Paura di che?

Paura di che? Paura di che? Una delle prime novelline narrate ai bimbetti è quella del pastorello che si divertiva a gridare « '1 lupo, il lupo d; e quando il lupo venne davvero, tutti, udendo le grida del piccolo pastore, credettero giocasse e nessuno accorse. Si può rievocarla in questi giorni, mentre gran parte della stampa e dei circoli politici ha parlato di porta aperta ai comunisti a proposito di un governo ove la democrazia cristiana avesse collaborato con socialdemocratici e repubblicani e ricevuto un appoggio (senza partecipazione al governo) dei socialisti: quel tipo di appoggio che segnò il periodo migliore di Giolito. Non credo che uno su dieci di quanti parlano di apertura al comunismo vi creda realmente. Ma in politica troppi sono convinti che occorra rivolgersi al popolo come ad un bambino, usare formule semplici, evocatrici d'immagini, e non temere la ripetizione. Già molto prima della radio e di Brave neto viorld di Huxley, i politici avevano creduto che si possano plasmare generazioni ripetendo all'infinito certe formule. L'esperienza è per lo meno equivoca. I fascisti intelligenti avvertivano che parlando due volte al mese di evento storico, di ora decisiva, di sorti supreme in gioco, abituando ai titoli sesquipedali, si esaurivano le risorse di commozione, di entusiasmo che sarebbe stato opportuno tenere in serbo se fossero davvero maturate, come maturarono, grandi prove. Ma penso soprattutto al linguaggio che tennero per quarant'anni, dal 1875 al 1015 all'incirca gran parte dei nostri partiti politici: quelli della vecchia si nistra, instancabili nel mettere in guardia contro il'prete e contro il pericolo ch'esso rappresentava per l'unità d'Italia. Ogni volta che un moderato, un uomo di buon senso, avvertiva che le antitesi ed i rancori del Risorgi' mento erano superati, e si erano aperti nuovi problemi che ri chiedevano anche nuove collaborazioni, non mancava chi lo ac cusasse di minare, conscio od in conscio, l'unità. Ciò fini ad un certo momento di apparire così ostico, ■ così sciocco, alle nuove generazioni — alla mia —, che in un brevissimo volgere di tempo non solo nessuno osò più evocare quel bau-bau, ma insieme con esso svanirono anche preoccupazioni, come quella dello Stato laico e sovrano, che sarebbe slato bene non restassero travolte. Va da sé che non si possono istituire paralleli; un Papa che avesse voglia e mezzi di riporre in discussione l'unità d'Italia non c'era forse mai stato, e comunque, finita ogni speranza di restaurazione monarchica in Francia, il mondo non vedeva più fautori di un ritorno ad un assetto ante-1859 (non c'era sull'orizzonte che la figura inquietante di Francesco Ferdinando). Mentre il comunismo è una forza massiccia, e nessuno oserebbe affermare che i confini territoriali tra mondo comunista e mondo non comunista siano definitivi. (Chi volesse instaurare un raffronto, dovrebbe tuttavia tener presente anche qualche altro elemento; se nessun Papa insidiava l'unità d'Italia, bene però gli avversari intuivano nel papato una forza immensa, indistruttibile, che nessuna vicenda storica, nessun mutare di quadri, nessun errore, anche, della politica vaticana, avrebbe indebolito; tra i suoi devoti, una fedeltà, ereditaria che si sarebbe trasmessa per generazioni, là dov'essi non sarebbero riusciti ad avere figli e nipoti che li seguissero. Nel comunismo non si ravvisa nulla di ciò; dilaceramento ' tra i capi, e tra le masse quel profondo desiderio del benessere, che potrebbe segnare l'inizio di ima nuova èra; rispetto al comunismo italiano, sempre interessanti le considerazioni dei foglietti eretici, trotzkisti, che deplorano la fiacchezza e l'imborghesimento dei capi, in un rimprovero ingiusto, che nasconde però la verità che le masse vengono tenute solo a patto di chiedere loro il minimo di sacrifici). Ma non interessa instaurare il raffronto; bensì fissare che è deleterio, alla lunga, evocare pericoli immaginari pe. mantenere il potere; e che è assurdo gabellare come uno scivolamento verso il comunismo un possibile governo, nei cui componenti l'avversione per il comunismo non sarebbe minore di quanto sia negli uomini di destra, che nulla muterebbe in politica estera ed ecclesiastica, e le cui innovazioni in politica economica non andrebbero, se pure andrebbero, oltre a riforme realizzate da tempo nei maggiori paesi del mondo libero. 