Tre milioni di giapponesi scioperano ma l'imperatore approva il trattato di Paolo Monelli

Tre milioni di giapponesi scioperano ma l'imperatore approva il trattato re Jielie dimo sitaselo ni JVe*apH"ij,cideM#e Tre milioni di giapponesi scioperano ma l'imperatore approva il trattato Treni e teletoni bloccati dalla mezzanotte alle sette del mattino - L'agitazione meno massiccia del previsto - Scambiati fra Tokio e Washington gli strumenti di ratifica: il patto è entrato in vigore - Kishi annuncia che si dimetterà "(Dal nostro inviato speciale) Tokio, 22 giugno. Quello che doveva essere il più grande sciopero generale dalla fine della guerra in poi è cominciato puntualmente alla mezzanotte quando ben pochi dei cittadini potevano accorgersene: e alle sette del mattino ferrovieri, tranvieri, guidatori di autocarri, lavoratori delle Poste, dei Telegrafi, dei Telefoni avevano già ripreso il lavoro, avendo essi affermato già ieri che non ce l'avevano cogli onorevoli cittadini ma solo con Kishi, e ver non dare troppo disturbo agli onorevoli cittadini e non intralciare troppo i loro onorevoli negozi avevano scelto le ore di minor traffico per incrociare le braccia. (Qui, veramente, quando riposano incrociano le gambe: ma questa è un'altra storia). Non vi sono stati incidenti in nessuna parte della nazione: solo a Koltura gli studenti di guardia alla stazione hanno impedito la partenza di diciotto treni dopo le sette, dopo cioè che era scaduto il ter mine. Insomma lo sciopero si è sgonfiato presto, anche se vi hanno partecipato a turno tre milioni e mezzo di operai ni tre agli studenti ed ai simpatizzanti, fra i quali cinquanta mila bottegai in tutta la nazione che hanno serrato bottega. Se nel pomeriggio di oggi Kishi, come il re di Francia nel sonetto del Carducci, ha guardato il popolo dall'alto di una finestra della triste Dieta, si sarà rallenrato della sua fermezza a fare orecchie di mercante alle clamorose imposizioni di dimettersi. Osservando le dense schiere tumultuare due volte intorno all'edificio vociando, cantando, facendo trotterelli e corse veloci e danze del serpente, e non provare nemmeno per gioco a saltare oltre i cancelli indifesi od a guizzare traverso la difesa di fili spinati a grande distanza l'uno dall'altro,- almeno per dare un poco di lavoro agli annoiatissimi poliziotti assediati nel cortile interno. Dice Heine nel suo Bouch le Grand: < Du sublime au ridicule il n'y a qu'un pas, madame ». E davvero vedendo nel primo pomeriggio sui vasti viali che avvolgono la Dieta galoppare ragazzette dall'aria di sedicenni e ragazzi, poco più cresciuti, tenendosi per mano o sottobraccio in lunghe righe di quindici o venti, dietro bandiere rosse magari, del rosso ufficiale rivoluzionario, ma agitate da allegrissimi alfieri, scandendo ingiurie ridicole, strillando per la gioia della corsa e dell'essere così padroni indisturbati di tanta parte della città mi veniva fatto di pensare che ri vuol ben altro che questa gimeana sfrenata, questo adattare ad antichi canti popolari parole di scherno, o marciare al tempo di musiche di dischi che affaccendate ragazze ba dano a cambiare nell'interno dell'autocarro che precedeva ogni gruppo e da cui partivano gli ordini, ci vuole ben al tro di questa baldoria di stu denti in vacanza per rovesciare un governo e imporre la volontà del popolo Co di una parte di esso). A dire il vero, l'inizio della protesta non ha mancato di un certo pittoresco impegno almeno qui a Tokio. Studenti e operai dei sindacati hanno occupato ancor prima della mezzanotte la stazione centra le per tener d'occhio i ferro vieri, che non ciurlassero nel manico, e difendere gli scioperanti da eventuali attacchi delle squadre dell'estrema destra. Folte colonne entravano l'una dopo l'altra nel grande atrio dietro grandi bandiere, fra gli applausi dei primi arrivati cantando l'Internazionale Poi le bandiere erano appese ad un trofeo nel centro giovani stendendo con meticolosità al suolo fogli di giornale vi si stendevano sopra, sdraiati a leggere, o seduti in crocchio a conversare, a cantare, era un bivacco gaio ma composto (le ragazze erano in grande numero, mischiate ni ragazzi, ma nessuno metteva il braccio