Il critico cinematografico

Il critico cinematografico Il critico cinematografico Viva commozione a Roma per la sua scomparsa • Giudice severo ed equo che tutti ascoltavano con rispetto - II turbamento di De Sica alla notizia (Nostro servizio particolare) Roma, 19 maggio. Stasera a Via Veneto lo scrittore Ennio Flaiano ricordava Mario Gromo con commozione, e diceva: <A Gromo non piacevano 1 compromessi, esprimeva le sue opinioni con chiarezza e poi le difendeva con energia, senza mai piegarsi a lusinghe o a patteggiamenti». E' intervenuto un altro scrittore, Ercole Patti, che da molti anni si Interessa di cinema come soggettista, critico, sceneggiatore. Ha detto: « Si, il povero Gromo era tutto d'un pezzo laddove erano in gioco questioni di coscienza. Nello stesso tempo, però, aveva un carattere amabile, era pieno di comprensione e di garbo, un uomo veramente fine. Ed era curioso vedere una persona di animo cosi mite e di maniere cosi signorili, assumere poi atteggiamenti rigidissimi quando si trattava di assegnare i premi cinematografici a Venezia». Sandro De Feo ha raccontato a sua volta un episodio di venti e 'più anni fa, quando disobbedlre ai gerarchi fascisti poteva costare molto caro. Nel 1937 la Francia si presentò alla Mostra veneziana col film La grande illusione di Renoir. Era un film che dimostrava la crudele imbecillità della guerra e nel clima Italiano di allora veniva considerato addirittura scandaloso. L'ordine del ministero della Cultura popolare era di trattare male il film pacifista sul giornali e di non assegnargli il minimo premio. Il giorno delle votazioni i dodici membri della giuria cominciarono subito a dividersi sul film di Renoir: da una parte, naturalmente a favore, si schierarono i rappresentanti dei paesi democratici, cominciando dai francesi e dagli inglesi, e dall'altra si misero l rappre sentantl del paesi totalitari. Gli ultimi due a votare erano Mario Gromo e Sandro De Feo. Se avessero votato contro il film di Renoir, il premio per la regìa sarebbe andato ad un film tedesco o giapponese; bastava Invece che si fossero astenuti per far vincere Renoir e la Bua tesi pacifista. Con l'aria più tranquilla di questo mondo, Gromo si alzò In piedi e disse: «Io mi astengo». Lo stesso fece Sandro De Feo. E' facile immaginare le escandescenze, le minacce del capo fascista della cinemato¬ grafia italiana. I due ribelli furono accusati dì essere « antifascisti e .traditori »; il che in quei tempi comportava non solo la perdita del lavoro ma anche punizioni molto più severe. I francesi lo vennero a sapere e fecero dire ai dirigenti del Minculpop che sarebbe scoppiato un grosso scandalo internazionale nel caso che i due critici italiani fossero stati puniti. Alla fine si mise di mezzo il conte Volpi, che era un uomo di mondo, disse una parolina all'orecchio del ministro Alfieri e tutto fini là. Mario Gromo veniva spesso a Roma e gli volevano tutti bene. I letterati lo consideravano uno dei loro, altrettanto facevano i giornalisti e i cinematografari. G. B. Angioletti non ha parole per dirci quanto profonda sia la sua commozione. Ci dice: « Pensate, fu il mio primo editore. Vi parlo di cose di tanti anni fa, quando eravamo tutt'e due giovani, smaniosi di rivoluzionare il vecchio mondo letterario italiano, e lui, il povero Mario, si gettò a fare l'editore. Il primo libro che pubblicò fu il mio Giorno del giudizio che poi vinse il premio Bagutta. Erano tempi polemici, molte le difficoltà, ma grande era anche il nostro fervore, smisurate le nostre speranze. Però, il povero Mario restava sempre cheto, pieno di discrezione e di buon senso. E nei ritagli di tempo, allora come in seguito, si raccoglieva dentro se stesso e scriveva libri; raggiunse così un posto tutto suo, certamente notevole, nel campo letterario. E non c'è dubbio che libri come 7 bugiardi, Guida sentimentale e Taccuino giapponese conserveranno a lungo un affezionato pubblico di lettori ». Turbato fino allo smarrimento ci è apparso Vittorio De Sica quando gli abbiamo portato la notizia che Gromo era morto. Non riusciva a convincersene né a darsi pace. E quando noi gli riferivamo i particolari, De Sica continuava a protestare con veemenza: « No, non è possibile. Mario era per me come un fratello, a luì confidavo le mie speranze e i miei progetti, a lui ricorrevo tutte le volte che avevo bisogno di un consiglio. Era cosi intelligente, così sincero e in un certo senso fu lui che mi tenne a battesimo come regista >. Fu nel 1918. De Sica aveva finito di girare Ladri di biciclette e poiché si trattava di una delle sue prime esperienze come regista era molto Incerto ed emozionato. Ad un certo momento prese il coraggio con tutt'e due le mani e decise di sottoporre il film al giudizio del critico che lui stimava più di tutti. Perciò, la prima volta che Gromo capitò a Roma, De Sica se lo portò in una saletta di proiezione privata e lo mise all'improvviso davanti al film. La colonna sonora non era stata ancora montata ed era De Sica che, mutando ad ogni scena 11 tono della voce, diceva le battute. Alla fine, Gromo disse: «Vittorio, hai fatto un grande film. Sarà un successo internazionale, rappresenterà una svolta importante nello stile cinematografico ». Aggiunge De Sica che lui e i suol colleghi registi avevano una simpatia e una stima del tutto particolari per Mario Gromo anche perché, a differenza di tanti altri letterati, egli non prendeva mai un atteggiamento altezzoso nei confronti dei cineasti; al contrario, si interessava con un vivo impegno intellettuale ai problemi e alla vita del cinema. Cesare Zavattini così si è espresso: «Sento oggi, davanti alla sua scomparsa, riassumendone in un lampo la metodica e ufficiale presenza in un quarto di secolo circa nella vita cinematografica del no stro Paese, che egli ha soprattutto lavorato sempre per vocazione, che è la condizione più seria, la prima, la più poetica, che si deve domandare a uno scrittore». Mario Gromo, come sanno specialmente i nostri lettori, non era un critico di facile contentatura. Era anzi severo, qualche volta aggressivo. Ma siccome non parlava mai a vanvera ed era onestissimo, gli stessi produttori cinematografici lo tenevano nella più alta considerazione. Dopo la presentazione di un film, la prima critica che andavano a leggersi, e sempre con una certa apprensione, era quella vergata da Mario Gromo. Uno dei più noti produttori, Goffredo Lombardo, ci ha detto: « Quel che noi produttori apprezzavamo soprattutto in Mario Gromo era il suo senso di responsabilità, scrupolosissimo, e 11 raro equilibrio. Per noi Gromo rappresentava una specie di Cassazione^ n. a.

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