I cocciatori amano gli animali?

I cocciatori amano gli animali? Oupo ie discussioni ai convegno di Cuneo I cocciatori amano gli animali? Sembra una tesi curiosa, ma questo « affetto » è uno stato d'animo molto diffuso - « Cogliamo gli animali con Io stesso spirito con cui si colgono i fiori» - L'aspetto più odioso dello sport venatorio, l'uccellagione (Nostro servizio particolare) Roma, 4 agosto. Una delle affermazioni che mi hanno sorpreso di più, nei giorni scorsi, è che i cacciatori "amano" gli animali. E' una tesi un po' curiosa, di cui si sono fatti portavoce i numerosi esponenti dell'arte venatoria che mi è capitato dì incontrare e di sondare a Cuneo, in occasione di un convegno sul tema <Gli animali e noi». Essi mi hanno assicurato che, per quanto possa apparire strano. è uno stato d'animo molto dif-i fuso tra i novecentomila cacciatori che si contano nel nostro paese. Questa professione di affetto per gli animali che contribuiscono a sterminare fornisce Indubbiamente alla psicologia dei cacciatori, che a molti appare alquanto inafferrabile, un tratto se non altro nriginale. Sappiano i protezionisti, gli zoofili di tutte le tendenze, che i cacciatori si considerano, al pari di essi, amici degli animali k innamorati della natura, solo che si tratta di una affezione, evidentemente, che si esercita in modo diverso. Per cercare di caoire come mettono d'accordo i sentimenti contrastanti che portano alla distruzione di ciò che amano, ho sondato molti cacciatori e uccellatori e devo dire che, prima ancora delle loro spiegazioni, mi ha colpito 11 tono poetico, vorrei dire lirico, con cui essi affrontane l'argomento. Non dico che arrivano alle lacrime agli occH. ma certo si sente nella loru voce un accento di commozione. Quando cercano di aprire il loro animo, essi, prima di tutto, affermano che la caccia è un istinto primordiale, atavico, connaturato nell'uomo. La caccia, essi sostengono, non è contro natura dal momento che esiste in natura. Da quando mondo è mondo animali cacciano, uccidono, mangiano altri animali senza che ciò sollevi alcuna particolare rivolta nella coscienza morale. Il leone e il lupo, la tigre e l'aquila, 11 leopardo e il pescecane, non sono forse cacciatori? Un avvocato che da anni pratica lo sport di Diana mi ha detto: «Che l'istinto della caccia sia innato, lo si vede nei ragazzi che, così spesso, aggrediscono e perfino torturano gli animali. Ogni giorno leggiamo sui giornali episodi di crudeltà giovanile nei confronti di cani, gatti, uccelli, topi e via dicendo. Lo sport della caccia disciplina ed eleva a rito un istinto umano che risale alla preistoria, quando l'uomo identificava con l'uccisione degli animali la propria so prav vi venza ». Subito dopo l'appello all'Istinto, che è di prammatica, è comune ai cacciatori difendersi col dire che essi non vanno a caccia per «il piacere di uccidere >. E' un'accusa che, ho constatato, brucia a molti di loro. Aprendomi sempre più a fondo la loro mentalità, essi mi hanno detto che ciò che li muove è, innanzi a tutto, il bisogno di « ritornare alla natura», di abbeverarsi alle fonti stesse della vita. < Sapesse quali piacevoli emozioni — mi ha svelato un cacciatore di Ascoli Piceno — suscitano nel .nostro animo il sorgere dell'aurora, il crosciare delle acque, il mormorio delle foglie agitate dal vento, insomma lo spettacolo meraviglioso della creazione!». Altri mi hanno chiarito che la caccia è costituita da un Insieme di azioni, la ricerca della preda, l'avvicinamento, l'appostamento e via dicendo, che sono ricchi di suggestione. Il momento dell'uccisione è soltanto il coronamento fatale di un rito molteplice. I veri eacciatori, mi hanno detto, sono contenti di andare a caccia anche quando tornano indietro a mani vuote. Occorre soffermarci un momento sulla tesi del « coronamento fatale » se vogliamo capire un po' meglio la mentalità dei cacciatori. (E* chiaro che qui assumiamo di parlare dei cacciatori di un certo livello, che si dicono « sportivi », e