Quanti sono i disoccupati? di Ferdinando Di Fenizio
Quanti sono i disoccupati? Quanti sono i disoccupati? Le discussioni (frequenti in questi giorni anche sulle nostre colonne) sulle statistiche riguardanti la disoccupazione italiana, sono valse a chiarire alcuni punti che importa riassumere. Primo. In Italia, le fonti statistiche sulle quali ci si suol basare, per giudicare del numero de?, disoccupati, sono due: la prima (amministrativa), curata dagli uffici periferici del Ministero del Lavoro, è ancorata alle rilevazioni degli iscritti agli uffici di collocamento. Riguarda tutto l'universo, come si suol dire in linguaggio appropriato. La seconda, effettuata con il metodo del campione, proviene dall'Istituto Centrale di Statistica ed è squisitamente economica, nelle sue definizioni. Secondo. I dati offerti dall'una e dall'altra rilevazione statistica, per quanto disformi, vanno già oggi ragionevolmente d'accordo, effettuate le necessarie correzioni dei dati ultimi, per tener conto dei divari nell'uno e nell'altro campo di osservazione. Comunque, sia il Ministero del Lavoro sia l'Istituto Centrale di Statistica continueranno gli sforzi in futuro, per migliorare l'attendibilità dei dati. In tal modo fra non molto si potrà con fiducia avere, sull'andamento della nostra disoccupazione, dati attendibili. Sarà sempre possibile ben inteso rendere le rilevazioni campionarie (oggi trimestrali) più frequenti: ciò che permetterà di approfonr dire la stagionalità di questo fenomeno; e del pari sarà sempre possibile estendere quelle rilevazioni a certe particolari categorie di « senza lavoro » (disoccupazione intellettuale) od anche al disoccupati di talune regioni economiche (disoccupazione alpina o appenninica; disoccupazione sicula o sarda, ecc.). Tuttavia, fra non molto, ciò che si potrà fare per una corretta valutazione della disoccupazione nazionale in Italia sarà stato compiuto. Ed il nostro paese vanterà statistiche, in questo campo, non più imperfette di quelle francesi, tedesche od inglesi. * * Possiamo allora sperare di possedere, fra non molto, dati sui disoccupati che ci permettano di giudicare, con prontezza, dell'efficacia di una certa azione economica, per l'appunto intesa a ridurre la disoccupazione ? Molti in verità si pongono questo interrogativo e lo chiariscono argomentando che, in assenza di eventi per. turbatori (come ad esempio le migrazioni da e per l'e stero, del resto seguite a loro volta statisticamente) si dovrebbe giudicare prò prio dalla cifra dei disoccu pati sull'efficacia di una po litica anticiclica, in Italia se essa fosse concepita e realizzata allo scopo di curare il principalissimo male di cui soffre la nostra economia. Orbene, per evitare delu sioni in futuro, vorremmo far osservare che se questa speranza è ragionevole in si stemi economici i quali possiedono soltanto una disoccupazione di tipo frizionale o congiunturale, essa non è affatto ragionevole, in Ita lia, la quale possiede una di soccupazione anohp struttu rale: in grado addirittura di essere non solo combattuta, ma esaltata (entro certi limiti) da una politica di lavori pubblici. Ciò si comprese in seguito alle due magistrali inchieste parlamentari sulla disoccupazione in Italia, che si intitolano agli on. Tremelloni e Vigorelli. E' posto in luce dallo stesso esperimento Vigorelli di piena occupazione, compiuto in Italia nel '54-55. E' infine ricordato in pubblicazioni della Svimez, un centro per lo studio dei problemi dell'Italia meridionale, che va da anni lodevolmente compiendo l'ufficio suo. Sarà facile pertanto a noi chiarire in qual modo ciò possa succedere. * * Dapprima alcuni concetti. E' detta popolazione attiva (concetto demografico) la popolazione di un sistema economico, compresa fra certi limiti di età. E' detta per contro forza di lavoro, quella parte della popolazione attiva che è occupata; oppure che, essendo stata occupata, ha perduto l'occupazione ; oppure che ricerca una prima occupazione. Il concetto di forza di lavoro è dunque economico ed ha un chiaro contenuto volon tèldcidgvsmcrsmLpodzflfsmddqlsppsmalvcsclzEa taristico. La disoccupazione è poi la parte della forza di lavoro, appartenente alle due ultime categorie, dianzi citate. Quando si aggiunga che in Italia si ha un notevole divario, specie nel Mezzogiorno, fra popolazione attiva e forza di lavoro, si è sulla via di comprendere come (almeno in questo decennio) una politica di lavori pubblici possa da noi non solo combattere, ma incrementare la disoccupazione. La combatte creando nuovi posti di lavoro, debitamente occupati. La esalta, diffondendo i desideri di occupazione in molti, prima non facenti parte della forza di lavoro. La disoccupazione femminile, rilevata dalle statistiche, è così notevolmente aumentata nel Sud, dopo l'esperimento Vigorelli di piena occupazione, in quattordici Comuni. Per un altro verso poi, le cifre dei disoccupati sono sospinte verso l'alto da una politica di lavori pubblici: perché quest'ultima vale a sottolineare divari fra rimunerazioni agricole e non agricole. Induce molte unità lavoratrici agricole ad iscriversi fra i non occupati. Le cifre finali, rilevate dalle statistiche, ne risentono. * * Dobbiamo da ciò inferire che sia inopportuno in Italia lottare contro la disoccupazione? Neppure per ombra. Eliminare questa nostra « piaga sociale » resta il principalissimo fine d'una azione economica, meditata e ragionevole. Si vuol sol tanto avvertire che la stra da per eliminare una disoc cupazione strutturale è mal to più lunga di quanto i più non ritengano. Passa attraverso non solo un'espansio ne notevole dei posti di la voro, mediante processi di industrializzazione; ma anche attraverso una miglior qualificazione della manodopera su base professionale. Non riguarda purtroppo soltanto il milione e mezzo di disoccupati oggi censiti; ma anche le « riserve di manodopera » offerte dalla sottoccupazione agricola e dal divario fra popolazione attiva e forza di lavoro. Ferdinando di Fenizio
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