L'uomo della strada a Mosca è deluso sperava nella distensione per migliorare il livello di vita di Alberto Ronchey

L'uomo della strada a Mosca è deluso sperava nella distensione per migliorare il livello di vita L'uomo della strada a Mosca è deluso sperava nella distensione per migliorare il livello di vita Le notizie da Parigi ascoltate alla radio in silenzio - In centinaia di comizi la propaganda ufficiale accusa gli Stati Uniti di aver silurato la conferenza al vertice - " Eisenhoiver avrebbe dovuto dire a Kruscev : scusate „ (Dal nostro corrispondente) Mosca, 17 maggio. I notiziari di Radio-Mosca sull'urto fra Kruscev c Eisenhower a Parigi sono accolti con trepidazione dalla cittadinanza della capitale sovietica. Le trasmissioni vengono ascoltate in silenzio. In ogni « stalovaia> (tavola calda) o ristorante, nei grandi magazzini, all'Università e presso i parrucchieri di via Gorki, la gente ascolta scuotendo la testa. I sovietici sono devoti e interessati alla distensione. In una « stalovaia > della via Petrofita si conversa a bassa voce. Sulle strade piove da stamattina. € Eisenhower — sostiene il direttore di un vicino negozio di fiori, guardando oltre i vetri — doveva dire: "isvienitie" (scusate); non conosce l'autocritica ». < Quell'aeroplano — risponde un grosso funzionario sceso giù da un ufficio ministeriale —■ può costare caro mezzo mondo y. Prendiamo ap punti su una salvietta di car-la. Un'altra voce dice: < Bin-viare di otto mesi i pierega-voli (le trattative) non è un gioco. Otto mai e poi otto anni... >. Ritorniamo in albergo e per le scale incontriamo la direttrice, Lidxa Dimitrovna, una anziana signora, assai gentile. E' iscritta al partito e le han- no proposto la candidatura per la nomina a deputata del Soviet. Ha rinunciato per modestia, quando ne parla arrossisce. Domandiamo la sua opinione: « Kruscev — risponde — ha ragiono. <E che cosa dice la. gente? > «Quello che ha detto Kruscev, certamente >, risponde un poco offesa. « Lo ripetono in tutti i comizi, è logico, è semplice >. Aggiunge che, senza dubbio, le cose vanno male, aggrottando la fronte. Sull'incidente dell'aereo non si sta giocando soltanto la possibilità di una trattativa serena su Berlino e sul disarmo, si gioca la stessa distensione. E' questo che preoccupa i sovietici: capire fino a che punto si soingerà la crisi. Per i sovietici, la distensione significa anzitutto un modo di vivere meno rigido, un clima tiepido, più cose, tessuti, scarpe, automobili (proprio adesso che è stata annunciata la produzione in serie del la « Zaporoge », una utilitaria di 700 cm'e.) e significa poi la /ìJte della solitudine, della separazione dall'Occidente. I piani ventennali, il «boom* della produzione di carne e la speranza di ottenere in pochi anni quaranta milioni di appartamenti, presuppongono che non si debba vivere in perpetuo allarme. Non ci si può svegliare di soprassalto alle sette di mattina e scoprire che «o?t è vero nulla. Fino a ieri, veniva proclamato che l'America è per tanti versi simile alla Russia (civiltà di massa, grande spazio economico, paese nuovo); Eisenhower spediva a Kruscev tori e vitelli di razza pregiata; la portaerei del Pacifico aveva salvato i naufraghi russi; la simpatia ufficiale per l'America consentiva curiosità e interessi nuovi; si progettava perfino di costruire insieme una diga sullo stretto di Behring. Poi, gradualmente, mentre si avvicinava la conferenza al vertice tornarono di moda le dispute acute, le intransigenze dottrinarie. Sul momento, nessuno fece caso a queste ricadute, fino al discorso di Baku. Allora, tutti compresero che la conferenza al vertice sarebbe stata tumultuosa. Da ultimo, lo scandalo sulle ricognizioni aeree, che per la verità si ripetevano già da tempo e l'anno scorso (come ha detto Kruscev) si spinsero sino a Kiev: e Kruscev doveva ancora andare in America. Nessuno può sapere fino in fondo quali sentimenti provino i sovietici dinanzi alla crisi. Appaiono trepidanti e, di certo, i loro commenti condannano gli americani. Sul filobus SI, che va dalla piazza Arbat alla piazza Trubnaia, stasera un giovane diceva agitando un giornale: < La vertenza era già chiusa martedì sera, quando Herter disse che avrebbe mandato ancora aeroplani a spiare. Che poteva fare, allora, Kruscevf >. La macchina della propaganda di massa è in moto, tempestiva e potente. La radio aveva dato ieri sera alle 20,45 la prima notizia dell'urto fra Kruscev e Eisenhower e nelle fabbriche, un'ora dopo, già si tenevano comizi fra gli operai dei turni di notte. Oggi, solo a Mosca, si sono svolte centinaia di assemblee. Secondo i discorsi di oggi esistono due Americhe, quella progressiva e quella «infame >. L'una è l'America della prima rivoluzione coloniale, dei soccorsi alle popolazioni russe prostrate dalla guerra civile, di Roosevelt, della legge affitti e prestiti, dell'mcontro sull'Elba, della condanna contro la guerra di Sue-:, della penicillina e del siero antipolio. L'altra America, che secondo gli odierni comizi moscoviti prevale, almeno per ora, è l'America che discrimina i negri, che intervenne in Russia a favore dei generali zaristi, e che ha nutrito il gangsterismo ed il maccartismo. Il 3 maggio, due giorni prima che Kruscev denunciasse la vicenda dell'aereo-spia, avevamo conversato a lungo con Alessio Agiubei, direttore delle Izvestia e genero del primo ministro. Gli domandammo come considerasse le prospettive della conferenza al vertice. Il discorso di Kruscev a Baku ci aveva provocato qualche timore. Agiubei ci disse: « Il vero pericolo, oggi, nasce dai militari americani ». Non comprendemmo che cosa volesse dire. Egli già sapeva dell'aereo americano abbattuto, e noi non potevamo immaginare un simile colpo di scena. Osservammo che in America il peso dei militari non è maggiore che nell'Urss. Ricordammo che il generale Mac Arthur, era stato licenziato da Truman sui due piedi. Agiubei, allora, ricordò che Churchill aveva espresso nel 'S6 ilseguente giudizio sul nazismo: «Il gangsterismo americano importato in Germania». Rinunciammo a capire che cosa significasse una tale virulenza (la comprendiamo oggi, mentre si parla di gang- sterismo ad ogni angolo distrada, con le stesse parole) e domandammo che cosa sidovesse prevedere sulla ver-lenza di Berlino. «Tuffo n„J. . . . ,. .... drà bene - c, disse Agiubei -se gli americani se ne andran- no da Berlino ». E non aff-giunse altro. Alberto Ronchey