Chi annullò il lancio dei paracadutisti su Roma?

Chi annullò il lancio dei paracadutisti su Roma? IvE>tt:e>re} al direttore Chi annullò il lancio dei paracadutisti su Roma? Il gen. Carboni afferma, rispondendo a Paolo Monelli, che l'ordine fu dato da Eisenhower Signor Direttore, con riferimento all'articolo pubblicato da La Stampa, in data 30 aprile c. a., con titolo: « Il lancio dei paracadutisti alleati su Roma era possibile e avrebbe affrettato la liberazione » a firma Paolo Monelli, terrei a precisarle quanto segue Il suo giornale afferma che nel mio incontro con il generale americano Taylor, venuto a Roma per rendersi conto della eseguibilità pratica dell'aviosbarco della divisione «Airborne», io dichiarai a Taylor che i campi di aviazione di Furbara e Cerveterl (ì primi dei quali dovevano servire alla divisione americana) « erano occupati dai tedeschi ». L'affermazione costituisce una grave inesattezza. Durante tutti i miei lunghi colloqui con Taylor io non dissi mai che i campi di aviazione erano «occupati dai tedeschi >. Ciò non rispondeva a verità, e Badoglio, che conosceva la nostra situazione non meno bene di me, mi avrebbe subito smentito nel colloquio che egli ebbe, in mia presenza, con il generale americano poco dopo il suo arrivo a Roma. Dichiarai che — alla data del 7 settembre sera — quei campi erano ancora sotto stretta sorveglianza e sotto efficace controllo tattico tedesco, per opporci al quale avevamo disposto l'arrivo di truppe che, in quel momento, si trovavano in ' 8'«J*' 8"ebber° Siunte 1 entro pochi giorni. Chiunque consideri la vicinanza dei campi di Furbara e Cerveteri agli alloggiamenti della grande unità paracadutisti tedesca, largamente dislocata sulla costa' a ovest di Roma, comprende l'importanza di quei campi per i tedeschi. E si rende facilmente conto, anche se non possiede un particolare corredo di cognizioni militari, che la comparsa del primo paracadutista americano avrebbe provocato, da parte tedesca, l'immediata occupazione dei due citati aeroporti dei quali, secondo i patti, noi avremmo dovuto, invece, garantire la piena sicurezza durante quattro giorni consecutivi. Alla data dell'8 settembre era escluso che noi potessimo essere in grado di garantire tale sicurezza. L'immediato aviosbarco della divisione americana sì sarebbe quindi risolto in un disastro irreparabile — e di carattere particolarmente odioso — di cui, gli americani avrebbero data tutta la colpa a noi e con pieno diritto. Se rispondesse a verità quanto afferma, poi, il Monelli sul generale Taylor a Brindisi e cioè che egli «con le lacrime agli occhi » lamentava che a Roma il generale Carboni gli avesse impedito con la «violenza» di compiere il suo dovere ciò significherebbe che l'America aveva inviato a Roma un piccolo mentitore, debole e inetto. E poiché, se un siffatto personaggio sì fosse venuto a trovare in Roma alla testa della divisione «Airborne», vi avrebbe sofferto davvero le « violenze della lotta armata contro i tedeschi», bisognerebbe concludere giustificando ampiamente Badoglio, qualora egli avesse realmente respinto l'aiuto di un generale che alle violenze rispondeva con le lacrime. Tutto ciò è grottesco; e la realtà è lontanissima da quanto il Monelli vorrebbe accreditare. Nell'incontro con il generale americano, incontro ovviamente improntato sempre alla massima reciproca cortesia e deferenza, Taylor apparve a me ed a Badoglio un esperto soldato, energico, intelligente e di giudizio chiaro. Come tale, valutata realisticamente e senza esagerazioni né debolezze la nostra situazione e quella tedesca, egli reputò ineseguibile l'impresa paracadutisti con inizio nella notte tra VS e il 9 settembre. La assoluta insufficienza del la nostra preparazione specifica a sostenere l'impresa era dovuta soprattutto al fatto che il generale Castellano aveva ufficialmente preannunciato l'armistizio per il giorno 12 settembre, dopo essersi mo¬ strato fiducioso di poter ottenere una ulteriore proroga di qualche giorno. Taylor compilò insieme a Badoglio il telegramma ad Eisenhower, mentre io lo trascrivevo, seduto alla scrivania del maresciallo. Il telegramma chiedeva un brevissimo rinvio dell'armistizio, così da poter rendere fruttuoso, anziché esiziale, l'aviosbarco americano. Nessuno «rifiutò», dunque i paracadutisti (e qui sta il motivo della mia querela contro l'Espresso). Fu Eisenhower che annullò l'aviosbarco di sua iniziativa e di suo libero arbitrio. E le modalità di tale intempestivo ordine di Eisenhower legittimano la ipotesi che l'alto comando americano non avesse alcuna seria intenzione di effettuare realmente l'impresa paracadutisti e che l'avventato progetto (la definizione è di Churchill) facesse parte di quel gigantic bluff di cui ebbe poi a menar vanto il generale Bedell Smith, chiamato in causa dal Monelli. Rammento che secondo il gigantic bluff di Bedell Smith, gigantic bluff avallato dal Castellano, l'America aveva dato ad intendere di disporre, per lo sbarco in Italia, di ben quindici divisioni, mentre in realtà ne aveva racimolate faticosamente soltanto quattro. Siccome il rifiuto del breve rinvio dell'operazione fu uno sproposito madornale («posso avere sbagliato » confessò Eisenhower al generale Rossi) e tale sproposito madornale costò agli alleati fiumi di sangue, e qualcos'altro ancora, l'opinione pubblica negli Stati Uniti se ne risentì pericolosamente e l'alto comando di cui Bedell Smith era capo di stato maggiore, si diede gran da fare per attribuire a me ed a Badoglio la responsabilità dei propri imperdonabili errori. Gli espedienti usati per scaricare su generali italiani le colpe dei generali americani furono peraltro talmente grossolani che essi non avrebbero mai raggiunto lo scopo, senza aiuti esterni zelanti quanto persistenti. Con osservanza Gen. B. Giacomo Carboni