della materia. Storie ferraresi . e a a i i , i , e a e o a , a e e h a a r a l o o i l a e a e i o o te a Einfiee a La materia è qui rovente, ma il tratto asciutto e calcoIatlssimo. La lunga estate del 'i,s è ispirato da un racconto di Giorgio Bassani compreso nel volume < Cinque storie ferraresi > e ricostruisce il primo episodio della guerra civile che funestò l'Italia dalla fine del 1943 all'aprile del 1946: la fucl lezione in corso Roma, a Ferrara, di undici eminenti cittadini, innocenti come l'acqua fresca, rastrellati per rappresaglia dopo l'uccisione del federale di quella città ad opera di ignoti. Donde il torvo motto che echeggiò in quel mesi con significazione di precetto: < FerrarIzzare l'Italia >. Il Vancini, ferrarese come Bassani, aveva diciassette anni quando fu commesso quel barbaro eccidio, e il suo animo se ne impresse fortemente. Quando non avesse altro, il suo film costituirebbe una salutare lezione di memoria per quanti, vecchi e giovani, non vogliono darsi il disturbo di ricordare o d'informarsi, lezione tanto più efficace che non v'entra livore di parte. Nella storia dell'Italia repubblichina non ci fu forse misfatto di altrettanto bestiale efferatezza: rimesso in fuoco dal film, ancora dopo molti anni riempie l'animo di orrore, dà la misura del pervertimento morale e civile a cui si ridusse, nelle convulsioni dell'ago nia, la fazione fascista. Ma queste esecrazioni sono nostre, non del film, che con oggettiva impassibilità si contenta di ranpresentare. E per prima cosa ci introduce in quella F :rrara dell'autunno del '43, acquattata nelle miserie del coprifuoco, dei bandi e del rastrellamenti. Il fulcro ne è una farmacia di corso Roma, situata proprio in faccia al muretto dove in quella fatale notte avverrà la strage. Con un potere di sintesi e di evocazione che il talento documentaristico del giovane regista non basta a spiegare, tutto un ambiente che si va via via saturando di tragedia prende vita sotto i nostri occhi senza che si sappia dire quale particolare, fra tanti, risulti il più Illuminante. Ci sono momenti che tutta l'angoscia dell'ora sembra raccogliersi in una semplice notazione del costume di quegli anni: per esempio le scarpe a suole ortopediche su cui Anna, la farmacista, zampetta pesantemente sul selciato di Ferrara, o la partita a bridge con cui, fra una trasmissione e l'altra di Radio Londra, la famiglia Villani inganna la noia del coprifuoco. Senza che sia stato ancora introdotto nulla di cruento, già ci troviamo in un'atmosfera tesa e insopportabile, con una sua perfetta coloritura locale; e quasi non aspetteremmo dal film altro soggetto che questa città prona e tremante. pauninconestrsitcocofapoAnnatracogecilicgifupel'aubcaFeVdistprsucismndaspalglchdiremtorànovaasdinadolovestlal'aMFmscstnmgsdcdgchl'aMvladlcrcsdteslobmssfsUn romanzo d'amore Invece esso si snoda in una vicenda vera e propria, e piuttosto grossa e non poco pericolosa. In quello spessore d'aria, con tutti quei fascisti in giro, introdurre un romanzo d'amore e d'abbandono, una figura di donna romantica che cerca (per l'appunto a quei lumi di luna) la passione maiuscola, poteva voler dire (come tante volte s'è visto in altri film a fondo documentario) scombinare tutto. Orbene ci sembra che la maggior bravura del giovane Vancini, il quale è anche l'autore della sceneggiatura cpn Ennio De Concini e Pier Paolo Pasolini, sia proprio stata di reggere il film in tutta la pienezza del suoi motivi, intrecciando la tragedia pubblica e la privata in modo che non si potrebbero psicologicamente dividere. Avviene infatti nella vita che le cose soltanto nostre e le cose di tutti talvolta s'imbrogliano, formando un pasticcio opprimente. Il regista ha còlto questa verità nella storia di Anna, svolgendola insieme con quella di Ferrara, in modo che l'una illumina l'altra. Quella storia è questa. Innamorata del suo compagno di scuola Franco Villani che ha poi perso di vista, Anna ha sposato per convenienza il farmacista Fino Barilari. Bella convenienza. Indotto dal fascistaccio Carlo Aretusi, galli sta quanto ce n'entra, a fare sfoggio di maschilità, il povero Barilari contrasse una malattia per cui è ora inchioda-1 to per «empre sul sediolo del' tcdnvassdmss<Rspfcmstnrlsct(caqArèlp(tnsLdldrnfiCvpalbs a . i o n a i a i i a , n e a a a n a n o paralitico. Sicché Anna non è una moglie ma una semplice infermiera, peraltro buona e compassionevole. Il malato se ne