Italia 1915

Italia 1915 Italia 1915 Di quello che è avvenuto in Italia allo scoppio della guerra europea ilei IU14 si sono scritte, dai protagonisti e testimoni, innumerevoli pagine e si potrebbe supporre che non vi sia più nulla da dire. In quel fatale « luglio 1014 » 1 responsabili del Governo, della diplomazia, delle forze armate italiani si trovarono in uiw stato di completo smarrimento di fronte al tragico problema di dover farle una scelta fra tre soluzioni: marciare a fianco delle alleate Germania ed Austria, rovesciare subito il sistema politico e passare al campo opposto, scendendo in campo con la Francia e l'Inghilterra, 0 stare alla finestra dichiarandosi neutrali. La decisione ultima, scelta dal governo come la più saggia, era spiaciuta come è noto ai nazionalisti più accesi che nel loro giornale, l'Idea Nazionale, invocavano la guerra con gli antichi alleati della Triplice, sperando con la vittoria, che credevano sicura, un grasso bottino coloniale a spese degli Inglesi e dei Francesi inesorabilmente sconfitti Alla decisione per la neutralità consentivano il ceto politico più responsabile c gran parte della stampa italiana, sia pure con valutazioni diverse e programmi discordanti. Tutto ciò è risaputo attraverso la vasta documentazione degli atteggiamenti assunti dagli uomini responsabili. Pure non tutto è noto neppure di loro. E' con interesse e con sorpresa che esamino in questi giorni l'archivio privato di Giuseppe Pontremoli, che fu direttore del giornale // Secolo nel periodo che va dal 1914 alla fine della guerra. Uomo di ingegno acu to, di cristallina coscienza, controllava la casa editrice del giornale cui apparteneva anche il Messaggero di Roma. Repubblicano, romagnolo, e come tutti 1 suoi conterranei, passionale, era una figura eminente della democrazia italiana, pur non essendo iscritto ad alcun partito ed avendo sempre rifiutato cariche politiche. Ma dominando due organi di stampa di larga diffusione mantiene relazioni con un numero stragrande di personalità politiche di tutti i partiti, che per ragioni diverse hanno qualcosa da dirgli o da chiedergli. Non è certamente priva di interesse, ad esempio, una lettera di Luigi Cadorna, forse l'unica che egli abbia scritto il 16 novembre 1917, otto giorni dopo avere lasciato il Comando Supremo. L'ultimo bollettino di guerra da lui firmato è infatti dell'otto novembre. E' una lettera desolata: «Ma iVcrollo è venuto subitaneo bensì, ma lontanamente preparato da cause remote e profonde che vanno ricercate nella vita nazionale dell'ultimo mezzo secolo ». A che esattamente alluda questo giudizio non è ben chiaro, sembrerebbe escludere però ogni responsabilità dei comandi militari nel disastro di Caporetto; la lettera chiude con parole di speranza « che la terribile lezione » abbia a portare i suoi frutti c « dalla meritata sventura abbia a germinare un'Italia quale noi l'avevamo sognata ». Né manca di sorprendere una lettera di Ernesto Nathan, sindaco di Roma, capo della Massoneria Italiana, che sempre è stata ritenuta la più tenace ispiratrice dell'intervento dell'Italia nella prima grand.: guerra. Ernesto Nathan scrive l'8 agosto 1914, approvando pienamente la dichiarazione di neutralità con le giustificazioni stesse che ne aveva dato Giolitti e raccomanda alla stampa democratica di non turbare l'opinione pubblica con critiche inopportune. Ecco le sue parole: « Non si meravigli se in questo momento di agitazione febbrile scrivo cose superflue. Ognuno sente tesa ogni facoltà per tentare nel suo piccolo di giovare alle patrie sorti tentennanti nell'urto formidabile fra le potenze. Per ventura la condotta inqualificabile dei nostri alleati ci giustifica nel non sorreggerli nella pazza criminosa avventura, ma — senza provocazione — non giustificherebbe lo schierarsi dall'altra parte! Dove siano le simpatie del Paese non è difficile indovinare; colle tradizioni nostre, è bene sia così. Ma non credo che sia bene abbiano luogo