A Lisbona gli occhi e le orecchie godono infine una dolce vacanza di Enrico Emanuelli

A Lisbona gli occhi e le orecchie godono infine una dolce vacanza IL PORTOGALLO SE NE VIVE IN DISPARTE A Lisbona gli occhi e le orecchie godono infine una dolce vacanza Anche qua, come a Milano, una zona del centro è sottosopra perché costruiscono la metropolitana - Anche qua hanno aperto vie e viali di aspetto sud-americano - Ma la vecchia e originaria fisionomia della città non è stata intaccata - Qualche giovane si lagna: «Non succede mai nulla. Siamo nella repubblica della monotonia » - Ma in una capitale che ignora lo spogliarello e la luce al neon, la gente «ha i nervi a posto » - Si dedicano un po' tutti all'austerità: finanze sorvegliatissime, niente affari rischiosi - Vi si trova il ricordo di un tempo che noi abbiamo dimenticato (Dal nostro inviato speciale) Lisbona, giugno. Dicono, ed è anche vero, che gli articoli di colore hanno fatto il loro tempo, più nessuno li legge o, se uno li legge, spesso si annoio. Ma da quando mi trovo a Lisbona provo il desiderio di scriverne ancora uno, e proprio I perché Lisbona non pretende d'essere descritta attra- j verso il colore, non pretende j di diventare soggetto per un 1 articolo di bravura. Il suo fascino è tutto qua: d'essere una città viva e, nello stesso tempo, vecchiotta, ma con una punta di civetteria simpatica perché non sa d'averla, di mostrarla e di sfruttarla. Mi dice l'amico, che da quindici anni sta qua e lavora in mezzo ai portoghesi: < Guarda che sono onesti, semplici, ma suscettibili. Per esempio: tu non parli porto- ghese e non cercare di aiutarti con quel poco di spugnuolo che credi di sapere. Sarebbe un passo falso ». Con questo consiglio vado incontro alla città, che per me è nuova, e subito m'accorgo che non esiste davvero nessun desiderio di poliglottismo anche lasciando da parte la questione psicologica mente delicata dello spagnuolo. Da noi tutti si 'piccano di farfugliare qualche parola di francese, di inglese, di tedesco. Il portiere dell'albergo, il portatore di bagagli, il cameriere, i ragazzini di Venezia di Roma di Genova di Napoli si rendono utili, 0 magari fastidiosi, in diversi idiomi. Qua non succede nulla di tutto ciò ed è la prima cosa che dà la sensazione di ritrovarsi in una città non tanto pronta alle contaminazioni e alle confusioni. E ho subito notato un'altra cosa. Mentre da noi si è soliti mostrare interesse per le parole straniere, qua il cameriere o il ragazzino dell'albergo o il guidatore di tassì quando ha capito che cosa volete pretende subito di insegnarvi come dovete dire in portoghese per avere quel che desiderate. Velocemente l'atmosfera e il carattere di Lisbona si precisano infatti all'occhio dello straniero in chiave soltanto portoghese, voglio dire senza nessun ingrediente preso in prestito altrove. Da noi alcuni angoli di città, alcuni pezzi nuovi di paesaggio, l'architettura, l'arredamento, molti modi di vita e i nostri ragazzi vestiti in una certa maniera sappiamo bene da dove vengono. Qua, invece, quasi tutto è rimasto fermo su un giudizioso piede di casa, racchiuso in un senso della misura e, persino, del pudore. Dopo due giorni di vita a Lisbona dico queste cose al mio amico che vi abita da quindici anni e lui sorride e vorrebbe sapere in che modo le ho capite. Sorridendo anch'io gli rispondo: <Ma basta vedere i lustrascarpe, che girano nei caffè, da un tavolino all'altro. Rivedo quelli spagnuoli, famelici, prepotenti, insistenti, risento il col- i l a aa a a e a o rn ua é o a, moo io I po della spazzola che batte sulla cassetta piena dei loro arnesi e ricordo come ti guardano, quasi volessero farti capire che se non accetti la lucidatura che ti offrono, sei proprio un pezzente. E invece, questi lustrascarpe portoghesi sono silenziosi, dolci, educati, appena appena ti fanno un cenno col capo e se tu non vuoi il loro servizio se ne vanno via buoni, silenziosi, educati e non ti giudicano ». Uno risposta più generica, ma più impegnativa, a quel mio ritrovare nell'animo dei portoghesi un giudizioso piede di casa, un senso della misura e, persino, del pudore porta il discorso da un'altra parte. Si dice allora che il Portogallo ha un ricordo di grandezze passate; che da molti anni vive quasi in disparte, non scosso da vicende di guerra, non terremotato da vicende interne; che, persino, è geograficamente isolato, tra una Spagna sorniona e il silenzio dell'oceano. Ma, tutto sommato, anche se capisco che tale risposta può essere giusta, non serve a spiegare quel che succede in questa piccola parte d'Europa. Certe mode, certi desideri di vita, certe velleità e certe vanità si verificano e si manifestano per questioni di carattere, così come tutti possono vedere da noi e non soltanto sulla scia di vicende nazionali o internazionali. Ripenso alla confusione visiva delle nostre città, invase dai manifesti murali, assalite dalla pubblicità, percorse da richiami d'ogni genere; e ripenso alla confusione auditiva delle nostre città, con i caffè spadroneggiati da monumentali juke-boxes, da televisori, da apparecchi radio, con le strade dominate dal guizzo delle motorette. A