11 mondo libero; il termine non coincide con quello di mondo non comunista, ma include solo una porzione di questo; in Europa, Gran Brerjpna, Paesi Scandinavi, Olanda, Belgio, Svizzera, Italia (se pur formi mac¬ chia per quei problemi di sottoproletariato che non sa risolvere); se vogliamo, ancora la Francia; la Germania e l'Austria, malgrado nostalgie e fermenti che allarmano; oltre Atlantico, Stati Uniti e Canada, Messico, con uh po' di ottimismo, Argentina e Brasile. Poi v'è tutto un mondo inquieto, in lotta, in subbuglio. Se ripensiamo alle parole ed ai programmi mondiali di Roosevelt, che ci scaldavano il cuore sedici anni or sono, la sconfitta che ci pesa è quella che non si sia riusciti a creare — nel mondo di fronte al comunismo — uno schieramento compatto di paesi liberi, impenetrabili ad esso. Gli uomini che paventano le aperture a sinistra, debbono pure chiedersi dove risieda per loro la tranquillità: dove i socialisti sono partiti di governo, spesso alleati, talora avvicendantisi ai cattolici, dove non esistono censure, non partiti messi fuori legge; o invece nei regimi autoritari, o dove vengono fuori rigurgiti di fascismo; se considerino tranquillanti l'Africa del Sud, la Corea di Syngman Rhee. Si può essere spregiudicati come io sono, nel senso di ritenere che buoni governi, di giustizia, di soddisfacimento dei bisogni del popolo, possano darsi pure invocando dottrine diverse: con le socializzazioni e all'insegna della iniziativa privata al di sopra della quale si erga, come nelle grandi democrazie, uno Stato forte, con una decisa politica fiscale che impedisca il concentramento in poche mani di sterminate ricchezze. Ma nessuno in Italia crede davvero che unendo la parte destra della de mocrazia cristiana a fascisti 1 monarchici, si possano avere risultati migliori di quelli che si sono avvertiti in tanti comuni del Mezzogiorno, dove da anni dominano tali coalizioni. Ed al lora occorre decidersi, e che anche i fogli dell'Azione Cattolica assumano le loro responsabilità. Sotto l'indiscriminato omaggio alla libertà, ieri come oggi e domani, pullulano verso di essa diffidenze, avversioni infinite, fiducia nella coercizione. Certo è possibile instaurare e mantenere regimi autoritari, di censura, di partiti messi fuori legge; accantonare all'infinito i problemi del sottoproletariato, lasciare che vivano a fianco gli immensamente ricchi ed i diseredati. Nessun pericolo di guerra per questo; Diiiiiimiiimiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii la Russia non muoverà mai un dito per abbattere una dittatura, sarà sempre disposta ad offrirle un buon trattato di commercio. Mi qual è la vitalità, la forza di resistenza di questi regimi? Chi pensa che potrebbero sostenere e prove che l'Inghilterra, Stati Scandinavi, Olanda, soffrirono nella seconda guerra mondiale, per ritornare poi, quasi naturalmente, su quella che era la loro strada? Singoli uomini possono anche dire: «Dopo di me il diluvio», possono essere incuranti di figli e di nipoti. Chi asserisce di rappresentare istituzioni eterne, non ha il diritto di esserlo: non può ignorare che la via al comunismo non è quella dei governi di centro-sinistra, ma quella delle dittature, ed in genere dei cattivi governi. A. C. Jemolo ai 1111111111 ri 1111111 il s 1 iti ti hi im 11111 tini 111 ti 1

Persone citate: A. C. Jemolo, Giolito, Huxley, Roosevelt, Syngman Rhee