pubbliche manifestazioni. Una stretta neutralità rigidamente osservata non presenta il fianco a provocazioni, rafforza la nostra posizione qualunque sia l'esito del conflitto, ci giustifica nel provvedere per proteggere energicamente 1 nostri interessi da chiunque potessero essere vulnerati. «E perché scrivere per dire cose così evidenti? per una sola ragione; per interessare lei ed il sen Della Torre ( presidente della Società editrice dei giornali) a voler adoperare la grande e legittima loro influenza perché gli organi della stampa da loro controllata abbiano a mantenere ne; consigli, nelle notizie, negli ap prezzarrìcnti quella rigorosa nei' tralità che non si presta a sfavorevoli commenti né fra noi, né al di là della frontiera o meglio delle frontiere. Quando il diapason fosse dato dal Secolo, dal MnmprsppprshsstcsdlfctglpplnaRpcdsmflmpmaqlluIdqsdvpddcEafaedsSus Messaggero ecc. gli altri giornali vi si adatterebbero subito ». * * Ma l'invasione del Belgio, la minaccia che incombe sull'Europa di un dominio tedesco, hanno rafforzato le correnti interventiste che premono sull'opinione pubblica; molti che avevano approvato la neutralità, sono ora per l'intervento. Fra i più autorevoli emerge la figura nobilissima di Leonida Bissolati. Egli hi dell'intervento una visione superiore, avversa al « sacro egoismo » di Salandra. In molte lettere riferisce agli amici del Secolo il suo pensiero e le sue ansie che si acuiscono col passare dei mesi; siamo al 18 aprile 1915 la campagna interventista si è fatta più intensa; Salandra è convinto della necessità dell'intervento, sembra pronto ad un gesto di forza. Leonida Bissolati lo incontra e riferisce: 3 Mi parlò più apertamente di prima: la Germania sta facendo pressioni enormi. Il Re esita, ma la " Montencgrina " lavora per noi». (Si allude evidentemente ad una presa di posizione della Regina, di cui ben poco si sapeva). « Le intenzioni' dell'amico sono, se si trovasse ostacolato, di fare come Venizelos (egli stesso mi richiamò l'analogia col ministro greco) ». Eri noto fin da allora il conflitto fra il re di Grecia e il suo ministro, che lo aveva indotto a presentare le sue dimissioni in modo clamoroso. Salandra aveva adunque pensato di ricorrere a questo mezzo di pressione, qualora le esitazioni del Re dessero l'impressione di non escludere una soluzione transattiva con gli Imperi Centrali. Ma ciò che rende particolarmente interessante questa lettera di Bissolati è la visione che egli ha della natura dell'intervento italiano. Esso deve contribuire con tutto il suo peso alla vittoria delle nazioni democratiche e non essere quindi limitato nei suoi scopi alla conquista di Trenti e Trieste. Egli ha detto tutte queste cose a Salandra e scrive: « La guerra si accetterebbe di farla su larghe proporzioni e con aiuti marittimi dell'Intesa, senza escludere lo scambio di corpi d'armata o l'invio di forze nostre sui teatri di Francia e di Serbia. Non si farebbe insomma una guerra a scartamento ridotto per la sola occupazione di Trieste e del Trentino, ma si mirerebbe a Vienna. Il piano dello Stato Maggiore è appunto questo, ed egli me lo disse. Ma in quale momento? Egli intende la necessità di spicciarsi ». La lettera continua con un curioso programma di pubbliche manifestazioni da concordarsi per il vicino i° maggio. Bissolati sperava di poter venire ad un accordo con le forze socialiste ufficiali per una manifestazione che non mettesse di fronte interventisti contro neutralisti, ma che li riunisse con « il si gnificato di un augurio per l'av venire della civiltà e per le giustizie sociali ». E' evidentemente un'illusione die sfuma ai primi tentativi. Ma frattanto gli eventi precipitano e alla guerra si giunge nelle circostanze a tutti note, che purtroppo furono assi; differenti da quelle auspicate da Bissolati nella sua generosa illusione. Eucardio Momigliano HiIsJvcccnptssppficsftasqsfispptsSsKrifllimmillllllIMIUtNMIIIIIINIIIIIIIIIIIIIINIIIINIIIII