non di quelli, purtroppo numerosissimi, che si comportano come avidi predoni, che arraffano tutto quello che possono in spregio delle stesse leggi venatorie). L'abbattimento «sportivo » è una necessità, senza la quale il complesso esercizio della caccia non avrebbe senso, e l'animale assurge al li vello di una vittima in un rito sacrificale. « La caccia per noi, mi ha detto un professionista di Valdieri, ha un valore di simbolo, e appaga il bisogno psicologico che ha l'uomo di misurarsi con la natura e di procacciarsi il sostentamento con le sue proprie forze fisiche. Per noi la preda è quel che la vetta è per lo scalatore ». Un medico di Cuneo, per provarmi il suo spirito zoofilo, mi ha detto di aver costituito a sue spese un piccolo ospedale per animali malati o feriti di tutte le specie, che egli accoglie numerosissimi. « Vede, mi ha spiegato, la maggior parte di noi cacciatori, daremmo la vita agli animali che uccidiamo un momento dopo l'abbattimento, se soltanto lo potessimo ». Dicevamo prima che in mot ti cacciatori non mancano i voli lirici. Uno è arrivato a ci tare il verso di Pascoli che, se ricordo bene, suona così: «Chi coglie il flore sulla rama, l'ama o non l'ama?», in cui dovrebbe riassumersi la problematica dell'affezione che distrugge Nel cogliere un flore vi è una manifestazione d'amore per esso, ma è un gesto che ne tronca la vita. < Ebbene, mi ha spie gato il mio poetico interlocutore, noi cogliamo gli animali cclccsccrc! acEèiSles i , t e o a , con lo stesso spirito con cui si colgono i fiori ». Ho sondato tra l'altro anche le idee di un cacciatore di uccelli, di uno di quegli sportivi, cioè, che non si peritano di strappare al cielo quei piccoli capolavori della natura che con i loro trilli ed i loro voli rallegrano l'animo dell'uomo. Devo dire che non ingiustamente i protezionisti considerano l'uccellagione come uno degli aspetti più antipatici, diciamo pure odiosi della caccia: ! tanto è vero che in nessun dei paesi dove la caccia pure è in auge la si pratica. Ebbene anche qui ho trovato il poeta. Egli mi ha detto che l'aucùpio è una tradizione tipicamente italiana che risale ai romani. Se è propria dei paesi nordici la caccia nella foresta aspra e cupa, l'uccellagione è una festosa manifestazione dei paesi mediterranei, che si svolge in un'atmosfera da egloga. Per quanto le ragioni dei cacciatori si ammantino di concetti elevati, come appare in questi brevi cenni, non crediamo tuttavia che abbiano una irresistibile forza persuasiva. Né erodo valga la pena di applicare qui le scoperte della psicologia moderna sui sentimenti bivalenti. Ammettiamo pure che la caccia si fondi su istinti atavici, dal mommito che risale fino alle origini dell'uomo Ma se il richiamo agli istinti fosse una giustificazione dove andremo a finire? Mentre ogni civiltà si fonda sulla repressione di essi e si esprime sollevandosi al disopra dello stato di natura. Come osservano i protezionisti, il punto debole dei cacciatori è quello di comportarsi come se l'istinto della caccia fosse insopprimibile e di com miserare gli animali che ucci dono quasi fossero le vittime di un ingranaggio fatale, più forte di loro, e predisposto dai piani della natura. Ma è ovvio che le cose non stanno co sì. Molti non vanno a caccia e vivono lo stesso. C'è di più. Non hanno torto gli zoofili quando osservano che la caccia, allo spirito moderno, appare come una so pravvivenza di un costume passato, destinata a sparire come il duello, il rogo, la schiavitù eccetera. Essa si fonda sul concetto, che le ten denze più moderne del diritto avversano, che la fauna non appartiene a nessuno (res nullius). Non è vero che la fau na non è di nessuno, essa è di tutti, e non sembra giusto che una minoranza di appassionati sottragga al paesaggio il complemento degli animali allo stato libero, che tutti amano sentir cantare gli uccelli o veder saltare nei boschi i camosci, i caprioli. Alfredo Todìsco

Luoghi citati: Ascoli Piceno, Cuneo, L'aquila, Roma, Valdieri