Umbria 1860 di Luigi Salvatorelli

Umbria 1860 Umbria 1860 Non è molto diffusa, al di' fuori degli storici professionali, k nozione che a Plombières, fra Napoleone III e Cavour, non si parlò soltanto della guerra all'Austria, del regno dell'Alta Italia (con relativi compensi alla Francia) e del matrimonio tra la principessa Clotilde e il principe Napoleone. E' un rifacimento totale della carta politica d'Italia quello che fu abbozzato, anche se poi non passò nel trattato d'alleanza formale. Per lo Stato pontificio è detto (traduco dalla famosa lettera di Cavour a Vittorio Emanuele): * Si conserverebbe al Papa Roma col territorio circostante. Il resto degli Stati del Papa con la Toscana formerebbe il regno dell'Italia centrale ». Le due proposizioni successive si integrano fra loro: e non lasciano dubbio che ? Plombières, nel luglio 1858, si previde esplicitamente quella liberazione dell'Umbria e delle Marche dal dominio clericale che si realizzò soltanto due anni dopo, nel settembre t86o. Riflettendo un poco su ciò, il noto movimento perugino del 14 giugno 1859, chiuso drammaticamente il jo a opera degli Svizzeri dello Schmid, e quelli contemporanei, più effimeri, di Città di Castello, Orvieto, Fossombrone, Jesi, Senigallia, Fano, prendono un significato più vasto. Tutti quei moti appaiono ispirati a una stessa idea, si iniziano secondo una stessa direttiva. E a questa unità di direttiva corrisponde anche, almeno in larga misura, l'unità di organizzazione. Non c'è dubbio che si fa capo a quella Società Nazionale di La Farina di cui fin allora (non dimentichiamolo) Giuseppe Garibaldi era l'astro più splendido, e che, in corrispondenza segreta e costante con Cavour, rappresentava l'altra faccia della sua politica: quella — non c'è altro termine — ri voluzionaria. Come Napoleone III, ma assai più intensamente, e indipendentemente da lui, all'occorrenza in contrasto con Tpddlmtvscsnmgimd«errnmdqpcded1ncvfgscseotpfrdupvc(qglui, anche Cavour aveva due po-'litiche, alternantisi e integrantisi I sfra loro. A Plombières non sono soltanto due uomini di governo eh? si incontrano, ma anche due dissimulati rivoluzionari. La rivoluzione dell'Italia centrale viene a inquadrarsi in questa duplicità della politica cavouriana-napoleonica: e detta rivoluzione, nella sua genesi e nella sua ispirazione, includeva le Marche e l'Umbria, alla pari delle Legazioni. C'è una curiosa testimonianza — non sfruttata, ch'io sappia, fin qui, sebbene edita cinquantacinque anni fa dal Mazzatinti nell'« Archivio storico per il Risorgimento Umbro » : quella di Angelico Fabbri, capo a Gubbio di una congrega liberale anteriore al iSjg, e in rapporto con Torino (certamente attraverso la Società Nazionale). Nel primo mese della guerra del '59 Fabbri ebbe contatti col marchese Gualtcrio — una specie di « padre nobile » del movimento patriottico nell'Italia centrale — e col generale Mezzacapo. Jl primo gli preannuncio un moto da Bologna a Cattolica, a cui avrebbero dovuto rispondere subito le Marche e l'Umbria, dichiarandosi per la guerra e per l'annessione al Piemonte. Mezzacapo, a Firenze, per incoraggiare Fabbri e i suoi ad agire nel senso indicato, gli prospettò l'appoggio delle truppe del principe Napoleone, che stava per arrivare in Toscana, nonché di quelle italiane che si organizzavano a Firenze. Fabbri si recò a Perugia, a parlare con Nicola Danzetta — di li a pochi giorni uno dei capi del governo provvisorio perugino —, poi a Pesaro, ove ebbe notizia che si preparava un moto per cui si contava sulla condiscendenza del delegato pontificio mons. Bella; tornò quindi a Gubbio, il cui magistrato promise anch'egli di ritirarsi. Il 20 giugno dissipò tutta questa trama; e il Fabbri credette bene rifugiarsi in Toscana, donde poi passò a Bologna, assumendo il comando di un battaglione di volontari (seguitò tuttavia ad ave/ rapporti col movimento umbro-marchigiano). Mezzacapo, a cu; egli manifestò la sua sorpresa che i moti umbri e marchigiani non avessero avuto dalla Toscani il rincalzo promesso, si scusò dicendo che Napoleone aveva cambiato da così (palmo della mano in alto) a così (palmo della mano in basso). * * E' un fatto che il programma d Plombières per le Marche e l'Umbria ebbe un arresto brusco ben prima di Villafranca. Cavour sfruttò politicamente il 20 giugno; ma nei quattordici mesi dal giugno '59 all'agosto 1860 si op- pos^ a qualsiasi movimento insurrezionale nelle due regioni, indigeno o importato che fosse. Le ragioni si comprendono facilmente: prima le annessioni dell'Emilia e soprattutto della Toscana da far accettare a Napoleone, poi l'azione di Garibaldi nel Mezzogiorno da tutelare diplomaticamente e da controllare, infine il pericolo che il moto dilagasse fino a Roma, contro i Francesi, gli facevano trovare inopportuno, anzi pericolóso, un moto insurrezionale nuovo contro il dominio pontificio. Non per questo egli pensò di soffocare il fermento rivoluzionario-unitario nelle due