L'antico fatalismo del popolo giapponese non offre presa alla propaganda antiatomica di Paolo Monelli

L'antico fatalismo del popolo giapponese non offre presa alla propaganda antiatomica A Hiroshima quaranta "contaminati* aspettano di morire L'antico fatalismo del popolo giapponese non offre presa alla propaganda antiatomica Ricordano l'esplosione con commozione e orrore, ma dicono : « S'era in guerra, dovevamo aspettarci qualcosa del genere » - Un comitato antinucleare è sovvenzionato dai russi, le autorità della città distrutta 15 anni fa non vi partecipano - L'unico palazzo superstite nell'area devastata sarà distrutto: è un rudere che costa troppo mantenere | (Dal nostro inviato speciale) Hiroshima, 13 agosto. Quest'anno, forse per la prima volta dopo l'allegra commemorazione del 1947 che vi ho già descritta, l'anniversario della bomba atomica lanciata su Hiroshima è stato celebrato con molta solennità, e con motivi nuovi. Certo, i giapponesi sono quelli che sono; ed ho già avvertito che il modo che hanno per onorare i loro defunti appare sconcertante a noialtri occidentali. Anche quest'anno si sono viste cose festevoli, luminarie e danze e cortei ondeggianti, e i -bottegai invitavano con mille piacevolezze i passanti a contribuire alla causa della pace facendo acquisti straordinari. Ma il primo giorno della cerimonia decine di migliaia di persone si sono radunate in luttuoso silenzio sulla Piazza della Pace — l'enorme vuoto, come vi ho detto, creato dallo scoppio della bomba —; assistendo alla collocazione nel liiiiiiilliniiiiiiiiiniliiiiii iiiiiiiiiuiiiiiiiini cenotaflo di una tabell «. di legno con su incisi i noi..i di 161 persone morte negli ultimi dieci mesi di mali atomici; evocando alle otto e un quarto in punto, nello stesso momento in cui quindici anni fa scoppiava la bomba, le anime delle vittime, battendo l'ùna contro l'altra le palme della mano e recitando sommesse preghiere; e ascoltando con gli occhi bassi le parole .semplici, intese senza bisogno di interpreti, pronunciate dal principe ereditario Hirohito. Per la prima volta un membro della famiglia imperiale ha partecipato di persona alla commemorazione che si fa qui ogni anno delle vittime del 6 agosto. Per la prima volta un membro della faldiglia imperiale ha fatto sonare la sua voce, che una tradizione di secoli vuole rara e preziosa, da quel 15 agosto di quindici anni fa, nove giorni dopa l'esplosione di Hiroshima, sei giorni dopo una uguale esplosione a Nagasaki, quando l'imperatore, parlando in persona alla radio, annunciò con trepidazione ed angoscia che era venuto il momento per il Paese « di sopportare l'insopportabile e tollerare l'intollerabile », cioè chiedere la pace al nemico, avendo questo « incominciato ad usare una nuova e crudelissima bomba con una capacità di distruzione incalcolabile ». L'imperatore si era servito allora di espressioni così auliche e classiche che i cittadini appena ne intesero il senso; ma smisurata fu la loro commozione. Il dott. Tanimoto, uno dei rarissimi scampati alla morte fra coloro che si trovarono nel raggio mortale, così scrisse in quei giorni ad un amico americano: <E' avr venuta una cosa meravigliosa nella nostra storia. Il nostro imperatore, ha parlato personalmente alla radio a noi semplici cittadini del Giappone. Ci avevano avvertiti il 15 agosto di stare in ascolto di una notizia di, grande importanza per tutti. Così andai alla stazione, c'era un altoparlante fra le rovine. C'erano molte altro persone, feriti, malati, sostenuti dalle figlie, o appoggiandosi alle stampelle; e quando capirono che era proprio l'imperatore che parlava gridarono con gli occhi colmi di lacrime, « che benedizione per noi, il Tenno stesso ci parla e possiamo udire la sua propria voce Questo oi consola piena¬ mente di tutti i nostri sacrifici ». Debbo dire, a proposito di questa sovrumana rassegnazione di tutto un popolo nella sconfitta e nella tragedia mortale, che da quando sono in Giappone non ho mai sentito parlare, non dico con odio, ma nemmeno con risentimento degli Stati Uniti per il lancio delle bombe di Hiroshima e di Nagasaki. Nei cento manifèsti portati in giro dagli accesi dimostranti del giugno scorso, pur