Stamane si inaugura al Valentino l'esposizione d'arte della Promotrice di Marziano Bernardi

Stamane si inaugura al Valentino l'esposizione d'arte della Promotrice Stamane si inaugura al Valentino l'esposizione d'arte della Promotrice Vi partecipano trecento pittori con seicento opere - Particolare interesse per le « retrospettive» di Soffici, Menzio, Mino Rosso, e per la «postuma» di Gigi Chessa Comunque si voglia giudicare l'esposizione nazionale della «Società Promotrice, di Belle Arti > che s'apre stamani nella sede del Valentino — e si potrà rinnovare il solito lamento delle troppe presenze, quest'anno quasi 300 espositori, e della non abbastanza rigorosa selezione delle opere che sono circa 600 — resta il fatto che questa grossa mostra acquista un suo titolo di nobiltà e riveste un particolare interesse per ie tre folte < retrospettive > dei viventi Ardengo Soffici, Francesco Menzio, Mino Rosso, e per la commovente « postuma > di Gigi Chessa, scomparso nel '35 non ancora quarantenne. Dell'aver saputo cosi opportunamente qualificare su un piano di reali valori estetici e culturali una rassegna che spesso rischia di scivolare nella monotonia, va data schietta lode agli organizzatori. Soffici: nome famoso ai pittore- e scrittore, legato a tutte le ricerche figurative e letterarie italiane nel primo ventennio del secolo (si ricordi La Voce, Laccrba, la rivelazióne di Medardo Rosso, la propaganda di Rimbaud), e alle lente scoperte nostre dell'arte moderna europea, specie francese da Corot agli Impressionisti, con scarso successo sollecitate dall'attività pionieristica d'un Vittorio Pica. Fu la vedetta d'avanguar die parigine, nel lungo soggiorno sulle rive della Senna, quando da noi si esaltava Sartorio ed i Dall'Oca Bianca, ma si trascuravi i Cézanne e : Modigliani Di questo passato di lotte e di polemiche, taluno osservando ì 29 dipinti del sempre battagliero toscano scelti con acume da Italo Cremona sarà peraltro sorpreso e quasi deluso dalla quiete uscita da tanto fragore. Gli è che quelli di essi compresi fra i Mietitori del 1908 (l'anno seguente il ritorno da Parigi) e le due nature morte ovali del 1919 in cui il bicchiere di vino denso e nerastro pare attinto dalla stessa botte che lo fornì a Cézanne per una celebre natura morta oggi al Louvre, ci danno il senso d'essere già « storia >, persino nei colori bassi e soffocati, tipici del Cubismo originario, e nei papiers collés del medesimo periodo, e nei pochi e svogliati, si direbbe, esperimenti futuristici. Negli altri, invece, di questi ultimi trent'anni, bene avverti la posizione del Soffici dichiarato, come Carrà, un «reazionaria» dalle presunte avanguardie odierne antiflgurative ed antinaturalistiche. Ed è il Soffici riconvertito alla religione antico, al luminoso mondo degli Impressionisti (vedere il Paesaggio del '39 con le ombre violette di Monet), maèstro di unità atmosferica nelle dolci chiarezze di Toscana. E' il Soffici per il quale Lionello Venturi, scrivendo della Biennale veneziana del 1926, diceva (ed oggi par quasi strano): « Girate tutte le 'sale, visitate tutti i padiglioni: 1 nomi di Carena e di Soffici ritorneranno insistenti alla vostra memoria... predominano su tutta la mostra, e rappresentano due aspetti diversi del nostro gusto migliore...». Allora, trascorso un terzo di eslivle«srhalosso1fatncrtcghtnmdsltlllspècc'lvfirttsibtggtcdarsecolo, si pensa al veloce cam-;mino delle idee, e al loro al- frettante rapido passar dalla vita e dall azione alla storia e al documento. Qui c'è il Soffi-|Q ci di qualche « simultaneismo » futuristico (Dio mio, come invecchiato! addirittura cadavere) e c'è il caro e bel Soffici dall'occhio e dall'animo aperto sui limpidi colli toscani, che