Mussolini decise l'intervento credendo che la vittoria fosse "matura,, di Paolo Serini

Mussolini decise l'intervento credendo che la vittoria fosse "matura,, ' I successi dei tedeschi avevano esaltato le ambizioni dei gerarchi Mussolini decise l'intervento credendo che la vittoria fosse "matura,, Anche il re ne era convinto; alcune settimane prima aveva detto al gen. Puntoni: «Gli assenti hanno sempre torto» Nessun capo militare si oppose al dittatore - Badoglio tentò un breve rinvio per salvare i 200 mercantili in navigazione - Risposte «sprezzanti» agli appelli di Churchill, Roosevelt e del Papa - «IL solo pericolo è di arrivare tardi» Come abbiamo di recente avuto occasione di ricordare, la decisione di entrare in guerra venne presa da Mussolini il 10-11 marzo 1940, durante la visita a Roma del ministro tedesco degli Esteri, von Ribbentrop. E venne da lui riconfermata otto giorni dopo, nel suo incontro al Brennero con F'tler. Fu una decisione improvvisa, che in quel momento nessun fatto politico o militare nuovo valeva a giustificare. Le forze franco-inglesi erano ancora intatte; la guerra si presentava pur sempre lunga e di esito incerto; e lui stesso, Mussolini, pur escludendo ormai la possibilità d'una pace di compromesso, non stimava probabile una prossima offensiva tedesca sul fronte occidentale (dell'imminente attacco alla Danimarca e alla Norvegia, di cui Hitler al Brennero si guardò bene dal fargli parola, egli non aveva il menomo sospetto). Anzi, come risulta dal suo promemoria del 31 marzo al re, a Ciano e ai capi militari italiani, era portato, « a rigore di logica », a escluderla. « Tra la guerra di attacco e quella di resistenza », gli appariva probabile che la Germania scegliesse la seconda. Ma, pur essendosi ormai risolto per l'intervento, Mussolini non pensava però a un intervento immediato. A Hitler dichiarò anzi che l'Italia sarebbe scesa in campo quando la Germania avesse creato « con la sua azione bellica una situazione favorevole ». In sostanza, egli'pensava (e sperava) di poter ritardare l'intervento sino al 1941. Furono le clamorose vittorie tedesche prima, nell'aprile, in Norvegia e nel Mare del Nord, poi, nel maggio, in occidente, a spingerlo a stringere i tempi. Soprattutto le seconde. Che le operazioni in Scandina via, pur confermandolo nella sua « certezza della vittoria germanica », gli sembravano aver « allontanato il centro e la soluzione del conflitto ». Ancora il 20 aprile, dichiarava a Ciano che « non avrebbe fatto sptgnavldcadcaLc««crscCglnqvml«rrslrnes«epct«vavdrpcvgctssfi1va«rlnng•Iparlava addirittura della « primavera del '41 ». Invece, dopo l'attacco tedesco sul fronte occidentale, non ebbe più esitazioni né freni. Già il 10 maggio, ossia il giorno, stesso del suo inizio, egli (narra Ciano) segnava « sul suo calendario una data verso i primi di giugno ». Il 13, dichiarava al genero: « Qualche mese fa ti dissi che gli alleati hanno perso la vittoria, oggi ti dico che hanno perso la guerra... Non abbiamo più tempo da perdere. Entro il mese dichiaro la guerra ». E il giorno successivo : « Non è più questione di mesi: è questione di settimane e forse di giorni ». La vittoria era ormai a portata di mano; e il solo pericolo era di arrivare troppo tardi, e di restare « del tutto soli, con null'altro nelle mani che un pugno di mosche ». Nemmeno un momento Mussolini fu sfiorato dal timore che il conflitto potesse prolungarsi o prendere una piega diversa. Egli non ragionava più; non soppesava più le varie possibilità politiche o militari: scalpitava di convulsa impazienza. Ad alimentare questo suo stato d'animo molto contribuivano, d'altronde, i frequenti messaggi di Hitler: abilmente composti in modo (ha osservato giustamente la Wiskemann) da « eccitare i suoi appetiti e da spingere sino alla fre nesia il suo desiderio di dar fuoco alle polveri », pur lasciandogli l'illusione di restare arbitro delle proprie decisioni. In tali condizioni, niente e nessuno avrebbe più potuto arrestarlo sulla, china della guerra. E gli estremi tentativi o appelli del governo francese, di Churchill, di Roosevelt (quattro messaggi in nemmeno un mese), del Vaticano, non servivano che a eccitarlo ancor di più e a procurargli la vanitosa soddisfazione di replicar loro con risposte « secche » o « sprezzanti ». D'altronde, via via