violentemente polemici, con parole di condanna per il patto di sicurezza con l'America, con ripetuti inviti agli americani di andarsene fuori dai piedi, non ho veduta una frase, non una parola che ricordasse il martirio delle .due città. Va bene, sono passati quindici anni da allora, Mac Arthur ha saputo conquistarsi il cuore dei giapponesi con la sua politica benevolente; ma già nel suo * Hiroshima» (dal quale ho tolto quel brano di lettera del dott. Tanimoto) scritto nel 1946, a un anno solo dalla catastrofe, il giornalista americano John Hersey, scrive che «una sorprendente quantità di cittadini di Hiroshima gli erano apparsi più o meno indifferenti di fronte al problema, se l'America avesse o no una giustificazione morale per lanciare la bomba ». La signora Nahamura, un'altra dei pochissimi superstiti della zona mortale, gli disse a questo proposito, « s'era in guerra, e dovevamo aspettarci qualche cosa del genere »; aggiungendo la frase fatalistica di tutti i giapponesi, shikata ga nai che, dice John Hersey, ha il valore del nicevò dei russi, « non c'è rimedio, non c'è da farci nulla, è una fatalità ». Tornando alla cerimonia, oltre al principe ereditario vi ha partecipato in forma ufficiale anche il governo, inviando la ministressa dell'assistenza pubblica, Masa Nakayama, a leggere un discorso del presidente del consiglio Ikeda. Naturalmente, il governo ha avuto le sue buone ragioni per dare una nuova e particolare solennità alla commemorazione. E cioè quella di creare a Hiroshima un contrapposto, o un contraltare, ad un . « comitato giapponese contro le bombe atomiche nucleari* sorto cin quo anni fa e che ha fino al l'anno scorso indetto a Hiroshi- i ttevnctngldcfzgppgdudvnstmsdcvsimmv«slcdabmmrldlsdrdrtlsq«fma nei giorni anniversari delllancio della bomba un <con-\gresso mondiale antinucleare „.\Quest'anno il congresso si è\ i tenuto a Tokio; perché le autorità di Hiroshima^ il sindaco' e il prefetto, non hanno rinnovato l'invito al comitato di tenere il congresso nella loro città, e si sono rifiutati di con' tribuire, come facevano'gli anni scorsi, alle spese del congresso. E questo perché daU l'atteggiamento del comitato, e dall'andamento degli annuali congressi, il sindaco e il prefetto hanno tratto la convinzione che il comitato e i congressisti si siano dati sempre più premura di ubbidire alle parole d'ordine della propaganda cinese e moscovita che di promuovere efficacemente un'azione contro la minaccia della guerra atomica. Più volte i giornali di Tokio hanno dato notizia di cospicue sovvenzioni al comitato da parte russa. Il presidente del oomitato è il professore universitario Yasui, vincitore nel 1959 del premio Lenin per la pace. Un curioso fatterello può chiudere la cronaca del festival della pace a Hiroshima. Il sindaco della città ha detto che il consiglio comunale sta esaminando la convenienza di demolire quel certo rudero che vi ho descritto, il cosiddetto « palazzett o dell'industria » che si vede tuttora nel mezzo della vasta rovina, il solo edificio che resistette allo schianto dell'esplosione; e lo tengono su a dispetto, puntellandolo e rabberciandolo continuamente come « simbolo del bombardamento atomico*, destinato a rendere tangibile con il suo allucinante sopravvivere l'orrore della guerra atomica. Sta il fatto che oggi il cimelio lo si va a vedere più con curiosità che con orrore, e in fondo ha l'aspetto di migliaia di ruderi simili fatti dai bombardamenti puliti dell'ultima guerra; ricorderete l'allegra comitiva di gitanti di cui vi ho. parlato nella precedente corrispondenza, che si erano scelta quella che le guide chiamano « ossessionante rovina » per • farci una colazioncina al sacco. Sia per non indulgere ad una curiosità che può diventare irriverenza, sia perché costa troppi quattrini la manutenzione del rudero, che non caschi sulla testa dei passanti, in una regione corsa spesso da impetuosissimi tifoni, il municipio avrebbe deciso di levarlo via, stornando quei soldi a favore dell'ospedale ove giacciono ltHttora una Quarantina di per\s°ne> lentamente consumate \dall'orrenda.lebbra atomica.^ \ Paolo Monelli

Persone citate: Ikeda, John Hersey, Lenin, Mac Arthur, Nakayama, Tanimoto