proprio col poeta sembra ripetere, in accordo con eterni sentimenti: « Colli toscani e voi pacifiche selve d'olivi... ». Il primo, ridotto davvero al documento d'una polemica ormai esaurita, a un «interesse»' culturalistico; il secondo ancor vivo d'un amore che nemmeno la grave età ha sopito. Perciò, pc: gli stessi motivi, alle venti sculture che nel salone compongono la « retrospettiva» di Mino Rosso a testimoniare la vana seconda ondata — qui con opere dal 1927 al '32 — della retorica futurista, fanno contrasto le aristocratiche immagini, autenticamente spirituali, che nei medesimi anni andava creando, senza pretendere di rivoluzionare il linguaggio artistico e tuttavia fortemente contribuendo a rinnovarlo, il giovane Gigi Chessa. Nessuno ha mai negato al Rosso qualità di scultore e di pittore assai notevoli; ma proclamare, come fa il Marchiori presentando la mostra, ch'egli con questi esercizi puramente formali, « dava una lezione di civiltà europea » agli scultori italiani « per stadi e palazzi delle poste », è un andar con le lance contro i mulini a vento; solo che si rammenti che l'Ippolito Nievo d'Arturo Martini è del. '27, il Pugnatore di Francesco Messina del '30, il Giocoliere di Marino Marini del '32. La « civiltà europea » con¬ siste dunque soltanto nell'antinatura? Siamo più sinceri; diciamo francamente che fa comodo rintracciare nel Futurismo (prima e seconda ondata) varie pezze d'appoggio per giustificare, quale espressione di «civiltà europea», l'Astrattismo dilagato in Italia dopo il '45. Perché oggi si va a caccia di priorità, datazioni, fonti culturali, ecc. Che l'opera valga artisticamente, conta meno. Ma il discorso non s'adatta a Gigi Chessa, che se fosse vissuto sarebbe ora uno del maggiori maestri italiani. Si, i primi amori per Bosla, poi 11 fraterno consiglio di Carena, anche ad Anticoli, la suggestione fortissima dello Spadini (confrontare i toni perlacei della Maternità ch'egli vedeva in casa Gualino con le due versioni — due capolavori — del Riposo), il viaggio a Parigi, la presenza di Casorati, il gruppo dei « Sei pittori di Torino » da lui capeggiato... anche questi son dati e fonti: ma contano perché si riferiscono ad un risultato poetico, non a un'esperienza o ad una polemica. E Gigi Chessa fu e rimane il più incantevolmente « poetico » fra i pittori piemontesi della sua generazione, un perpetuo ispirato, d'una eleganza mentale affascinante, d'una delicatezza sentimentale pudicissima, per l'intero breve corso della sua esistenza. La sala che lo rievoca, dai motivi d'Anticoli del 1920, ancora un po' formalìstici, a quelle ultime Rose del '33 che già paiono un mesto congedo dalle vita, è davvero un grande dono di pittura, di una castità spirituale, d'una .coerenza dello stile raggiunto1nel progressivo splender della luce, che ristano esempio ammirevole di coscienza artistica. E' la coscienza estetica, la fermezza morale che non s'è mai smentita neppure in Francesco Menzio, la cui maturazione pittorica fu per. un decennio intonata a quella dell'amico Gigi, pur con le divergenze di due temperamenti diversi. Quali siano state in quarant'ahnl di lavoro le tappe del cammino pittorico di Menzio, a tutti è noto. .Qui, con questi 26 dipinti intitolati < Luoghi e figure » diciamo ch'egli ha raggiunto il traguardo della serenità. Qui tutto è luce -di idee-e chiarezze di colore, è visione serena del mondo, è conciliazione saggia dell'uomo con l'artista. Una sala dove si diventa ottimisti; e non è piccola offerta. Ed i quasi 300 altri espositori illustri od oscuri? Per una volta rinunzi amo al consueto elenco dì nomi, lasciando il giudizio al visitatori esperti. Marziano Bernardi

Luoghi citati: Anticoli, Italia, Parigi, Torino, Toscana