che i giorni passavano e il successo tedesco prendeva proporzioni strabilianti, anche le scarse resistenze interne si andavano sempre più affievolendo; e cresceva, invece, nell'entourage del du ce e nel mondo politico fa r a e o a e e i a A e n a a ) l l . e o l 0 o o scista « la corsa affannosa per prendere le tessere retrodatate d'interventismo, di germanofilia e simili ». Ciano aveva ormai rinunziato a resistere: tra l'altro, aveva dovuto sostituire a Berlino l'ambasciatore Attolico, divenuto inviso ai Tedeschi, con Dino Alfieri e temeva anche per il fuo portafogli di ministro. E Grandi — che, soprattutto da quando aveva dovuto abbandonare Londra, faceva la fronda — confessava il 20 maggio, « con aria drammatica », di « aver tutto sbagliato » e diceva che bisognava « prepararsi ai tempi nuovi ». Quasi nessuno era disposto a condividere l'opinione di Ciano che « il cavallo bisogna misurarlo sulla corsa lunga » e che quella corsa nessuno poteva immaginare quanto sarebbe stata lunga. Anche il re, sebbene sfavorevole all'intervento immediato e convinto che l'opinione pubblica gli fosse « nella sua grande maggioranza avversa », era ormai rassegnato. Attribuiva bensì « molta importanza all'eventuale intervento americano » ; stimava un'illusione che la guerra dovesse essere breve e facile; pensava che restassero ancora « molte incognite » ; ma non era disposto a lottare e a puntare i piedi. Anche perché era più che mai convinto che Mussolini avesse « una gran testa ». E temeva anche lui che si avesse a perdere un'occasione favorevole: « Gli assenti — disse il 15 maggio al generale Puntoni — hanno sempre torto ». D'altronde, più che il problema dell'intervento lo angustiava in quei giorni quello del supremo comando delle forze armate : che, statutariamente, spettava a lui, ma che Mussolini reclamava per sé (egli finì con l'affidarglielo, il 1° giugno, sia pure di malavoglia e con una formula apparentemente restrittiva: « comando delle truppe operanti su tutti i fronti »). Quanto ai comandanti mi litari, che conoscevano la nostra impreparazione (e non avevano mancato di segnalarla a Mussolini), nessuno fece opposizione all'in •Itervento. (Perché la faces a , é , l e i n ro ù e se mosso in qualche guisa il re). Badoglio scrisse più tardi, nel 1946, nel suo libro su L'Italia nella seconda guerra mondiale, che il 26 maggio, in un colloquio con Mussolini, dopo avergli fatto ancora una volta pre sente « la nostra assoluta impreparazione », aveva de finito l'intervento « un suicidio ». Ma di tale colloquio non si ha altra conferma ; e lui stesso non ne fece cenno in una relazione sugli avvenimenti che precedettero la nostra entrata in guerra, scritta nel 1940. In ogni caso, dal verbale di una riunione tenuta il 29 maggio tra Mussolini e i crftgcgscgtappcdmbtzuIllllllf IIIIIIIIllllllllllIlllt(lltlllllllllItlilllllllllll capi di Stato maggiore non risulta che qualcuno abbia fatto obiezioni all'intervento, ormai previsto per il 5 giugno. (Mussolini ne dette comunicazione a Hitler il giorno successivo, e solo su sua richiesta consentì a procrastinarlo sino al 10 giugno). Badoglio tentò soltanto di ottenerne il rinvio al mese di luglio: allo scopo di evitare la perdita di più di duecento navi mercantili in navigazione fuori del Mediterraneo e di poter mandare altro materiale in Libia; e altrettanto fece il giorno dopo Balbo: entrambi, del resto, senza successo. Così, in un'atmosfera che era a un tempo, da una parte, di frenesia e di ubriacatura, dall'altra, di rassegnazione, ci si avviò verso il 1vmmspztdacfcstuiiriiiiiiifiiiEJiiiir lEiiiiiiEiiiiiiiitiiiiiiiiiiMiii 10 giugno. E verso un intervento cui non solo si era militarmente impreparati, ma in vista del quale non si era nemmeno studiato un piano adatto alle circostanze. Con il proposito anzi di tenere anche nei confronti della Francia, che pur era alla vigilia del collasso, « un contégno assolutamente difensivo ». Tanto, — pensava Mussolini, — le sorti del conflitto erano ormai decise. E si trattava solo di partecipare, senza troppi rischi, ai frutti, quasi maturi, della vittoria. Con quali e quante sofferenze e rovine gli italiani dovessero poi pagare queste fatue illusioni, è a tutti noto; anche se non tutti amano oggi ricordarlo. Paolo Serini iiiiiiMiiilliiiiitiiiiTitiitiijiiiiriiiifiTiiTiiiiiiiiiiii