Si contessano in un dibattito gli autori della tv americana di Ugo Buzzolan

Si contessano in un dibattito gli autori della tv americana Si contessano in un dibattito gli autori della tv americana L'epoca d'oro si ebbe con Marty nel 1955 - La causa del declino : l'invadenza della censura, le imposizioni della pubblicità - "La tv è ancora imperfetta e soffre delle sue fondamentali debolezze e mediocrità n A chi depreca — giustamente — i limiti e le mediocrità della nostra tv e vuol consolarsi con i guai o per lo meno con le preoccupazioni degli altri, raccomandiamo un volumetto «Qui, Studio One» (ed. Cinema Nuovo, Milano) a cura di Guido Aristarco e Paolo Gobetti, dove sono raccolti curiosi documenti sulla televisione americana. Il nucleo del libro è costituito dal resoconto stenografico di un lungo dibattito tenuto circa un anno e mezzo fa alla tv mode in Usa e precisamente nella rubrica «Discussione aperta». Al dibattito parteciparono alcuni tra i più noti autori televisivi di «originali», che nel periodo 1953-1955 avevano dato impulso ad una produzione eccezionalmente valida: commedie che non pretendevano rli portare sul piccolo schermo del video grandi avventure e ■ grandi amori tipo Hollywood, ma che con pochi personaggi, scenari modesti e tempo ridotto ad un'ora miravano a cogliere il dramma e la poesia delle vicende della vita quotidiana: argomenti semplici - e veri, presentati con un linguaggio lontano da inutili ricercatezze letterarie e quindi comprensibile a tutti. Questa «realtà» che informò le plays televisive di quel felice periodo fu salutata come un'autentica rivelazione e un'aperta rottura con certi miti e luoghi comuni, con certe visioni conformistiche e artificiose che dominavano buona parte dello spettacolo americano, a cominciare naturalmente dal cinematografo. Fatto indicativo: da uno dei migliori « originali», Marty di Paddy Chayefaky fu tratto un film, con lo stesso titolo, che al Festival di Cannes del 1955 suscitò entusiasmi non dimenticabili: ammettiamo pure che fossero entusiasmi eccessivi, tuttavia il film — che era una fedele trascrizione della play — aveva il merito di farci conoscere un'America concreta e sincera con uomini qualsiasi alle prese con i loro problemi di ogni giorno. Ci fu addirittura chi paragonò questo « realismo televisivo » al neorealismo cinematografico italiano. Esagerazioni. Comunque la sua importanza resta un punto fermo. Ora, a distanza di due o tre anni dall'epoca d'oro, gli autori tv più rappresentativi — 11 già citato Chayefsky, J. P. Miller, Kobert Aurthur, Regl- nald Rose e altri — si radunano per una pubblica discussione ripresa dalle telecamere. La discussione è improntata alla massima libertà e spregiudicatezza. Si parla francamente di grave crisi del dramma televisivo e si ricordano con nostalgia, i famosi anni '53-'55. Cos'è successo da allora? Quali le ragioni del declino? Le accuse degli scrittori sono molteplici: contro la severità della critica, contro la crescente invadenza della censura, contro le massicce imposizioni delle ditte che in America finanziano per pubblicità i varll programmi, compresi quelli di prosa. Taluni escono in affermazioni di assoluta sfiducia quali: «Penso che stianto tutti precipitandoci nel conformismo, tutti cercando di essere più banali che possiamo... là tv non è che un sintomo dei tempi ». Ma poi, dopo tanto battagliare, le conclusioni non sono totalmente pessimistiche: e si dimostra che esistono anche ragioni di speranza per un buon lavoro futuro. La lettura del dibattito è di un singolare, acuto interesso per conoscere umori, opinioni, tendenze nell'ambiente della tv americana. E non meno significativo è l'altro documento incluso nel volume: la confessione di Rod Serling dal titolo « Come sono diventato uno scrittore televisivo ». Divertenti i suoi accenni alla tirannia della pubblicità: egli ricorda come un programma di novanta minuti della serie «Playhouse 90» (presentata anche al nostro pubblico, di recente, al martedì sera) dovesse dividersi in tante sezioni di 12-13 minuti l'una, separate da un annuncio pubblicitario. « L'effetto complessivo » osserva Serling «fu quello di una raccolta di brevi pezzi drammatici frantumati e lacerati... Le scene del dramma dovevano chiudersi ogni volta con grande tensione emotiva per permettere l'interruzione, la pubblicità e poi la ripresa della storia. E' evidente che una serie di conclusioni ad effetto finisce col diluire l'efficacia di qualsiasi commedia. Il pubblico può abituarsi ag'l scoppi di bomba e quasi non più accorgersene se questi si ripetono troppo sovente... ». Il testo de «La trappola del coniglio» di J. P. Miller (appartenente, come abbiamo visto, al gruppo del giovani autori) e 11 codice americano tv, fitto di proibizioni e di « consigli » moraleggianti d'ogni genere, completano « Qui, Studio One»: piccola opera utilissima a chi voglia guardare più da vicino e più in profondità questo complesso e meraviglioso mezzo di espressione che è la tv. La quale tv, In tutto il mondo è afflitta dai tipici mali dello sviluppo. « E' ancora imperfetta» annota Serling «ancora soffre delle sue fondamentali debolezze e mediocrità. Ma il mezzo è giovane e procede a tentoni. Ancora si debbono Imparare nuove tecniche, esaminare nuovi campi e infrangere migliala di ostacoli che Impediscono il cammino. La radio visse per circa vent'anni prima di trovare il proprio posto e tracciare in modo definitivo i limiti delle proprie risorse... Noi che con la tv ci slamo professionalmente identificati sin dall'inizio, non ci slamo arresi. Ci incoraggia il pensiero che esistono ancora molte cose per cui combattere». Ammirevole fiducia, encomiabile entusiasmo. Vorremmo che un po' di questa volontà di « combattere » si trasferisse anche nella nostra tv. Ne basterebbe un briciolo e le cose andrebbero sicuramente meglio. Ugo Buzzolan

Persone citate: Guido Aristarco, J. P. Miller, Kobert Aurthur, Paddy Chayefaky, Paolo Gobetti

Luoghi citati: America, Cannes, Milano, Usa