sta perennemente alla finestra, vivendo di torbide curiosità; e non sembra rendersi conto che il sangue della sua compagna è ancora giovane e farà un giorno saltare il tappo. Questo accade quando Anna ritrova Franco che si nasconde dal rastrellatori, e travolta dalla dolcezza dei ricordi non gli sa resistere. Nel generale squallore della vita cittadina, ella sola si sente felice, restituita ai palpiti della giovinezza. E quegli incontri furtivi, -quei baci rubati col pericolo che gli rastrellino l'amante, le danno un'ebrezza ubriacante, senza domani. Intanto il console Bolognesi» capo del partito fascista di Ferrara, viene assassinato. Da Verona giunge l'ordine di vendicare il camerata che i fascisti credono essere stato soppresso dagli antifascisti. Nessuno sospetta che sia stato ucciso per ordine dell'Aretusi, smanioso di afferrare il bastone del comando. E arrivano, da Verona e da Padova, le spedizioni punitive, e con gli altri dieci innocenti, scelti fra gli ebrei e gli intellettuali, anche l'avvocato Villani, il padre di Franco, è trascinato al muretto, dove a un cenno del seminascosto Aretusi, già rinfattocciato da gerarca, si compirà l'eccidio. In quella stessa notte, Anna è andata a trovare l'amante a casa sua e ha assistito all'arresto del padre di lui. E quando all'alba ritorna alla farmacia, l'aspetta un doppio agghiacciante spettacolo: quello dei cadaveri dei poveri trucidati, buttati là come stracci, e quello del marito che la guarda dalla finestra con l'aria triste di chi ha capito. Ma Anna non pensa che al suo Franco: non le importa che il marito sappia ch'ella lo tradisce, vuole sapere da lui, cha stando sempre alla finestra non può non aver visto, il nome di colui che ordinò la strage. Sebbene sprofondato nel suo complesso di vergogna e di dolore il paralitico non dica nulla (e ci penserà più tardi l'ignobile Aretusi a cucirgli la bocca), Anna intuisce chi è stato, e si precipita dall'amante per aiutarlo, se non altro, con quella rivelazione. Ma il giovane Villani non la vuole nemmeno sentire, anzi la respinge. Sbalordito dalla disgrazia^ egli dà fuori tutta la sua ignavia e non pensa che a levarsi da quegli orrori riparando in Isvizzera. E anche questo ò giustamente osservato: la magnanimità delle donne risulta sprecata in certe congiunture, anzi fastidiosa. Fatto sta che proprio allora che i due amanti avrebbero dovuto unirsi più strettamente, essi si separano per sempre. Sola e disperata Anna si allontana con una luce di follia negli occhi e di lei non sapremo più nulla. a e i a e i e i ) i l a e i, Diciassette anni dopo Il film dovrebbe essere finito; ma c'è ancora una coda carica di veleno. Sono passati diciassette anni, siamo ai giorni nostri. Franco Villani diventato ricco torna en tcuriate a Ferrara con la moglie straniera e il figlioletto. Nella sua mente riaffiorano i ricordi. Chiede notizie di Anna, del marito. Lui è morto, lei è scomparsa. Rivede l'Aretusi: si salutano come vecchi amici. < Chi è? », chiede la moglie. Risponde: «Un ex-gerarca fascista. Ai suoi tempi era un personaggio importante, ma in fondo è un brav'uomo; credo, che non abbia fatto nulla di' male». E dopo questa professione di qualunquismo, riparte con la famigliola in macchina, costeggiando la lapide che ricorda i caduti per la liberta. Un finale amaro che suggella bene il forte film, dove non sapremo trovare altre mende che un certo semplicismo nel tratteggio del repubblichini (che furono purtroppo più complessi e sfumati di quanto appaiono qui) e qualche inquadratura un po' calligrafica. Ambiente e personaggi son veri e approfonditi, il racconto è tutto saldamente espresso, la condotta degli attori irreprensibile. Gabriele Ferzetti (Franco) non ci è mai piaciuto tanto, Enrico Maria Salerno (il paralitico), Gino Cervi (il gerarca) sono altrettanto sicuri; e in quanto a Belinda Lee, chi vide in lei, interprete dei < Magliari », la stoffa della vera attrice non sarà certo deluso da questa nuova autorevole prova Presenti alla proiezione erano soltanto il produttore del film, e gli attori Ferzetti e Cervi. Il regista ha marcato visita, chi dice per vero impedimento e chi per attenersi a un piano di protesta contro la nuova direzione della Mostra Ma quando i film sono buoni sì possono vedere anche scompagnati dal loro regista, Leo Pestelli Gabriele Ferzetti (al centro) e Gino Cervi assistono con Raffaella Pellani alla « prima «del loro film (Telefoto Moisio)