al collo o alla vita della vicina, contegnosissimi tutti e tutte) che poteva ricordare certe scene della guerra partigiana, non fosse 3tato l'incredibile aspetto adolescente dei gruppi studenteschi, quelli degli operai apparivano più maturi e più severi. Ogni tanto uno intonava col megafono un versetto dopo l'altro, e tutti gli altri gli rispondevano in coro con una certa cadenza che pareva recitassero le litanie. Solo nel più tardo pomeriggio, sotto la pioggia battente, f]\le colonne della seconda on- n r i i a i e i o a e i a i o i o a l i o e , e e a, n a n ni a a mi ra o ni, o ni ao, aao ge, data che marciavano verso un rosso ardente di tramonto fuori del tendone delle nubi, avevano qualcosa di fiero, non vorrei dire di minaccioso, compatte, serrate, composte di gente meno giovane o matura, e madri con il bimbo sul dorso, e genitori che si tenevano in mezza per mano il figliolo grandicello, e donne vecchissime, vecchi dall'aspetto di antichi soldati, tutti stretti sotto gli ombrelli, cantando nuovi e antichi canti di marcia. Si aveva il senso di una volontà popolare che si esprimeva con fermezza e impegno, con la coscienza delle libertà democratiche finalmente conquistate* e il timore di essere presi dentro ad una guerra non voluta per gli interessi di un potente amico alleato, resa più eloquente da un'evidente mescolanza di classi sociali. Sfilavano gruppetti squallidi di gente di campagna o di sobborgo, quasi spauriti nel tumulto cittadino — e giovani tutti indossanti una giac gdchetta nera perché essendolinsegnanti pareva loro disdi' cevole scamiciarti come gli altri e si davano di gomito fra gli studenti gli allievi del più aristocratico collegio del Giappone, dal quale uscirono il principe Akihito e aiti membri della Casa reale, c quelli che avevano la fronte bendata di un fazzoletto rosso e cantavano l'Internazionale co]\me una preghiera. (<Non siamo comunisti — ■mi disse uno che cianciugliava un poco di inglese — siamo contro la Russia e contro l'America e contro tutti, siamo al di sopra della mischia, vogliamo creare un mondo immune dalle concezioni dei vecchi a qualsiasi fede appartengano»). Come al mattino, le colonne giunte davanti all'ingresso principale della Dieta facevano evoluzioni e spiccavano la corsa e prendevano diverse direzioni; e nel contrasto delle diverse córrenti che si venivano incontro ma non si confondevano perché tenevano tutte rigorosamente la destra mi colpì un uomo che faceva colonna per sé solo ed andava contro corrente tenendo fra due dita della mano alzala un cartellino scritto non più grande di una cartolina. Poi scese il buio, si n-\accesero lampioncini colorati ed i grandi fanali issati su antenne di bambù; e i dimostranti ormai sfiatati dai canti, dalle corse, dai galoppi, dagli urli, cominciarono a disperdersi, scesero ad ingombrare il centro con i canti orwiai arrochiti e le bandiere arrotolate. Mentre il popolo, o una parte di esso, si apprestava iernotte alla descritta baraonda, l'Imperatore ha apposto il suo sigillo imperiale al documento che ratifica il nuovo patto di sicurezza fra gli Stati Uniti ed il suo Paese — e ormai tutto è pronto per lo scambio delle ratifiche fra il ministro degli Esteri Fujiyama e l'ambasciatore americano Mac Arthur. E contemporaneamente al grido di decine di migliaia di bocche, c Non vogliamo il patto di sicurezza », < Al fuoco il patto di sicurezza », iJ capo dei socialisti Asanuma, intervistato oggi da un redattore del grande giornale Asahi (cinque milioni di copie), ha dichiarato che se il partito so cialista dopo le prossime eie lzioni (non prima della fine di ottobre) arrivasse al potere, non potrebbe né avrebbe la facoltà di denunciare unilateralmente il patto di sicurezza coll'America — ma cercherebbe di riprendere da capo le trattative armonizzandole con il patto d'alleanza e d'amicizia fra la Cina comunista e la Russia e le clausole di esso che hanno di mira il Giappone; ed è sicuro che tanto Mosca quanto Pechino sarebbero felici di rinunciare a quelle clausole se il Giappone potesse a sua volta rinunciare a legami militari con altri paesi. Paolo Monelli

Persone citate: Akihito, Bouch, Carducci, Heine, Mac Arthur, Treni