Lisbona ■ occhi e orecchie stanno in pace, godono finalmente una piacevole vacanza e se non avessi il timore d'essere frainteso dai suscettibili lisbonensi potrei dire: « Era così ' anche da noi, ma prima, molto prima della guerra*. Anche qua, come a Milano, una zona del centro è sottosopra perché costruiscono la metropolitana, ■•• anche qua hanno aperto vie è viali nuovi, di aspetto un poco sudamericano, anche qua hanno creato piazze tanto vaste, che il pedone le guarda con sgomento, ma la vecchia e originaria fisionomia della città non è stata intaccata. D'altra parte sarebbe impresa non realizzabile perché si tratterebbe di spianare centinaia di strade, di stradettc, di vicoli, di passaggi. Girare in auto od in tram per Lisbona è come fare una lunga, corsa in ottovolante, si sale e si discende senza mai un attimo di interruzione, senza mai tirare il fiato una volta: ad ogni culmine la città si presenta come da vn belvedere e voi fate appena in tempo ad averne una visione, che subito l'auto o il tram si butta giù per una discesa. Non per nulla Lisbona è una città ricca di funicolari e di ascensori: si sale o si discende da una strada all'altra come si fa in una nostra qualunque casa tra un piano e l'altro (e, certe volte, gli ascensori vi portano sui tetti delle case, hanno pontili che vi scaricano nei punti più impensati). Mi dice l'amico, che guida iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiitiia all'italiana una piccola seicento; « Anche a questo salire e scendere ci fai l'abitudine ». Sarà senz'altro così; ma vedo che, certe volte, il guidatore deve innestare la prima per superare una salita o deve tenerla innestata perché faccia da freno in una discesa: e come se la cavino i manovratori dei tram, senza slittare con le ruote sulle lucide rotaie, non lo so, ma so che nel carrozzone, quando s'impenna o si inchina come un vagoncino di toboga, l'equilibrio è difficile. E' questo l'unico colpo di colore che Lisbona si permette d'offrire allo straniero. Per il resto pare che faccia apposta nell'offrire soltanto immagini di poesia gozzaniana, tutta roba di colore grigio, di antica tradizione, in una specie.di curiosa modestia. Se si viene in contatto con qualche giovane, che magari soffre perché Malaparte è autore proibito, sentirete lamentele di questo tipo: <Ma qua non succede mai nulla. Siamo nella \ repubblica della monotonia*. Rimango, per ora, all'epidermide della città nella quale vivo da qualche giorno: le sue vetrine, anche nella rua Garret, che è la più elegante e vivace, sono preparate con la pazienza artigianale di una volta e i manichini femminili hanno un tipo di bellezza che passerebbe inosservata anche da un seminarista. Di mattino vedo per strada venditrici di semplici fiori campestri, sono proprio mazzetti da niente, ma molto patetici. Di notte, in un locale frequentato quasi soltanto dagli stranieri, i numeri di varietà sono di bonario e ingenuo folklore. Mi aveva detto il mio amico, il primo giorno: < Vedrai, è gente con i nervi a posto ». In questa capitale, che non conosce ancora gli spettacoli di spogliarello, che accoglie i cantanti urlatori, ma non li imita, che va a letto presto, che quasi ignora l'uso della luce al neon, che non ci tiene ad avere grattacieli, che non cerca di essere moderna nelle apparen- ze, c'è il ricordo d'un tempo che noi abbiamo dimenticato. Non so se quello che vedo in questi primi giorni è soltanto una scorza, o se è vero anche nel profondo e valido per tutto il paese. Ma spesso una capitale senza volerlo rispecchia un modo di vita morale e pratico, che è poi quello di tutta la nazione. Direi così, al primo colpo d'occhio, che il Portogallo ha inaugurato molto prima di altri quel clima che corre sotto l'etichetta, della austerità. Sono in un paese di finanze pubbliche sorvegliatissime (mi hanno detto: < S'informi di quanto è pagato un ufficiale dell'esercito, vedrà che guadagna la metà della metà d'un suo collega italiano-»), sono in un paese attaccato alla realtà e non ai sogni (mi hanno detto: « Qua è inutile proporre grandi, ma rischiosi affari perché anche i più arditi non vogliono avventure *), sono in un paese che si batte per vincere la piaga dell'analfabetismo (mi hanno detto: < La polizia ha molto da fare, ma questo perché deve sorvegliare se i genitori mandano a scuola i ragazzi »). Nei primi giorni, l'amico ritrovato dopo molti anni a Lisbona, e che mi faceva gli onori di casa, mi condusse anche a visitare il castello di San Giorgio facendomi attraversare il quartiere dell'Alfama, che è un miscuglio di carrugi genovesi e di angiporti napoletani. Nei cortili del castello, su molte sue ter-, razze, ho visto troppi pavoni bianchi, che sono tra i più pregiati.- Molti fanno la ruota: le penne a ventaglio, inalberate nell'aria, inutilmente pieni di trionfo; e così, con quel ventaglio aperto sul deretano, i pavoni con sussiego si girano a semicerchio, da destra a sinistra, e poi da sir nìstra a destra, insomma si pavoneggiano. Perché Lisbona sopporta questi pavoni? Ecco un animale che contrasta col buon senso, con la misura, col pudore dei portoghesi. ' Enrico Emanuelli

Persone citate: Malaparte