regioni; ma seguitò a promuoverlo, dirigerlo, frenarlo, in contrasto e in concorrenza con l'azione democratica mazziniana e garibaldina. Gli servì per questo la « Giunta superiore delle Marche e dell'Umbria », costituita in Firenze da patrioti esuli delle due regioni, ma in cui i Marchigiani sembrano avere una predominanza (dei perugini, il Guardabassi e il Danzetta sembrano quelli che vi ebbero più parte): preponderanza fortemente criticata e avversata, come egoistica, da eminenti patrioti perugini esuli. Basti citare Tiberio Berardi, ex-membro del governo del 14 giugno, che, andato a Torino, si adoperò colà a prò della causa perugina, a cui avrebbe voluto interessare Piemonte e l'oscana. Di codesta sua azione, rimasta forzatamente inefficace, avevamo già notizia dal Diario del Massari, il quale la commenta dicendo che nulla, allora, era possibile fare per Perugia. Nuove e più copiose notizie abbiamo ora non solo sul Bcrardi, ma su tutto questo mondo di patrioti perugini — diviso in due parti fra i rimasti in patria e quelli rifugiatisi nell'Italia libera — dalla recentissima biografia di un altro membro del governo provvisorio : Olga Marinelli, La vita e l'opera di Zefirino Faina, con prefazione di Carlo Faina (Vallecchi). La mancanza di spazio, e t il fren de l'arte », mi impedisce qui di soffermarmi su questa pregevole biografia di un insigne umbro, quasi mio compae- cnfetàcinggcpptogeèr—glaerbccinmvtm'sano (di Collelungo, presso Mar sciano), che nella sua lunga vita a a e o r l aggiunse alle benemerenze del patriota e del parlamentare'quelc dell'amministratore locale — fu consigliere comunale e provinciale e sindaco di iMarsciano — e soprattutto del grande agricoltore. Stando al mio soggetto, rileverò come il libro della Marinelli porti un valido contributo alla conoscenza dell'Umbria unitaria grazie soprattutto ai carteggi tratti dall'Archivio Faina. Poiché si tratta unicamente di lettere dirette al Faina, esse servono poco per la conoscenza della sua personalità politica: notiamo tuttavia che egli è designato da un corrispondente come l'unico dell'cx-governo provvisorio, in cui si ritrovi segno di vita. Fra questi carteggi le lettere a Zefirino Faina di Tiberio Berardi occupano il primo posto. Alle critiche della ricordata Giunta contenute nel carteggio Bcrardi si aggiungono, sempre in detta appendice, quelle di Carlo Bruschi. Altro materiale, per gli screzi fra patrioti e per giudizi personali anche crudi, si aveva già nelle pubblicazioni documentarie dell'« Archivio storico » ricordato sopra (che fu purtroppo di breve durata). Al disopra di ogni personalismo, mi par di vedere che nelle critiche entrasse per molta parte il so lito dissenso fra attivisti e tempo-1 reggiatori, fra governativi (monarchici o meglio ancora cavouriani) e democratici. E anzi, dai carteggi pubblicati da E. Verga nell'anno 1009 dell'Archivio si direbbe che negli ultimi mesi, veramente imbrogliatissimi, precedenti l'entrata delle truppe regie in Umbria e Marche, nella stessa cerchia dèlia Giunta supcriore — senza contare la concorrenza del Comitato democratico Dolfi, più o meno influenzato da Mazzini — si intravvede il contrasto fra chi è pronto al cenno d'azione di Garibaldi, e chi aspetta pazientemente Cavour. * * 1 Nonostante ogni critica e ogni j impazienza, a Perugia almeno (non ho dati per le altre città) ..„,., ■ . . si arrivo alla liberazione in buo-jni temperie morale. Illuminano ! su ciò le lettere di Giovan Bat tista Cherubini ad Annibale Vecchi pubblicate nell'Archivio del iou6. Notevolissima, in queste, la testimonianza, da una parte dello sfacelo morale delle truppe, pontificie in cui le diserzioni sono all'ordine del giorno, nonostante le legnate abbondantemente e brutalmente distribuite i quelli che venivano riacchiappati. Dall'altra, la dignità tranquilla, raccolta, con cui la po- ! P«lazioue perugina, e più particolarmente 1 ceti interiori, sopportano « la penosa vita del , . i a Limbo », come dice tcstualmen te il Cherubini, in attesa della ormai vicina liberazione : « que sto meglio che ormai si tocca colle mani deve raggiungersi, e non lo raggiungerà chi non ha fede, forza e costanza ». Dignità tranquilla, che durante il carnevale del 1860 si tradusse in astensione da balli e da allegrie: e quando gli ufficiali della guarnigione inscenano una festa carnevalesca, il giorno dopo la popolazione risponde con un pellegrinaggio commovente alle tombe delle vittime del 20 giugno. Codesta serietà morale non esclude la passione patriottica; è, essa stessa, passione trasfigurata. « Questa setta teocratica — scrive il Cherubini il 20 maggio '60 — è furente, conta sulla onnipotenza quasi sovrumana, e sfida ogni considerazione morale, ogni coercizione materiale, basandosi in un diritto di sua creazione, di cui non vuol riconoscere la decrepitezza e la incompatibilità colle eterne norme dello invariabile diritto divino ed umano ». Luigi Salvatorelli dtMducnprdlselaucbdd